Alberto Fraccacreta
L’elzeviro secco

Metamorfosi dell’identico

Dei 100 anni dalla prima pubblicazione della storia di Gregor Samsa non si è sciupato nemmeno un giorno. Perché Kafka è al riparo dalle mode, l’unico contrassegno del suo stile è il magma screziato della sua psiche

Nell’ottobre del 1915, esattamente un secolo fa, all’interno dell’edizione mensile della rivista espressionista Die Weißen Blätter, a cura di René Schickele, appare per la prima volta Die Verwandlung, La metamorfosi, il lungo racconto da cui è tratta probabilmente l’invenzione dell’insetticida. Franz Kafka, nel suo studio all’Istituto di assicurazioni contro gli infortuni dei lavoratori del regno di Boemia, non mostra sussulti di felicità per l’avvenuta pubblicazione. Guarda impietrito alla finestra, con le mandorle sgranate degli occhi. (Il suo volto ricorda un’oliva nera, priva di nocciolo.) È fermo, calmo, cauto. È pervaso da un sentimento di frustrazione, non percepibile dall’esterno. Scende in strada perfettamente misurato, scambia due battute con Werfel, grassoccio e rubizzo, incontrato lì a Malá Strana di sfuggita, imbocca la Staroměstské náměstí, Piazza della Città Vecchia, e torna placidamente a casa. Qui, come al solito, discute col padre di qualche sciocchezza. Il fatto è che entrambi sono forse irriducibili, e non hanno intenzione di lasciare l’uno all’altro il passo. La mamma, nel silenzio fitto del suo dolore, lo sa bene.

L’uscita in volume non ha cambiato nulla nella sua vita, nemmeno spostato alcunché di mezzo millimetro; più in generale non c’è nulla al mondo che riesca a mutare il suo senso sofferente delle cose.

kafka5Nel racconto Pierre Menard, autore del Chisciotte, compreso in Finzioni, Borges immagina un suo contemporaneo alter-ego di Cervantes; con Kafka questo esperimento vertiginoso sarebbe impossibile. Molti scrittori possono sembrare kafkiani, ma nessuno sarà mai Kafka. Il praghese ebreo che scrive in tedesco è un mostro di lucidità e limpidezza; quando si mette a lavorare sulla pagina, ogni riflesso, ogni esistente, persino uno scarafaggio che zampetta per i muri appassiti della stanza, è una rivelazione, ombra che emana luce dall’opacità, salvezza levigata e baratro. In una lettera a Milena Jesenská osserva: «E forse non è vero amore se dico che tu mi sei la cosa più cara; amore è il fatto che sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso». Il lato veramente unico della personalità di Kafka risiede proprio nella forza pressoché inedita di pensare e rappresentare: apre a circuiti, cortocircuiti e viadotti mentali che, prima di lui, anche scientificamente parlando, erano inesplorati. Sono prospettive di pensiero da cui mai si è posta osservazione, nemmeno nell’antichità, dentro il verso dicotomico di Sofocle o nel periodo franto di Tacito.

Max Brod evidenzia due tra i tratti maggiormente distintivi del carattere di Kafka: la “verità assoluta” (absolute Wahrhaftigkeit) e la “coscienziosità precisa” (präzise Gewissenhaftigkeit). Ambo i tratti sono trasferiti su carta con la potenza – e la prepotenza – di uno stile scevro di qualsiasi orpello, denso di sfumature e significati. Dieci anni più tardi, nel 1925, un anno dopo la morte dell’amico, contrastando il suo strenuo divieto, Brod diede alle stampe Der Prozess, Il Processo, la vera parabola spirituale dell’esistenza di Kafka. Una colpa originaria, crivellata di reflussi storici, è caduta sulla cornacchia boema, quasi un insulto della fioritura, un moscerino dell’azione. E questa colpa resta però condivisa da tutti gli uomini.

Guardando alla sua breve frequentazione con Kafka, Milena scrive a Brod: «Certo è che tutti noi siamo apparentemente capaci di vivere perché una volta ci siamo rifugiati nella menzogna, nella cecità, nell’entusiasmo, nell’ottimismo, in una convinzione, nel pessimismo o in qualcos’altro. Ma lui non si è mai rifugiato in un asilo che potesse proteggerlo. È assolutamente incapace di mentire come è incapace di ubriacarsi. È senza il minimo rifugio, senza un ricovero. Perciò è esposto a tutte le cose dalle quali noi siamo al riparo. È come un individuo nudo tra individui vestiti».

MetamorfosiDi questi cento anni non pare si sia sciupato nemmeno un giorno, e ciò accade per pochissimi scrittori. Le opere di Kafka sono identiche, imperiosamente rigide, perché il suo stile non ha seguito alcuna moda che esibisca un contrassegno diverso dal magma screziato della sua psiche. Certe volte rileggo qualche pagina, così come capita: dai romanzi, dai diari, dalle lettere, dalle trascrizioni orali. Soprattutto dalle trascrizioni orali e dalle lettere. Leggo una frase, mi soffermo su una osservazione. Mi sembra assurdo, incredibile che un uomo, un essere umano dico, corpo fatto ancora di carne governata dallo spettro della putrescenza, senza facoltà d’oltretomba, né percezioni ultrasensibili, né tanto meno aspirazioni al numinoso, uomo a tutti gli effetti dunque, non mistico, il quale ha pure dalla sua illustri giustificazioni, serbi una secchezza e una nudità così perforanti da sembrare kenosi, e trascorra la vita – scandita in secondi normali come questo pigro momento – a quella terribile velocità. Forse davvero possedeva l’anima di insetto.

La donna che amo è una colonna di fuoco che passa sopra la terra. Ora mi tiene racchiuso. Ma non i racchiusi essa conduce, bensì i veggenti.

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