Pierre Chiartano
Manhattan papers/2

Museo New York

Il nostro viaggio a New York continua tra grattacieli e luoghi dell'arte: finché un paese riuscirà a trattare la cultura con i guanti bianchi, potrà tranquillamente attraversare questo secolo tenendo al centro la barra di una leadership mondiale

Peter Minuit, governatore e uomo d’affari olandese vallone nel 1626 aveva speso appena 60 fiorini per l’operazione immobiliare più riuscita della storia. Almeno così recita la cronaca ufficiale. Manhattan fu comprata agli indiani algonchini per una manciata di monete (accesissimo il dibattito sul valore attuale di quella transazione). Ammesso che gli indiani capissero il significato di vendita e di proprietà privata. Ora alle spalle della stazione di Bowling Green, due passi più giù di Wall Street, c’è il Museo della cultura indiana, in ricordo degli abitanti originari di quell’isola dal verde lussureggiante. E poco più avanti, come avevamo già accennato, dove termina la Broadway – lunga arteria che taglia la Mela da nord a sud – c’è il toro di bronzo, simbolo di un potere finanziario che ha visto tempi migliori. Sempre circondato da decine di turisti. Tenuto per le corna, massaggiato nelle parti più intime, accarezzato o acchiappato per la coda, ma sempre pronto a incornare. A correre verso il drappo rosso della Borsa, delle speculazioni, della finanza sintetica e delle perdite vere, dei guadagni facili e della polverizzazione di intere fortune, grandi e piccole. Ma anche a finanziare start up e imprese sane.

new york14La città è il primo cancello dell’immigrazione da questa parte del globo. È popolata di nuovi americani e veri newyorkesi. Li distingui al volo. I primi sono in genere poco gentili, mantengono tutti i difetti della loro cultura d’origine, se vestono una divisa o si sentono “arrivati” vogliono fartelo pesare. Parlano un inglese a volte indecifrabile. I secondi hanno i modi affabili e l’approccio cordiale. Sono indiscutibilmente “helpful” ed empatici. Ma come per tutte le semplificazioni, occorre spiegare che le eccezioni abbondano. Per chi, come chi scrive, manca da New York da più di 30 anni, il cambiamento più evidente è sicuramente la cura “Giuliani”… ancora si sente. La città è decisamente più sicura. Almeno lo è Manhattan. E il 9/11 ha fortificato un senso di appartenenza e di cittadinanza che si stava affievolendo. Unico neo riscontrabile è la subway, la metropolitana. Efficiente, veloce ma un vero pezzo di modernariato cadente, a tratti scrostato e squallido, dove la differenza di temperatura tra stazioni (tropicale) e carrozze (subpolare) ti fa pensare di quale stravagante logica sia parto. Selezione della specie? Solo i più forti resistono a una bronchite fulminante? Coltivazioni batteriche su larga scala? Termostati venduti da uno della famiglia bin Laden? Rimaniamo con i nostri dubbi, senza risposte.

new york9Mentre ci avviamo verso il quartiere di Tribeca, reso celebre, negli ultimi tempi dal Film Festival organizzato da Robert De Niro e Jane Rosenthal proprio dopo gli attentati alle Torri gemelle. Triangle Below Canal street ecco da dove deriva l’acronimo dei questa zona a sud di SoHo che affaccia sul fiume Hudson. È stato uno dei primi quartieri residenziali della New York del XVIII secolo. Negli anni Sessanta molte attività economiche chiusero lasciando ampi spazi da utilizzare per fare arte come si usava all’epoca. E ci fu una piccola migrazione di artisti da SoHo. Poi negli anni Ottanta l’ulteriore trasformazione in area residenziale. Tribeca spiega bene le dinamiche urbanistiche di una città in perenne trasformazione, in continuo movimento, mai uguale a se stessa nella forma, ma continuamente fedele alla propria identità di global city.

E l’amore per arte e artisti è un’altra caratteristica della città. Oltre alle istallazioni sparse qua e là tra piazze a angoli suggestivi, a teatri e laboratori culturali, iniziative infinite e spettacoli di ogni genere, c’è un tempio, fra i tanti. I newyorkesi lo chiamano semplicemente il Met. Il Metropolitan museum of art è quanto di meglio ci sia in fatto di comunicazione. Il percorso “narrativo” è chiaro, semplice e ti porta per mano attraverso le varie declinazioni della creatività umana. Dall’arte medievale alla fotografia, dall’antico Egitto all’arte contemporanea, da quella islamica agli arredamenti d’epoca. Modigliani, Picasso, Matisse, Klimt, Klee, Kandinsky… cito a casaccio, con il meglio dell’arte antica ed etnica. Pezzi di arte egizia che non vedi al Cairo, ceramiche policrome di cui avevi finora solo sentito parlare. Una selezione del “meglio” la trovi qui in questo spettacolo architettonico ai bordi orientali di Central Park. E finché un paese riuscirà a trattare arte e cultura con i guanti bianchi e misurata intelligenza potrà tranquillamente attraversare questo secolo tenendo al centro la barra di una leadership mondiale. Certo l’arte non è tutto ma è un biglietto da visita inconfondibile. E viviamo in tempi che ci ricordano quanto le conquiste di civiltà possano essere costruzioni assai fragili. E il passo verso la barbarie, vera o presunta, molto breve.

new york8L’eco dei “mozzateste” mediorientali lo vedi nella presenza costante di forze di polizia, cani addestrati a “sniffare” nitrati e C4, nella buffetteria e abbigliamento militare dei poliziotti, M-1 e detector di ogni specie abbondano. Intorno a Ground Zero tanti i suv neri con i “badge&gun” a bordo e in giro a controllare, vigilare, sorvegliare discretamente. È la rappresentazione della paura, del pericolo. Per chi è stato in Siria, Nord Africa, Egitto, Libano e Afghanistan tutto suona “strano”. Ma resta la fiducia in un popolo “rivoluzionario” nel profondo, in grado – si spera – di cambiare sistema anche nel proprio paese, una volta raggiunta la consapevolezza di ciò che gli stanno facendo passare sopra la testa e sotto il naso. Riduzione graduale delle libertà civili e costituzionali, sistema mediatico sempre più asservito a logiche “stravaganti” dove la verità può essere una componente della notizia. Il successo televisivo di un commediante come Jon Stewart “fake newsman” come lo chiamano loro, una specie di fustigatore dei vizi del circo mediatico, un Mark Twain dello schermo,  che è diventato importante come fu Walter Cronkite ai tempi della guerra in Viet Nam, la dice lunga sulla crisi profonda che sta attraversando l’America e dei tempi bui che si stanno preparando. Del resto uno dei padri costituenti, Alexander Hamilton lo aveva previsto. Nei suoi The Federalist papers aveva pronosticato come i cittadini avrebbero alla lunga barattato “più sicurezza” con “meno libertà” e che la politica ne avrebbe approfittato mantenendo un costante clima di “allarme e pericolo” per ridurre le prerogative della società civile. Ci siamo.

A Central Park ho visto un musulmano stendere il tappeto per la preghiere dell’Asr, perfettamente integrato nel panorama e perlopiù ignorato dai passanti. La società Usa è ancora dotata di acume critico, sensibilità e forza e questo forse la salverà. Ancora una volta.

2. fine. Clicca qui per leggere la prima parte

Lo foto sono di Pierre Chiartano

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