Due libri a cura di Pasquale Di Palmo
Riscoprire Desnos
Tra i surrealisti è in Italia il meno conosciuto e indagato. Ora due volumi (un’antologia poetica e una biografia per immagini) riportano all’attenzione la figura e l’opera dell’autore morto di tifo nel lager di Terezín a un mese dalla liberazione
Tra le figure che hanno animato la grande stagione del movimento surrealista, a partire dagli anni Venti del secolo scorso, quella di Robert Desnos, certo tra le più affascinanti, è rimasta in Italia come curiosamente in ombra: poche ed episodiche le traduzioni della sua poesia così come i contributi critici, a prova di un’attenzione distratta e forse non del tutto centrata sulla complessa singolarità del poeta. In controtendenza a tale quadro si deve a Pasquale Di Palmo un importante tentativo di messa a fuoco grazie a due volumi a sua cura che escono ora in contemporanea e sono rispettivamente la prima antologia in traduzione italiana dei versi di Desnos (La colomba dell’arca, Milano, Medusa 2020, pp. 173) e un agile profilo del poeta costruito per immagini (Le bonjour de Robert Desnos, Milano, MC, 2020, pp. 155). Di Palmo, che è appassionato conoscitore delle avanguardie storiche e finissimo bibliofilo (suo è il prezioso Album Antonin Artaud, uscito nel 2010 presso Il Ponte del Sale), ha il merito con questo doppio contributo di riproporci un poeta nella sua sorprendente varietà di forme e motivi, collocandolo nelle tematiche e nei riti del suo tempo.
Autore visto spesso frettolosamente come “difficile” e incasellato a titolo esclusivo nelle distrette della scrittura automatica, Robert Desnos seppe invece complicare il suo percorso di poesia aprendosi a più sperimentazioni compresa quella, alla fine della troppo breve esistenza, della forma chiusa tramata dal verso alessandrino caro alla tradizione francese. Pure all’époque des sommeils, delle esperienze medianiche che si svolgevano a Parigi in rue de Grenelle, presso la Centrale surrealista, o nel leggendario appartamento di Breton in rue Fontaine, Desnos fu insieme a René Crevel colui che meglio seppe dar forma alle corrispondenze del sogno, ai viaggi ipnotici nel quadro del programmatico “disordine formale”. «Chi non ha visto la sua matita deporre sulla carta senza la minima esitazione e con una rapidità prodigiosa, quelle stupefacenti equazioni poetiche, – è Breton che parla, nel bellissimo racconto Nadja – e non ha potuto come me accertarsi che non potevano essere state preparate in anticipo, anche se è in grado di valutarne la perfezione tecnica e di apprezzare il meraviglioso colpo d’ala, non può farsi un’idea di ciò che esse implicavano allora, del loro valore oracolare assoluto che assumevano. Bisognerebbe che uno di coloro che hanno assistito a quelle innumerevoli sedute si prendesse la pena di descriverle con precisione, di situarle nella loro vera atmosfera».
Un’atmosfera, non occorre sottolinearlo, di fortissima suggestione, in cui confluivano motivi di rivolta, ispirazioni libertarie, proiezioni dell’eros, un’idea di bellezza convulsiva, temi tutti cui il primo surrealismo, quello del Manifesto del 1924 redatto da Breton, conferì enorme risonanza, quale un lievito di lunga durata nel mondo della poesia e delle arti ben oltre la vita stessa del movimento. Quanto al movimento occorre dire che la prima ispirazione libertaria – Le seul mot de liberté est tout ce qui m’exalte encore (Breton) – verrà a infrangersi presto sullo scoglio dell’impegno politico. A ridosso dei cruciali anni Trenta – del ’28 è il Secondo Manifesto – l’adesione al partito comunista di Aragon e Breton (quest’ultimo di lì a non molto deluso) produrrà infatti fratture non più sanabili e diaspore, polemiche accesissime tra gli antichi sodali. Desnos ha ormai intrapreso un suo proprio cammino poetico, e Di Palmo, a fianco alle sue belle traduzioni che lo documentano per il lettore italiano, ce ne propone nel delizioso volumetto su citato non poche sfaccettature proprio a partire dalle immagini che sequenziano le raffinate pubblicazioni d’arte, i viaggi, le stimolanti amicizie (Man Ray, André Masson, Picasso, Carpentier, Artaud, Jean-Louis Barrault) e i due grandi amori: l’affascinante e sfortunata cantante Yvonne George e Youki (la neve, in giapponese) al centro del sensibile modificarsi della sua scrittura che dalle analogie irriducibili alla logica si fa tonale e giunge fino al cantabile: J’ai tant rêvé de toi que tu perds ta réalité. / Ti ho sognato così a lungo che tu perdi la tua natura reale. È proprio Yvonne la così sognata mystérieuse, da cui il titolo di una sezione di svolta del decisivo Corps et biens, il volume uscito nel 1930 da Gallimard che raccoglie le poesie scritte dal ’19 al ’29; è sempre Yvonne L’étoile de mer dei versi che ispirano la poesia per immagini del bellissimo cortometraggio di Man Ray, pure del ‘28.
Nel frattempo, sfidando la disapprovazione dell’ortodossia surrealista, Desnos ha preso a collaborare come critico a numerosi periodici e alla radio con una fortunata riduzione lirica di Fantômas, ha scritto poesie per l’infanzia, pubblicato altri versi e prose, lavorato con importanti artisti, è stato in Spagna dove ha incontrato Lorca e Machado, ha rivisto Buñuel… Di Palmo ci racconta tutto questo con mano lieve, partendo dalle 44 immagini che ha selezionato – corrispondenti idealmente a ognuno degli anni vissuti dal poeta – fino a condurci ai giorni della drôle de guerre, quando anche Desnos è mobilitato e fatto brevemente prigioniero, prima di rientrare a Parigi. Nella Francia occupata il suo spirito libertario lo porta a legarsi alla Resistenza, a pubblicare poesie su fogli clandestini mentre riprende, per vivere, le collaborazioni con i giornali ormai controllati dalla censura tedesca. Arrestato dalla Gestapo il 22 febbraio 1944 nella sua casa in rue Mazarine, imbocca una via crucis avente per stazioni Auschwitz, Buchenwald, Flossenbürg, Flöha, Terezín, dove muore di tifo a un mese dalla liberazione del lager, l’8 giugno del 1945. È della giovane infermiera ceca Aléna Tesarova l’ultima sua immagine: «Quando gli fu domandato se conoscesse il poeta Robert Desnos, rispose: “Sì, sì! Robert Desnos, poeta francese, sono io! Sono io!”. Robert Desnos era come gli altri, emaciato, privo di forze, con i grandi occhi annegati nelle orbite profondamente scavate, le mani, lunghe e belle, come estranee e già morte sulla coperta. Ma i suoi occhi brillavano, non solo a causa della febbre, e la sua bocca stupita sorrideva, sorrideva… Chiamava quell’alba grigia il suo “mattino più mattino”, esprimeva la gioia di udire il mio francese non proprio eccellente e di cessare di essere un animale numerato per tornare il poeta Robert Desnos».