Anna Camaiti Hostert
Cartolina dall'America

L’allarme dei cento

«La nostra democrazia ora è a rischio. La storia ci giudicherà per quello che facciamo in questo momento»: è il grido d'allarme firmato da cento intellettuali statunitensi che accusano il Partito Repubblicano di essere rimasto in ostaggio di Trump e della destra estrema e razzista

Riportato da molti giornali nazionali, è apparso ieri un allarmante appello firmato da più di 100 intellettuali che dichiarano: “La nostra democrazia è adesso a rischio. La storia ci giudicherà per quello che facciamo in questo momento”. Sono professori di Scienze politiche, di Sociologia, di Storia, di Scienze della comunicazione e di molte altre discipline a cui in continuazione se ne stanno aggiungendo di nuovi. A cosa si riferiscono questi studiosi appartenenti a istituzioni che includono tutte quelle della Ivy League, ma anche Stanford, Duke, Vanderbilt, Johns Hopkins e Notre Dame, oltre a molti appartenenti a università pubbliche di stati repubblicani come quelle dell’Ohio, del Tennessee, del Texas, dello Utah e dello West Virginia?

Gli stati a maggioranza repubblicana stanno proponendo o addirittura implementando cambiamenti radicali alle leggi elettorali e alle procedure di voto che, secondo questi studiosi non garantiscono più le condizioni minime per elezioni libere e giuste, “politicizzando l’intero processo elettorale”. Tra di esse gli studiosi ne enumerano alcune che ritengono assai pericolose:
1) estendere il potere di annullare i risultati elettorali, basandosi su affermazioni non comprovate,
2) restringere l’accesso al voto ridisegnando i distretti elettorali,
3) minacciare multe e accuse di comportamenti criminali per intimidire lavoratori e amministratori non schierati politicamente,
4) limitare i procedimenti di voto anticipato o per posta,
5) appellarsi a categorie come “purezza” e “qualità” del voto, concetti che si riferivano soprattutto nel sud al mantenimento delle leggi di segregazione razziale (leggi Jim Crow).

Le accuse si rivolgono soprattutto al Partito repubblicano che, ormai nelle mani di Trump, continua a non smentire le false accuse dell’ex presidente di avere vinto le elezioni, accuse ormai sconfessate da diversi tribunali a livello nazionale. Anzi le alimenta sull’onda delle sue recenti affermazioni che pericolosamente incoraggiano le false speranze dei suoi elettor. Trump infatti dice che sarà reinsediato alla Casa Bianca nel mese di agosto.

Che il partito repubblicano stia subendo un’involuzione pericolosa e senza precedenti in questa direzione è provato, tra gli altri, da due fatti recenti. Il primo è che una sua deputata di nobile lignaggio come Liz Cheney, figlia di quel Dick Cheney vice presidente degli Stati Uniti sotto George W. Bush e non certo una colomba, è stata sconfessata e rimpiazzata da una fedelissima di Trump dopo che ha asserito che l’ex presidente non ha vinto le elezioni e che è assurdo che continui a dire il contrario. Aveva inoltre votato a favore del suo impeachment. E poi c’è la storia recentissima del generale Michael Flynn già parte dell’amministrazione Trump da lui in seguito licenziato perché aveva mentito, ma poi riabilitato. L’alto ufficiale, seguace della setta QAnopn che fa affermazioni su cui non è neanche il caso di soffermarsi tanto sono deliranti, in un recente convegno da essa promosso, ha affermato, salvo come sua abitudine smentire l’evidenza di una videoregistrazione, come scrive il Washington Post, che non capiva perché non si potesse attuare negli Stati Uniti un colpo di stato come avvenuto nel Myanmar. La gravità di tale affermazione da parte di un militare di alto rango è ovviamente senza precedenti per gli Stati Uniti.

A questo si aggiungano le recenti modificazioni sul piano elettorale di cui sopra e su cui ha richiamato l’attenzione del Congresso il presidente Biden che, partendo dal restringimento delle leggi elettorali in Texas ha accusato il partito repubblicano di un “assalto alla democrazia” soprattutto in riferimento alle minoranze etniche di colore. E bene ha fatto a recarsi a Tulsa in Oklahoma rievocando il centenario dell’assalto ai neri di un quartiere della città da parte di una folla armata di bianche, parlando per la prima volta di un vero proprio “massacro” di famiglie innocenti trucidate a sangue freddo solo per il colore della loro pelle.

Ogni giorno di più la questione razziale diviene il termometro della democrazia in America. Ed è per questo che gli studiosi hanno firmato l’appello, mettendo in guardia l’opinione pubblica riguardo a leggi antidemocratiche che già in molti stati del sud e non solo, sono state o stanno per essere adottate. Soprattutto a svantaggio dei neri e delle minoranze etniche che più facilmente possono esserne il bersaglio. Tra questi stati ci sono l’Arizona, l’Arkansas, la Florida, la Georgia, l’Iowa, il Montana e il Texas. L’appello si conclude chiedendo “un set comprensivo di standard nazionali che assicurino la sacralità e l’indipendenza dell’amministrazione elettorale, che garantiscano a tutti gli elettori di esercitare il proprio diritto al voto, che prevengano i brogli elettorali (gerrymandering) i quali permettono ai partiti di maggioranza nello stato in questione, di approfittarsi nel ridisegnare i distretti elettorali e che regolino infine l’etica e il giro di denaro in politica”.

Riconoscendo che è sempre meglio che certi criteri nelle riforme democratiche siano bipartisan ricordano tuttavia che data la storia recente a partire da Obama questo non sembra possibile al momento. E pertanto invocano la necessità di sospendere quel processo di ostruzionismo (filibuster) che, messo in atto da parte dei repubblicani, impedisce di far passare una legge sugli standard elettorali a livello nazionale tale da “garantire ugualmente a tutti gli americani il diritto al voto e di impedire ai legislatori degli stati di manipolare le regole per creare i risultati che preferiscono”.

Che si siano mossi gli intellettuali che di solito preferiscono, almeno in America, confrontarsi nelle sedi accademiche piuttosto che nell’arena sociale, è il segno della pericolosità della situazione, ma anche della necessità, ora più che mai, di una attenzione e di una mobilitazione senza precedenti da parte di tutta l’opinione pubblica chiamata a vigilare sui processi democratici. 

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