Periscopio (globale)
I dolori del giovane Salinger
Frédéric Beigbeder ha ricostruito la passione di Salinger per la giovanissima Oona O'Neill: una storia controversa che si risolse in nulla, quando Oona sposò, tra mille polemiche, il "vecchio" Chaplin
L’amore è più bello quando è impossibile, quando la reciprocità non lo trasforma in routine. “Love is a touch and yet not a touch”, scrive Salinger in un racconto giovanile, e da questa frase, fra le altre, prende le mosse l’astuto e riuscito tentativo dello scrittore francese Frédéric Beigbeder di rievocare l’amore di Salinger per Oona O’Neill, figlia del drammaturgo Eugène e poco più tardi moglie di Charlie Chaplin. Un amore viscerale e disperato, in un primo momento condiviso dalla ragazza appena quindicenne, e poi ripudiato quando l’anno successivo Salinger parte per la seconda guerra mondiale – parteciperà tra l’altro allo sbarco in Normandia – e Oona incontra invece il maturo Chaplin, che sposerà, seguirà nell’esilio volontario in Svizzera e da cui avrà otto figli. A quanto pare Oona era di rara bellezza, con un fascino da vendere, e aveva ai suoi piedi la New York che contava. Di lei l’amico comune Truman Capote, che di Salinger non poteva certo essere considerato un rivale, dirà che a quell’età aveva un solo difetto: era perfetta, e che, a parte questo, era perfetta. Le foto che ci rimangono della ragazza parlano da sole. Del tutto imperfetto, in compenso, doveva essere il giovane Salinger: pieno di sé, irritabile e naturalmente geloso. (“Sono il tuo Hitler e tu sei la mia Francia”, scrive Salinger nella lettera a Oona dell’8 maggio 1942). L’analisi di Beigbeder è impietosa: quell’amore, per passionale e platonico che fosse, non poteva durare. E infatti non durò.
Il non-romanzo in questione è Oona & Salinger, uscito in Francia due anni fa e ora tradotto in italiano da Giovanni Pacchiano per i tipi di Mondadori con il titolo Un amore di Salinger pp.257, 19 Euro). Perché parlo di non-romanzo? Ma perché Beigbeder ci ha abituati già con altri suoi libri, peraltro meno riusciti di questo, a una singolare commistione di realtà e finzione narrativa, che – riprendendo una formula coniata originariamente dalla storica direttrice di Vogue, Diana Vreeland – lui definisce “faction”. In pratica di tratta di una fusione fra il racconto immaginario, basato però su fatti reali e documentati, di cosa abbia potuto accadere in un dato momento storico o, come in questo caso, nella vita di due personaggi, e una serie di ragionamenti e illazioni che rispostano l’attenzione sul racconto autobiografico del narratore stesso, con un gioco di rimandi e rispecchiamenti a volte piatto, e altre volte, invece, piuttosto sofisticato. I precedenti e modelli letterari cui s’ispira sono molteplici: sono stati tirati in ballo, a titolo d’esempio, tanto La confessione di un figlio del secolo di de Musset quanto A sangue freddo di Capote, per non parlare di Hemingway, Fitzgerald e dello stesso Salinger, che a quanto pare è il suo scrittore preferito. L’ironia con cui Beigbeder condisce il suo racconto fa poi il resto e, quando funziona, è un vero balsamo contro la seriosità.
“C’è sempre un momento,” scrive Beigbeder, “in cui un innamorato si sente come un disoccupato che fa un colloquio di lavoro,” del tutto succube, quindi, delle reazioni della sua interlocutrice. Davanti ad Oona, Salinger si ritrova appunto in questa situazione, dovendo oltretutto accettare la compagnia esuberante e invadente delle detestate amiche di lei (le rampolle viziate e miliardarie Gloria Vanderbilt e Carol Grace), oltre che di Capote, e tutti i capricci della ragazza, sempre più altera, sempre più sfuggente. È interessante notare come tutte e tre le amiche avranno compagni molto più anziani di loro: a parte la relazione già citata fra Oona e Chaplin, Gloria Vanderbilt sposa nel 1941, appena diciassettenne, un addetto stampa, Pat DiCicco, che di anni ne aveva trentadue, e diventerà in seguito l’amante di Orson Welles (classe 1915), il quale a sua volta aveva tentato un approccio (fallito) con Oona, mentre Carol alla stessa età delle amiche era la fidanzata del trentatreenne William Saroyan. (Carol diventerà poi la moglie di Walter Matthau, ma questa è un’altra storia.)
Alle spalle di Oona e delle sue intemperanze adolescenziali c’è un padre assente e sofferente. Dedito all’alcool, Eugène O’Neill è un uomo da sempre disperato, per tradizione familiare. Tenterà di suicidarsi a 24 anni, nel 1912; suo fratello Jamie ci riuscirà un decennio più tardi. Anche i due figli maschi di Eugène, i fratelli di Oona, finiranno suicidi. Il Lungo viaggio verso la notte fissa le coordinate di una vita difficile, mettendo in scena un padre alcolista, una madre tossicomane, un figlio affetto da tubercolosi e un altro che fa l’attore fallito. Manca la figura della figlia, Oona appunto, che del resto O’Neill aveva abbandonato quando la piccola aveva due anni, dopo aver giurato alla madre amore eterno. Secondo la spiegazione forse un po’ semplicistica ma abbastanza probabile di Beigbeder, Oona s’innamora dunque del cinquantatreenne Chaplin perché incarnerebbe il padre positivo, amorevole e di successo che non ha mai avuto. Da parte sua, Chaplin la incontra a una cena e se ne innamora perdutamente; per avere un’idea delle fattezze della ragazza che fa perdere la testa a quasi tutti gli uomini che la incontrano, da Salinger a Welles a Chaplin, basta aprire su Youtube il link seguente e vederla in azione, sia pure infagottata in un fazzolettone da contadina, che certo non le dona ma che davvero nulla toglie al suo fascino ingenuo, maldestro e puro: https://www.youtube.com/watch?v=comtYS3eQwg.
L’America profonda, che vorrebbe restare neutrale in guerra e comincia a odiare l’interventista e presunto filocomunista Chaplin, grida allo scandalo – una sedicenne, e per di più l’attore-regista è al quarto matrimonio! -, osteggia il loro amore e finisce per rafforzarlo, così come lo rafforza il disprezzo neanche troppo velato che Jerry Salinger ostenta, nelle sue lettere a Oona, per il più anziano rivale, i suoi problemi prostatici e il suo “povero usurato attrezzo”. Oona resiste però a tutte le pressioni, intuisce e agguanta la felicità. Per quanto lo riguarda, poi, nessuno è più felice di Chaplin: in virtù anche della differenza d’età è completamente soggiogato dalla nuova compagna, anche perché, nella ricostruzione ipotetica che della storia fa Beigbeder, sa bene che non la vedrà mai vecchia. La felicità per un uomo, osserva lo scrittore, è avere una donna che canalizzi per sempre il suo desiderio ed eclissi tutte le altre al punto da mandarlo, come seduttore, finalmente in vacanza.
L’unica pecca del libro è la parte finale, dove queste considerazioni si sottraggono al piano storico e documentale e vengono applicate non più a Chaplin, ma a Beigbeder stesso, che si sente in dovere d’informarci del suo folgorante innamoramento chapliniano per una giovane modella. Scrittore, sceneggiatore, regista, animatore televisivo, in un’occasione perfino comparsa (prudentemente vestita) in un film pornografico, Beigbeder è un personaggio molto in vista in Francia e altrettanto controverso. Ed è uno che ama molto raccontarsi. Va tutto bene, per carità, non siamo invidiosi e non gliene vogliamo, anzi gli auguriamo di cuore che l’amore duri più di tre anni, per parafrasare il titolo di un altro suo romanzo; del resto, non è che in letteratura non vi sia posto per l’idillio (da noi, modestamente, Tasso, Leopardi, eccetera). Il punto è, come scrive lui stesso, che gli amori ricambiati, almeno nella narrativa moderna, perdono subito d’interesse, e così accade fatalmente anche al capitolo finale del suo non-romanzo, per il resto invece godibilissimo.