Itinerari per un giorno di festa
Il ritorno dell’Efebo
Il raffinato bronzo ispirato a canoni di Prassitele lascia il caveau di Palazzo Massimo a Roma e ritrova la sua sede naturale: Sutri. Una ragione in più per recarsi in pellegrinaggio nell’antica cittadina laziale carica di storia e di storie
Sutri la misteriosa, Sutri la schiva ha aggiunto un’altra pietra dura alla collana arcaica che la adorna. Una gemma più tarda, quando gli imperatori romani grandeggiavano e lo stile ellenistico si affiancava a quello repubblicano, nelle ville dei patrizi che sceglievano questo spicchio di Lazio etrusco a loro buen retiro. È il cosiddetto Efebo di Sutri, tornato nella cittadina per i prossimi due anni, uscito dal caveau di Palazzo Massimo della Capitale, una delle sedi del Museo Nazionale Romano. Un raffinato bronzo alto poco meno di un metro, ispirato a canoni prassitelici. Un prezioso soprammobile nella case dei nostri avi che ora è esposto nel Museo del Patrimonio dove il mecenate Emmanuele Emanuele, che si è battuto a lungo per farlo uscire dalla “clandestinità” romana e portarlo nella città d’origine, vorrebbe rimanesse sempre.
L’Efebo fu infatti trovato cent’anni fa, nel novembre 1912, da due contadini di Sutri, Giacomo Brigotti e Giuseppe Bomarsi, i quali stavano arando un terreno. Nella logica accentratrice che ispirava i nostri Beni Culturali fu trasferito a Roma. Ma la città così pregna di antichità non riesce a esporre tutto. Ed ecco così la collocazione in deposito della statuetta che pure affascina nella sua molle posa. Il giovinetto di bronzo appare come un divo per teenagers dei nostri giorni: con la mano destra che quasi pigramente sistema i capelli mentre nella sinistra doveva tenere lo specchio, ora perduto, nel quale scrutare il suo volto.
Suggestivo e misterioso, come questa cittadina, tanto centrale nella cultura etrusca da colpire Francesco Petrarca. «Ecco Sutri, sede diletta a Cerere, e antica colonia di Saturno: ove non lungi dalle mura mostrano il campo che narrano fosse il primo d’Italia a ricevere la sementa del grano. Cingono d’ogni parte il paese colline senza numero, né troppo alte né di malagevole salita e di nessuno impedimento allo spaziar della vista, infra le quali s’aprono sui convessi fianchi ombrose e fresche caverne, e sorge frondoso il bosco a riparare l’ardore del sole», scriveva il poeta toscano nel 1337 compendiando l’appeal di questo borgo che appunto deve il suo nome al dio Saturno. E dove due anni fa il ministro per i Beni Culturali Dario Franceschini ha impalmato la capogruppo Pd del Campidoglio Michela Di Biase dicendo sì nel Palazzo del Comune, nella rettangolare e severa piazza ingentilita da una fontana e chiusa da un arco capace di scandire il tempo grazie all’orologio che lo sormonta. Hanno visto, gli sposi istituzionali, così come fanno i visitatori, l’antiquarium nel cortile del palazzo, il sarcofago romano adattato a fontana, i resti architettonici. Ma molto più, del mondo latino, vedono all’ingresso dell’abitato, ai piedi della rupe di tufo che fa da base a case e chiese: è percorsa da caverne, rifugio e sede di antichi riti. Un mitreo umido conserva un simbolico affresco: un arciere lancia contro un cervo frecce che miracolosamente tornano indietro. È il vestibolo di un ipogeo etrusco, poi appunto mitreo, infine luogo di culto cristiano. La chiesa, chiamata Madonna del Parto, è divisa in tre navate ma tanto stretta che le due laterali sono simili a corridoi sopraelevati; tutte e tre conducono lo sguardo all’altare affrescato con una Natività, meta di pellegrinaggio nei prossimi giorni.
La chiesa-mitreo è solo una tappa del percorso del parco archeologico di Sutri. Un sentiero conduce a Villa Staderini, fiera del giardino all’italiana, delle querce, dei lecci, delle rovine romane e medievali che include come il Castello di Carlomagno, dove probabilmente avvenne l’incontro tra il re franco e il papa Leone III. Perché Sutri – la superba cinta da mura medievali merlate, il luogo calpestato dall’esercito a cavallo di Furio Camillo e nel Lazio vetus la capitale dei Pelasgi fondata da Saturno, primo re della penisola italica e padre di tutti gli dei – fu anche e soprattutto snodo del potere dei Papi per la sua posizione di avamposto strategico della città di Roma. Proprio qui, dove c’è una delle tappe della via Francigena, cominciò il dominio temporale della Chiesa. Avvenne allorché il re longobardo Liutprando offrì città e terre circostanti a Papa Gregorio II. Era l’Anno Domini 728. Poco più di trecento anni dopo, nel 1046, il concilio indetto dall’imperatore Enrico III mise fine allo scisma che vedeva opporsi tre papi, Gregorio VI, Benedetto IX e Silvestro III e impose sul soglio pontificio Clemente II. E ancora, nel 1111, in questo angolo di Tuscia, Enrico V e Pasquale II firmarono il trattato che concludeva la guerra per le investiture.
Racconta tutto questo Sutri con templi medievali, resti di fortificazioni, torri sparse nell’agro. Ad alimentare anche leggende nelle quali sono protagonisti spettri spesso cinti da armatura. E che l’intrico delle vie strette in città o degli arbusti nelle campagne favorisce. Dove lo sguardo spazia è nella veduta dall’alto dell’anfiteatro romano, uno scorcio inatteso al termine di un viale alberato di Villa Staderini. Il monumento è completamente scavato nel tufo, rivestito in tante parti dal muschio, cinto dai lecci, verdeggiante di erba nella spianata. Lo scoprirono gli abitanti locali nel 1835: conservava perfettamente la forma ellittica e i tre ordini di gradinate che potevano contenere 9 mila persone. Da qui vorrebbe partire Emmanuele Emanuele per il rilancio di Sutri, sua città d’elezione: vi immagina lo scenario per spettacoli teatrali, di musica, di danza, come in una novella Spoleto. Un exploit per un angolo di Italia minore che in questi giorni si bea del ritorno del suo Efebo e che merita un laico pellegrinaggio.