Viaggio in Patagonia/1
Cercando Magellano
Da Rio de la Plata (dove Magellano scoprì che il passaggio doveva essere molto più a Sud) a Puerto Deseado, terra di pinguini e leoni marini: viaggio lungo una grande cicatrice della storia
Vi è molta Italia in Patagonia, più di quanta ne abbia vista Bruce Chatwin nel suo famoso libro In Patagonia… Vi è l’Italia di Antonio Pigafetta, vicentino, che insieme ad altri 35 italiani accompagnò Magellano nel suo giro intorno mondo (1519/1522). Vi è poi l’Italia dei salesiani di don Bosco presenti in tutte le città della Patagonia sia argentina che cilena con le loro Chiese, collegi, biblioteche, i quali con il loro lavoro sono diventati i più abili diffusori della lingua italiana . Vi è poi l’Italia della Fiat, dell’ENEL, dell’ENI e delle mille altre forme di lavoro italiano a sud del sud del mondo. Fino ad Ushuaia, praticamente costruita dagli italiani nel secondo dopoguerra.
Io sono sulle tracce di Magellano, leggendo il diario del suo segretario Pigafetta, imbarcatosi sulla nave Trinidad (che sarà bruciata dai portoghesi) e di quelle di Monsignor Giuseppe Fagnano, morto nel 1916 a Punta Arenas, mandato qui da don Bosco «per dilatare sempre più il regno di Gesù». Era un piemontese roccioso e lungimirante che ha lasciato la sua impronta in molte città che dànno sull’atlantico da Buenos Aires alla Terra del Fuoco, dove un grande lago riporta il suo nome.
Perché Magellano e don Bosco? Perché in tutti i luoghi dove approdò Magellano, vi sono case salesiane fondate quasi tutte fra la fine dell’800 e l’inizio del 900, le quale sono una vera e propria memoria storica, spesso uniche strutture ad organizzare un embrione di vita civile, in territori dove da sempre regnano la solitudine, il freddo, l’isolamento dal resto del mondo.
La mia ricerca inizia dal Rio de la Plata dove Magellano arriva verso la fine di marzo del 1520, ed i salesiani nel 1875 per assistere gli emigranti italiani. La flotta di Magellano, composta da cinque navi, si aggirò a lungo alla foce del fiume, la quale è larga più di 100 chilometri, pertanto agli occhi degli europei poteva giustamente sembrare un braccio di mare o l’inizio di uno stretto che portava all’oceano pacifico, allora chiamato mar del sur, da contrapporre all’atlantico chiamato mar del nord.
Pigafetta nota che in questo “mar dolce” vi sono isole piene di pietre preziose. L’osservazione può sembrare stravagante, (critica che spesso è stata fatta al vicentino) invece è vera ed è degna di approfondimento. Qui, i fiumi americani vengono dalla catena delle Ande e attraversano migliaia di chilometri, erodendo nella loro furia montagne, pianure, rocce e pianure, trascinando fino all’oceano quanto riescono a strappare alla terra. Se incontrano un’isola depositano quanto hanno portato. Questo fenomeno che dura da migliaia di anni ha creato molte isole delle pietre preziose che tanto stupirono gli spagnoli. Un fenomeno simile si ripete anche verso l’Oceano Pacifico. Pablo Neruda che aveva costruito sul mare di Isla Negra la sua casa, conosceva la spiaggia delle agate, dove ad ogni acquazzone era facile trovare pietre preziose di diverso valore. Ed a questa spiaggia ha dedicato una pagina del libro Una casa sulla sabbia.
La forza delle acque del fiume è tale che durante i secoli della colonia qui venivano raccolti i tronchi d’albero tagliati nel Paraguay, migliaia di chilometri a nord, e portati dalla corrente fino alle sponde del «Vicereame del Rio de la Plata» fondato da Carlo III di Borbone nel 1777.
Ho sempre immaginato lo sconcerto dei 250 marinai a bordo delle cinque navi nel marzo del 1520 quando si resero conto che navigando il fiume verso l’interno vedevano l’acqua diventare sempre più dolce, il fenomeno delle maree non si riproduceva, anzi che l’acqua correva sempre in una sola direzione. Lo sconcerto aumentò la determinazione di Magellano, il quale decise di invertire la rotta, navigando se necessario fino al Polo Sud, deciso a non ritornare in Spagna e dichiararsi sconfitto davanti all’imperatore Carlo V. Di sicuro, l’entusiasmo del loro comandante non fu condiviso dai marinai, perché sapevano che da quel momento avrebbero navigato alla cieca, sia perché non conoscevano la rotta sia perché il loro comandante non consultava nessuno circa il futuro della spedizione.
In verità, anche Cristoforo Colombo aveva agito da solo nel 1492, non comunicando ai marinai le distanze percorse ma il viaggio verso San Salvador durò 33 giorni, mentre la ricerca dello Stretto si prolungò per 10 mesi. Gli argonauti di Magellano esplorarono tremila chilometri di costa nei mesi invernali con una temperatura che spesso scende sotto zero, le giornate si accorciano fino a venti ore di buio e quattro di luce, dovendo mangiare razioni ridotte.
C’è da stupirsi per questa decisione, tanto che mi chiedo sempre cosa rappresenti il Sud del mondo per i vagabondi del nord Europa. Potremmo rispondere che il Sud rappresenta i piedi della terra e nei piedi vi è tutta la saggezza del viandante. I marinai sono consapevoli di questa verità, ma essi alla terra sostituiscono l’acqua ed ai piedi la chiglia della nave. Anche essi sanno che tutta la saggezza della nave è riposta nella chiglia, e al modo come essa tocca il mare. Ma sia la saggezza dei viandanti sia quella dei marinai viene messa a dura prova quando si arriva alla Patagonia e alla Terra del Fuoco. Il contatto con la terra diventa selvaggio e la verità dell’andare diventa una oscura metafora della vita.
Quando Magellano decise di andare a Sud non sapeva che cosa avrebbe trovato davanti alla prua delle navi, allo stesso modo quando don Bosco inviò i suoi missionari in Patagonia nessuno sapeva come si sarebbero trovati di fronte ad un mondo sconosciuto, ma tutti erano consapevoli delle terribili prove da affrontare.
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Pigafetta costruisce il suo diario raccontando i luoghi dove approdano, più che le traversie occorse durante il viaggio. Perciò dopo il soggiorno alla foce del Rio de la Plata, arrivano alla penisola di Valdez, la sorpassano e approdano a Puerto Deseado. Non sono riuscito ad arrivare a Puerto Deseado, perché la strada principale passa a 150 chilometri di distanza dal porto, e siccome gli autobus viaggiano solo di notte, dovevo fare l’autostop quando la temperatura scende sotto lo zero, i guanaco attraversano la strada in frotte numerose, il buio è totale ed i lastroni di ghiaccio la “escarcha negra” fanno scivolare ad ogni passo. Chi mi ha parlato di Puerto Deseado è un salesiano di Rio Gallegos, di 82 anni, originario di Savona, Giuseppe Saracano, che ha passato 40 anni in quel porto.
«Pigafetta – mi ha detto – vide per la prima volta i pinguini ed i leoni marini. Nel diario c’è la prima descrizione che arriva in Europa di questi “uccelli bambini” e di quei “vitelli di mare” che sono i leoni marini. Una vera riserva di carne per i marinai affamati. Il nome Deseado non lo mise Magellano ma Cavendish, comunque è un porto naturale, una baia di 30 chilometri piena di ogni specie di uccelli e mammiferi della Patagonia. Ancora oggi è così. Figurati che sono stati trovati arpioni di osso che usavano gli indios della Terra del Fuoco, i quali nei mesi invernali risalivano la costa in canoa e arrivavano qui per cacciare. Poco più di un migliaia di chilometri in canoa, nudi, orientandosi a vista, evitando le tempeste. Infatti Pigafetta descrive con una minuzia di particolari ed una ingenuità descrittiva questi animali che annunciavano l’ingresso nel mondo dell’Antartide, dove soffiano sempre “venti furiosi e grandi tempeste”. Per capire la violenza delle acque, basta che fai un giro sulla costa: le navi naufragate ti dimostrano la verità delle parole di Pigafetta», così ha concluso il nostro colloquio il missionario, il quale aveva fretta di ritornare all’oratorio, dove ad 82 anni si metteva a giocare con i bambini, facendoli saltare sulla corda.
La Provincia di Santa Cruz lo ha dichiarato «santacruceño destacado», cittadino onorario della provincia che, vale la pena ricordarlo, è grande come l’Italia.
Pigafetta ricorda che in una ora uccisero tanti pinguini da riempire le cinque navi di carne dopo due mesi di navigazione dal Rio de la Plata. Il nome di questa baia mi è rimasta nel cuore sia per ritrovare i luoghi di cui mi ha parlato Saracano, sia perché i nomi dei luoghi sono come cicatrici nella geografia e come sappiamo le cicatrici restano a lungo sulla pelle, anzi il più delle volte bruciano molto di più nell’anima che sulla pelle. Puerto Deseado, un luogo del mondo popolato da pinguini e dai leoni marini, al quale si arriva dopo essere scampati ad una bufera.
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1. Continua. Le fotografie sono di Nicola Bottiglieri