#boycottqatar2022
Creonte e il Qatar
Come diceva Seneca: «Osserva bene paura e speranza, e ogni volta che sarai nell’incertezza, fatti un favore: abbi fiducia in ciò che ti fa sentire meglio. Forse la paura avrà più cose da dire; tu, comunque, scegli la speranza». Ancora sui mondiali in Qatar
Ho letto con molta attenzione il bellissimo e documentatissimo pezzo di Gianni Cerasuolo sull’invito a boicottare gli ormai prossimi Mondiali di Calcio del Qatar, a dare uno schiaffo con un piccolo gesto di sfida a chi ha voluto costruire questi stadi mostruosi nel deserto, questi mausolei di sangue radicati sui volti anonimi delle 6500 persone, per lo più migranti, morte per costruirli (clicca qui per leggerlo). La FIFA e gli emiri Al-Thani hanno replicato la tragedia delle piramidi, delle tombe della Valle dei Templi, con la differenza che gli schiavi non sono stati uccisi perché non rivelassero l’ubicazione delle sepolture, ma proprio perché con la loro morte si celebrasse l’onore e la calcistica gloria di uno stato canaglia.
E sono rimasto appeso alla dichiarazione, riportata in chiusura da Cerasuolo, del Presidente della Fifa, l’italo-svizzero Gianni Infantino, sulla sua ossessione di far diventare biennale il Mondiale di Football: «Il calcio va nella direzione in cui pochi hanno tutto e la stragrande maggioranza non ha nulla… Al resto del mondo non possiamo dire “dateci i vostri soldi, dateci i vostri giocatori e guardateci in tv”. Dobbiamo trovare il modo per includere il resto del mondo, compresa l’Africa. Per dare speranza agli africani, cosicché non debbano aver bisogno di attraversare il Mediterraneo per trovare forse una vita migliore ma più probabilmente la morte in mare…».
Cerasuolo non commenta, lascia parlare da solo l’agghiacciante cinismo di Infantino: il contrapporre tombe di sete e ustioni, fondamenta degli stadi in Qatar, alla tomba liquida del Mediterraneo, ai barconi, ai migranti affogati nello Stretto di Sicilia. L’abbraccio mortale dell’aiutiamoli a casa loro alla difesa dei porti e dei confini dell’Italia e dell’Europa, vessillo della destra italiana e della sua ducia.
Perché il richiamo a quanto stiamo vedendo accadere in questi giorni, il blocco degli sbarchi dei profughi nei porti italiani, è immediato e fatale; mi rimbalza dietro gli occhi una vignetta di Osho, in cui un sorridente ministro Piantedosi sussurra all’orecchio a Salvini: «Sai che faccio? Io li faccio sbarcà… E appena sò 50 j’applico il decreto Rave».
Non fa ridere, è terribile.
Fotografa, in un lampo illuminato, la ricerca del nemico a tutti i costi, del nemico facile, quello che non può reagire, quello che non ha casa né con gli uomini né con le ombre, né tra i vivi né tra i morti, per dirla con Sofocle e con Antigone.
Perché è proprio il gesto di Antigone, il gesto di «colei che non è nata per odiare insieme, ma per amare insieme», che questi novelli Creonte, questi “batraci stivalati”, vogliono sopprimere: il migrante, il migrante nero, è già di per sé un fantasma, il punto non è se salvarlo o meno, se accoglierlo o meno, se rimandarlo a morire in Africa o nei campi di pomodori calabresi o sotto le putrelle del Qatar.
Il punto focale è sopprimere la reazione di chi si oppone all’ingiustizia, di chi non ritiene che i decreti abbiano «tanto potere da far trasgredire a un essere umano le leggi non scritte, immutabili, fissate dagli dei».
Sto leggendo in questi giorni, colpevolmente tardi, il graphic novel, I solchi del destino che Paco Roca ha dedicato alla storia degli anarchici spagnoli sopravvissuti alle grinfie di Franco all’indomani della sconfitta della Repubblica. L’inizio del racconto è straziante: a migliaia i profughi repubblicani affollano il porto di Alicante cercando di imbarcarsi per sfuggire alle milizie italiane della Divisione Littorio che sono alle porte della città; in tremila riescono a salire su una nave carboniera inglese, la Stanbrook, che si offre di aiutarli a fuggire. Tra chi rimane a terra, Paco Roca sceglie di ritrarre un uomo in giacca e cravatta che si accovaccia sulla banchina e con fermezza burocratica si taglia la gola pur di non cadere in mano ai fascisti. La carboniera riesce ad approdare a Orano, dopo un viaggio devastante, e le autorità francesi del governo Petain si rifiutano di far sbarcare i profughi spagnoli, li lasciano a marcire in porto, a morire di fame e di sete, a cacare fuori bordo. Dopo giorni di trattative, vengono fatti scendere le donne e i bambini. E dopo quasi un mese, dopo alcuni suicidi, temendo un’epidemia di tifo, le autorità francesi fanno sbarcare anche gli uomini, non prima di aver fatto loro pagare 170.000 franchi per le spese di mantenimento. Li fanno scendere e li deportano nel deserto, in campi di lavoro, a costruire a 50° gradi all’ombra la ferrovia, a morire nella sabbia. La nave Stanbrook viene affondata dai sommergibili tedeschi appena uscita dal porto di Orano, nessuno dei marinai inglesi sopravvivrà.
Un gesto pagato caro, il gesto di Antigone, in una storia così densamente europea e così rivelatrice di quello che sta accadendo, mentre ci addentriamo nell’inverno del nostro scontento.
La cabalista Yarona Pinhas scrive di questi giorni, di questo inverno in cui stiamo entrando, della lunga notte del nascondimento, del tempo dell’accelerazione delle prove della vita e, con esse, della stanchezza.
E anche noi, forse di fronte a un gesto di opposizione, minimo e semplice, come boicottare i Mondiali di Calcio, lasciamo che siano la noia, il disinteresse e la stanchezza a prevalere: tanto l’Italia neanche gioca…
Ma se cambiamo punto di osservazione, dice Yarona, se ci imponiamo di svelare la natura di ciò che accade, di trasformare “il nascondimento in svelamento”, allora i pensieri, le parole e le azioni diventano da imprecisi, accurati, mirati, portatori di risultati.
Portatori di esempio, come Antigone, portatori di speranza.
Come diceva Seneca: «Osserva bene paura e speranza, e ogni volta che sarai nell’incertezza, fatti un favore: abbi fiducia in ciò che ti fa sentire meglio. Forse la paura avrà più cose da dire; tu, comunque, scegli la speranza».
#boycottquatar2022