Al Mattatoio di Roma
Roma bianca e nera
Una bella mostra mette una accanto all'altra le visioni fotografiche di Roma firmate da William Klein e Plinio De Martiis. Il mito, la solitudine, la solidarietà, la devastazione e la storia: ma quella città esiste ancora? Che cosa potrebbe cogliere, oggi, l'occhio degli artisti?
Roma è al centro, descritta e indescrivibile. Roma è inserita come lemma, come segno grafico tra i nomi dei due fotografi che sono stati messi a confronto nella mostra William Klein ROMA Plinio De Martiis. La mostra sarà ospitata fino al 26 febbraio 2023, presso il Padiglione 9a del Mattatoio di Roma, a cura di Daniela Lancioni per Plinio De Martiis e di Alessandra Mauro per William Klein che approvò, poco prima di morire, la serie di fotografie da esporre. L’iniziativa è promossa da Roma Culture e organizzata da Azienda Speciale Palaexpo, con la collaborazione di Contrasto.
È la Roma degli anni ’50, in assoluto bianco e nero, quella affrontata dei due fotografi, molto diversi fra loro per stile, impostazione, tecnica e tecnologia, ma che sono stati, al tempo stesso, due attori del mondo dell’arte, oltre l’ambito della stessa fotografia, del secondo novecento e oltre.
William Klein è stato fotografo, pittore, artista, grafico, cineasta, scrittore; nato a New York nel 1926 approdò a Parigi diciottenne come soldato e grazie a un programma di scambi culturali, frequentò la Sorbonne. A Parigi incontrò Jeanne, che sarà sua moglie per tutta la vita e a Parigi si avvicinò Fernand Lèger. Successivamente si sposterà a Milano dove collaborerà con gli architetti Angelo Mangiarotti, Marco Zanuso e Giò Ponti per una serie di grandi strutture, sipari mobili di scene domestiche e proprio per documentare le sue creazioni, si avvicinerà alla fotografia.
Nel 1954 tornerà a New York con una Leica al collo, vendutagli da Henri Cartier-Bresson, ma l’obiettivo 50 mm. che ripropone le proporzioni dell’occhio umano non è funzionale al modo di vedere di Klein che acquisterà un grandangolo col quale fotograferà sperimentando un metodo che definì “fotoautomatografia”, utilizzando il mosso, la grana, l’evasione dall’inquadratura, le deformazioni, le immagini accidentali.
Ferdinando Scianna dirà: «Klein utilizza la macchina fotografica e l’obiettivo come i pescatori utilizzano le reti a strascico a maglia sottile: buttano la rete che quando viene tirata su, si porta fuori tutto, scarpe vecchie, frammenti di vita precedente e morta».
Nel 1956 uscirà Life is good & good for you in New York, un libro di fotografie scattate tra il 1954 ed il 1955.
Le immagini su Roma nacquero durante il soggiorno organizzato, in occasione di una tentata collaborazione con Fellini per Le notti di Cabiria. In quell’occasione, Klein incontrò Pier Paolo Pasolini, col quale stabilì un rapporto umano e artistico, cosa che non avvenne, malgrado le numerose occasioni d’incontro, tra Pasolini e Plinio De Martiis.
Plinio De Martiis nacque a Giulianova in provincia di Teramo nel 1920, ma la famiglia si trasferì a Roma già nel 1924 e la capitale divenne la sua città di adozione. Fu partigiano e funzionario del Partito Comunista fino al 1956, anno dell’invasione sovietica dell’Ungheria. Dal 1946 al 1948 gestì il teatro Arlecchino che fu inaugurato con la messa in scena di Un Marziano a Roma di Flaiano. Nel 1952 fondò con i fotografi Caio Garrubba, Franco Pinna, Pablo Volta e Nicola Sansone la Cooperativa Fotografi Associati, collaborando con l’Unità, il Mondo, Vie Nuove e Noi Donne. La Cooperativa Fotografi Associati, se da una parte si ispirava alla Magnum, dall’altra si basava sui principi di quella che avrebbe dovuto essere la fase compiuta del comunismo: «Ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i propri bisogni».
Furono quelli gli anni delle esplorazioni nella città di Roma.
Successivamente, insieme alla moglie Ninnì Pirandello aprì la Galleria La Tartaruga, diventando una figura cardine della vita culturale romana, ma mantenne sempre viva la passione della fotografia e fu sempre un appassionato interprete della città di Roma.
Si accennava prima alla differenza tra i due autori, facendo riferimento non solo allo stile personale e al retroterra culturale, ma anche alla tecnologia o più prosaicamente alle differenti macchine fotografiche che usavano De Martiis e Klein, perché questi strumenti, a seconda delle loro caratteristiche, condizionano l’approccio del fotografo nei confronti di ciò che si prospetta davanti ai loro occhi.
De Martiis usava una Rolleicord, la versione povera della Rolleiflex, una macchina dal formato quadrato, il cosiddetto 6 x 6, con dodici pose e la visione a pozzetto che non consente di guardare dritta in faccia la realtà, una macchina lenta, molto diversa dalla Leica di William Klein con trentasei pose ed il mirino a traguardo che punta dritto negli occhi di chi è di fronte, col quale si stabilisce un rapporto diretto ed inequivocabile
D’altro canto, Plinio De Martiis stesso dichiarava in una intervista a Duccio Trombadori: Non mi piace il “mordi e fuggi” del cronista, mentre, in Klein, abbiamo il teorizzatore della “fotoautomatografia”.
Una sessantina di immagini si fronteggiano nell’ampio padiglione 9a, da un lato la Roma di De Martiis, dall’altra quella di William Klein. Ma, quali e quante Roma scaturiscono da questo confronto?
Una Roma povera osservata sempre a tre metri di distanza, una Roma di baracche, di donne, di bambini immobili di fronte al fotografo, vestiti miseramente, in alcuni casi senza scarpe, una Roma di straccivendoli, una Roma in attesa di modernizzazione dove l’edificio razionalista della Farnesina fa da sfondo alle baracche del Flaminio, una Roma con una periferia rassegnata alla propria miseria, una Roma raccapricciante nelle scene violente del mattatoio (chissà se sono avvenute proprio nel padiglione in cui sono esposte queste fotografie), una Roma di vicoli poveri, umidi, con le latrine ricavate sui balconcini a Tor di Nona o ai Cappellari, questa è la Roma di De Martiis del triennio 1951 – 1953. Una Roma degli umili e degli ultimi, osservati con spirito Gramsciano, derivato dalla sua formazione politica.
La Roma di William Klein è la stessa città, sta lì da secoli, ma l’obiettivo è spostato su altri luoghi e situazioni e se ne ricava un quadro diverso, è una Roma che si muove, padre, madre e figlio seduto in mezzo ai genitori, si recano in Vespa, in Motom o in Lambretta, ad Ostia, dove ragazzetti “pasoliniani” sulla spiaggia sfidano l’obiettivo. La Roma di Klein è più dinamica (non dimentichiamo l’uso e la caratteristica della Leica) passano i tram stracolmi di gente e nelle vie del centro la fotocamera si concentra su poveracci mal messi, con espressioni indecifrabili e pose sconclusionate, già oggetto di attenzione nelle sue immagini di New York. “Dietro una palla c’è sempre un bambino” recita la didascalia di due foto di un ragazzino in piena acrobazia calcistica, in vicolo dell’Atleta (chissà se il fotografo ha mai notato la coincidenza). E poi le feste di Comunione a Trastevere, i pic-nic di pellegrini al santuario delle Tre Fontane dove tutti, ma proprio tutti, sono felici di farsi ritrarre e ridono e fanno smorfie per farsi notare, guardano dentro l’obiettivo, gli sguardi si incrociano. Klein coglie aspetti molto diversi da De Martiis sicuramente perché la frequentazione con Pasolini ne condiziona il rapporto con la città, ma soprattutto perché, per Klein, giovane fotografo e “anonimo turista americano”, Roma è un parco di meraviglie, tutto è estremo in quella città degli anni ’50, la miseria e la maestosità dei suoi monumenti, il deserto delle periferie e la spavalderia della gente che vive in strada, nei rioni, come su di un palcoscenico.
C’è un altro intervento su Roma in questa esposizione che si aggiunge a quelle dei due fotografi, è quello letterario, che Pasolini elaborò per le introduzioni ai cinque capitoli al libro di William Klein Roma: Cittadini di Roma, La strada, Città eterna, Ragazzi, e Mondo Cattolico. Pasolini con poche parole esprime concetti inesprimibili con le fotografie, fornendo un quadro di raccordo, creando un ambito dove possono trovare agio e coerenza entrambe le serie di quei bianchi e neri.
Con l’esposizione delle riflessioni di Pasolini, i curatori hanno voluto inoltre legare questa iniziativa alla mostra Pier Paolo Pasolini. Tutto è santo. Il corpo poetico in corso al Palazzo delle Esposizioni di Roma.
Al termine del percorso, che non è costituito solamente dalle due serie fotografiche, ma anche dall’esposizione di pannelli esplicativi, nella sala antistante a quella dedicata al confronto tra i due autori, viene da chiedersi: che cosa rimane di quella Roma? Quelle baracche non ci sono più, ma altre baracche sono sorte ancora più ai margini della città. Quell’umanità povera che, negli anni ’50, trovava nelle strade il proprio palcoscenico anche per fuggire da case anguste e malsane era pur sempre una comunità, tutti parlavano la stessa lingua. Oggi i poveri dormono direttamente negli anfratti di edifici abbandonati, di stazioni ferroviarie e ancora al riparo di rovine della Roma imperiale. Non sono una comunità, non parlano la stessa lingua, né fra loro né con il resto della città. Sarebbe ancora possibile approcciarsi fotograficamente a Roma come fece De Martiis, a tre metri di distanza dal soggetto, ma con la partecipazione e la comprensione delle ragioni sociali? Soprattutto, sarebbe possibile approcciarsi a questa città come pensò di farlo Klein? Si può ancora incontrare lo sguardo occasionale della gente senza subire un moto di insofferenza, se non di fastidio o addirittura un rifiuto verbale e aggressivo? Si può nutrire ancora l’ingenuità di poter fornire un quadro esaustivo e onnicomprensivo di una città? Domande forse senza risposta, ma che il coinvolgimento, generato dalla mostra, ripropone con insistenza.
La fotografia accanto al titolo è di William Klein e, ovviamente, è esposta nella mostra al Mattatoio di Roma