La cultura non è solo una questione contabile
Chiude il Teatro Due
Il teatrino romano di Via Due Macelli è stato bocciato dal Ministero: non avrà finanziamenti. Così Roma continua a perdere i pezzi della propria (preziosa) complessità culturale
Il Teatro Due di Roma chiude. Della cultura teatrale romana non è rimasto che qualche brandello di muro, oramai. Che sta in piedi a fatica, per altro. Ma non è solo questo il problema (la città sta vivendo un terremoto sociale e politico di proporzioni inimmaginabili per chi non ci vive dentro…). Il Teatro Due di Roma, una piccola sala gestita con eleganza e discrezione da decenni da Marco Lucchesi, chiude perché il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali non ha riconosciuto degna di finanziamento la sua attività di promozione. Per carità, il nuovo regolamento per lo spettacolo dal vivo risponde prima di tutto a criteri numerici rigorosissimi. Quindi è ragionevole supporre che quei criteri non prevedessero l’atipicità creativa dei “teatrini” romani. L’unica variabile, nel nuovo regolamento, è legata all’opinione di una sontuosa commissione di esimi esperti. E questi illustri personaggi hanno fatto scelte ben diversamente significative, in questi mesi: dalla bocciatura del Teatro di Genova alla promozione di quello di Napoli diretto da Luca De Fusco. Evidentemente non è stata giudicata utile la diversità di un luogo piccolo e solitario come il Teatro Due.
Ma forse il problema non è nemmeno nella politica del Mibact. Il fatto è che questo paese (e la sua Capitale con lui) non ha una politica culturale. Vengono compiute scelte (casuali?) giustificate solo dai numeri. Nulla di più: nessuno che si prenda la responsabilità di dire che la cultura e l’arte non si misurano solo con l’aritmetica (semmai vale il contrario…). Ho sentito illustri politici (il nostro premier prima di tutti) sostenere giustamente che l’Europa non può essere solo un’entità contabile ma deve tener conto anche dei valori e dei diritti. Appunto!, nel nostro piccolo potremmo dire lo stesso della gestione delle cose culturali in Italia: non è solo una questione contabile. Anche perché poi la contabilità non impedisce di fare delle scelte: di salvare qualcuno e affossare qualcun altro. È sgradevole fare nomi e cognomi, perché quelle in gioco sono la ricchezza e la varietà dell’offerta, non già le sorti di tizio o caio. Ma, insomma, ci sono teatri che, in base alla perizia contabile delle norme in vigore, hanno visto largamente aumentati i propri proventi; ci sono manifestazioni – nella stessa, economicamente disastrata città di Roma – che hanno mantenuto intatta la propria dotazione economica. Mentre altri – teatri o manifestazioni – chiudono o s’affannano con i deficit di bilancio. Questo per dire che, poi, le istituzioni le proprie scelte le fanno eccome: togliendo fondi a qualcuno e aumentandone ad altri.
Ci si dice: dobbiamo fare i conti con le risorse che abbiamo. Benissimo! Ma nessun amministratore – nazionale o locale – si è presentato né probabilmente si presenterà in pubblico a spiegare perché il Teatro Due di Roma non ha avuto confermato suo il minimo contributo di settantamila euro che lo avrebbe mantenuto in vita mentre – per fare solo un esempio – il meraviglioso Teatro nazionale di Napoli ha visto triplicato il proprio contributo raggiungendo la ragguardevole cifra di oltre un milione di euro. Nulla da dire, nel merito, salvo sottolineare che questa è una scelta culturale: non ci sono algoritmi o formule matematiche che possano giustificarla. Una scelta culturale da intestare alla famosa commissione di esperti.
Così, la Roma culturale e teatrale perde un altro piccolo pezzo di sé. Si va sempre di più verso un monolitismo che poco s’addice a una grande capitale che dovrebbe essere ben altrimenti frastagliata: nell’ambito dello spettacolo dal vivo troneggia il colosso (magnificamente rilanciato da Carlo Fuortes) del Teatro dell’Opera che beneficia di decine e decine di milioni di euro di contributi pubblici, mentre accanto tutto langue e s’affanna con le briciole che avanzano. Il Teatro Due di Marco Lucchesi era una goccia nel mare, per dimensioni economiche, eppure, nel cuore del vecchio centro storico ormai abbandonato ai predoni (turisti irreggimentati e commercianti per lo più abusivi), era una bandiera di cultura e qualità che non andava consegnata al nemico. Speriamo che chi può ci ripensi.