Lidia Lombardi
Lo scaffale degli editori

Strega per dodici

La prevedibile "dozzina” dello Strega (con Carofiglio e Veronesi in lizza per vittoria finale) apre la stagione dei premi, quelli ai quali gli editori puntano per avere conferme importanti sulle proprie scelte strategiche

Il Premio Strega ha scelto i dodici libri candidati all’alloro letterario italiano più prestigioso. La “dozzina” – scelta dal comitato direttivo su un totale di 54 titoli presentati dai più disparati editori: gruppi, indipendenti, case sparse in tutto il Paese – doveva essere resa nota nello scenario dell’Auditorium Parco della Musica di Roma domenica 15 marzo nel corso della kermesse “Libri Come”. L’emergenza sanitaria impone una comunicazione virtuale dell’elenco che andrà a concorrere per la “cinquina” e infine per la serata conclusiva, il 2 luglio, e speriamo che la festa sia come sempre al Ninfeo di Villa Giulia e non senza volti e senza scenario, se non quello del web. Ecco i dodici scelti: Gianrico Carofiglio con La misura del tempo; Sandro Veronesi con Colibrì; Valeria Parrella con Almarina; Daniele Mencarelli con Tutto chiede salvezza; Gian Arturo Ferrari con Ragazzo italiano; Silvia Ballestra con La nuova stagione, Marta Barone con Città sommersa; Giuseppe Lupo con Breve storia del mio silenzio; Alessio Forgione con Giovanissimi; Remo Rapino con Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio; Gian Mario Villalta con L’apprendista e Jonathan Bazzi con Febbre.

Nel gruppo di partenza (oltre cinquanta titoli) ce n’erano alcuni da segnalare in modo particolare, come esempi di una letteratura italiana vitale e capace di rimpinguarsi con i nomi di nuovi validi autori. Come è il caso di Claudio Lagomarsini, al suo primo romanzo con Ai sopravvissuti spareremo ancora (206 pagine, 16 euro, clicca qui per leggere la recensione di Andrea Carraro). L’editore è Fazi (era in gara anche con il giallo di Giovanni Ricciardi, La vendetta di Oreste), coraggiosa casa romana che ha saputo puntare su questo ricercatore di Filologia Romanza dell’Università di Siena finora autore di racconti. Il quale già nel titolo infila due indizi sul contenuto: un surplus di violenza e insieme, nella sovrabbondanza intimidatoria dell’avvertimento, di risibile spacconeria. E infatti spacconi e imbecilli, vanitosi e superficiali, egoisti e meschini sono i protagonisti della storia. In una cornice temporale di inizio Duemila, quando ancora si rapportavano gli euro alle lire, e in uno sfondo di provincia italiana piccolo-borghese. È estate in un paese all’ombra delle Alpi Apuane, una stagione appiccicosa che due famiglie innaturalmente unite passano in tre villette con il giardino che confina e l’abitudine alle serate in comune sotto un gazebo, le teglie di verdure, la pasta con acciughe e pomodorini, il gelato affogato nel whisky, i bicchieri di vinaccio sfuso mandati giù in abbondanza. Di quelle serate ritrova la memoria un giovane uomo venuto dal Brasile per curare la vendita della casa della madre, trasferitasi in un appartamento più piccolo con il secondo marito, ora paralitico. E sgombrando la residenza dei residui scatoloni, egli ritrova in cinque quaderni il romanzo che suo fratello maggiore, Marcello, aveva scritto durante le vacanze estive. Tre mesi autobiografici di un quasi diciottenne, timido, appassionato di letteratura, caparbio a tradurre dal latino invece che andare in spiaggia per i soliti riti adolescenziali che invece lui, soprannominato il Salice per la sua propensione alla lacrima anche di coccodrillo, predilige. Ebbene, Marcello racconta e si racconta, a tutti i comprimari affibbiando un soprannome: Wayne è il nuovo compagno della madre, un patrigno sbruffone fissato con i gangster e con le gag televisive di “Paperissima”; Tordo è il vicino di casa dal torace sproporzionato rispetto alle gambette. Accudisce di malavoglia alla moglie paralitica e intanto se la fa con la nonna di Marcello e del Salice, un’ottantenne ancora in calore, che va matta per i ricordi da sciupafemmine dell’amante. Volgari doppi sensi animano le cene sotto il gazebo, mentre vanno e vengono i figli di primo letto di Wayne, un ragazzo che spaccia pasticche e una ragazza che sbava per il frontman di una band. L’afa si spalma addosso a Marcello come il tedio provocato dai discorsi che ascolta, senza potersi sottrarre. E più volte gli capita, protagonista razionale e sensibile, a frapporsi ai rigurgiti di rancori che s’intrecciano attorno alle tre villette – quella della mamma, della nonna e di Tordo – per i più futili motivi come la contesa di un serbatoio per l’acqua dell’orto comune o per preoccupazioni gravi legate alla doppia incursione di ladri. Lagomarsini procede spedito nel groviglio di insipido tran tran, mischiando un lessico giovanilistico o da tv nazionalpopolare ai grumi introspettivi di Marcello, alla sua nostalgia del padre espatriato in Brasile, ai suoi imbarazzi davanti alle insensate cene, magari fissando “gli arcipelaghi di goccioline d’olio che galleggiano nell’acqua delle zucchine” per straniarsi dalle scempiaggini oscene dei commensali. E conducendo il lettore verso un finale tragico quanto inaspettato, dove davvero impera la banalità del male.

Un romanzo, il suo, che avrebbe davvero meritato di entrare nella dozzina. Senza sfigurare accanto a un altro blasonato titolo, già in odore di vittoria. È Il colibrì di Sandro Veronesi, al ritorno allo Strega dopo aver vinto nel 2006 con Caos calmo. Una storia firmata come quella di Lagomarsini da un autore toscano della quale abbiamo scritto su Succedeoggi (clicca qui per leggere la recensione) mettendo l’accento sui moltissimi meriti più che su qualche defaillance. E che ha ottenuto recensioni in massima parte positive per l’onestà con la quale Veronesi dipinge anche lui una famiglia – in questo caso alto borghese – per lo più sfilacciata dal disamore e soprattutto colpita da una serie di tragedie alle quali sa far fronte, dall’adolescenza alla vecchiaia, il protagonista Marco Carrera, esempio di solitaria resilienza perché anche lui, come il Marcello di Lagomarsini, allontanato dal fratello minore per i casi della vita. Una resilienza tanto convinta da additare comunque con lo strumento della consapevolezza intellettuale e dell’etica la via della speranza ai contemporanei.

Piace segnalare, tra gli aspiranti alla dozzina, anche un altro esordio alla narrativa, assai importante. Quello di Gian Arturo Ferrari, per anni potente e illuminato editor e direttore generale del Gruppo Mondadori. Gareggia con Ragazzo italiano (320 pagine, 18 euro) che segna il ritorno di Feltrinelli al Premio Strega. Le pagine ruotano anche qui attorno ad un giovane, un adolescente, Ninni, che s’affaccia alla vita più consapevole nel dopoguerra, attraversando il tramonto della civiltà rurale emiliana, le difficoltà della prima “rivoluzione industriale” lombarda, l’exploit della Milano socialdemocratica. Attraverso gli occhi del ragazzetto cresciuto con la nonna, scorre la storia del secondo Novecento italiano memore dell’asprezza quotidiana, della frugalità a un passo dalla indigenza, ma proiettata caparbiamente verso il futuro. Allo stesso modo il ragazzo si scava quello che sarà il suo posto nel mondo, con una forza di volontà inarrestabile, nel solco e nel vettore della Storia. Un romanzo di formazione dove la scuola è centrale ma dove poi l’esperienza interpersonale di Ninni, affollata di tipi che ci pare di riconoscere, plasma il carattere. Ferrari affresca l’Italia che è stata senza sbavature, piuttosto con pagine talvolta crude, spesso cristalline, soprattutto sincere e precise.

Che possano aiutarci, questi e altri libri, a superare lo smarrimento attuale e a ritornare nel nocciolo della nostra umanità.

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