Luca Fortis
Il Cairo verso la svolta/1

Egitto paese lento

A pochi giorni dal voto sulla nuova Costituzione comincia un giro d'opinioni tra intellettuali egiziani sulla situazione. Iniziamo con Tarek Ali Hassan, medico e musicista: «Si è perso fin troppo tempo nei dettagli. Abbiamo bisogno di un vero progetto di futuro»

Cammino per le vie di Doki per andare a casa di Tarek Ali Hassan, non ho il suo indirizzo esatto, ma mi ricordo che aveva dei cani nel giardino, quindi mi aggiro tra le villette in cerca degli animali. Per fortuna ho il nome della via. Non lo vedo da qualche mese e ho appuntamento con lui verso le sei. La notte scende piano piano sulle borghesi abitazioni di Doki e mentre mi perdo tra le villette mi rendo conto, per la prima volta, che in mezzo alla borghesia esistono isole popolari, piccoli isolati che sembrano villaggi dove passano muli e venditori ambulanti, galline e ragazzi che giocano a calcio o biliardo per strada. Due vie dopo, come se ci fosse un muro invisibile, solo file di negozi di brand occidentali che vendono oggetti che costano quanto lo stipendio medio di un egiziano. Evidentemente la città ha inglobato vecchi villaggi o antichi quartieri popolari che non si sono arresi e sono sopravvissuti fino ad oggi in mezzo alle case dei ricchi. Passo dopo passo un cane mi guarda da un cancello, scodinzola, lo accarezzo e lo riconosco. Sono giunto a destinazione.

tarek hassanTarek Ali Hassan è professore di medicina e capo di Endocrinologia all’Al-Azhar University al Cairo. Tarek è anche compositore, musicista, scrittore, pittore e filosofo. Inoltre, è a capo della “Zenab Kamel Hassan Foundation for Holistic Human Development”. La sua filosofia si fonda sull’unicità dell’essere umano nell’evoluzione. È un fervente oppositore dei modelli statici nella scienza e negli studi umanistici. Hassan si ispira a Osiride, Gandhi e Mozart. Crede che la sopravvivenza e il rapido sviluppo della creatività siano la svolta che ha reso l’essere umano unico. Tutto però è messo a rischio dalla violenza. Ha alcuni problemi fisici, ma la sua mente è molto lucida, parla  un perfetto inglese, anche grazie alla moglie britannica.

Gli egiziani, mi spiega, vogliono una rinascita, «il Paese è pieno di risorse, ma non sono usate bene. Le energie delle donne e dei ragazzi non sono ancora utilizzate in tutto il loro potenziale. Ecco perché è scoppiata la rivoluzione. Questo percorso è solamente all’inizio e rimane moltissimo da fare. Gli sconvolgimenti politici degli ultimi anni sono accaduti talmente velocemente che non c’è stato tempo perché le idee che hanno portato alla rivoluzione si incarnassero in programmi politici, c’è ancora molta confusione e la crisi economica permane». «Alcune personalità del governo – aggiunge – sono ottime, per esempio il ministro dell’ambiente, ma ancora le politiche dell’esecutivo sono molto lente».

Nei lavori della Costituzione, sottolinea mentre mi offre un tè, «si è perso fin troppo tempo nei dettagli, ma si poteva fare ancora di più per dare una chiara visione sul futuro del Paese». «Ci sono stati – sottolinea – alcune incertezze dovute alla volontà di tenere presente le idee dei Salafiti, anche per le continue pressioni dell’Occidente per non isolare l’ islam politico. Il Paese dovrebbe smettere di temere così tanto le reazioni di Washington». Trovo però «che sia positivo il limite di due mandati presidenziali e che tutto sommato il testo è migliore della Costituzione di Morsi». Europa e Stati Uniti, aggiunge, «hanno tentato di far passare l’idea che sia uno scontro tra chi vuole l’Islam e chi no, finendo per avvallare la tesi dei Fratelli Musulmani, ma quello della confraternita non è vero islam e nel Paese non c’è lotta tra Musulmani e chi nega Maometto. C’è solamente una divisione tra chi pensa che la religione debba restare nella sfera privata e chi pensa debba entrare nell’agone politico».

L’Egitto, spiega, «vuole entrare nella modernità, questo chiedono le masse egiziane, e  Fratelli Musulmani hanno finito per rubare i loro sogni, tentando di creare nel Paese una repubblica che guarda a un finto medioevo mai esistito nella realtà.  L’esatto contrario di quello che la gente chiedeva. Bisogna invece utilizzare le risorse che i giovani egiziani, donne e uomini, hanno, perché sono loro il vero tesoro egiziano. Per fortuna ci sono alcuni intellettuali islamici che cominciano a denunciare come il mondo che gli islamisti spacciano per l’Islam delle origini sia falso».

Chiedo a Tarek cosa pensa di quello che è accaduto ad agosto quando quasi 900 simpatizzanti dei Fratelli Musulmani sono morti a Rabaa e Nahda e lui mi risponde che «quando un gruppo politico si barrica in due piazze e non permettere a nessuno di svolgere la sua vita o di andare a lavorare, non permettendo nemmeno a chi vuole lasciare le manifestazioni di farlo, questo non ha nulla a che fare con manifestazioni democratiche o pacifiste. Tutti avrebbero sperato – aggiunge – che finisse in un modo diverso, ma i Fratelli Musulmani hanno avuto quaranta giorni in cui li hanno pregati di  andarsene ed erano stati avvertiti di cosa sarebbe successo in caso contrario. Nemmeno l’occidente democratico avrebbe mai permesso che un partito politico armato si barricasse in una capitale e impedisse la vita per mesi».

Uno dei problemi degli ultimi 40 anni, mi fa notare, «è che non c’era più un progetto politico, prima con Nasser si voleva costruire la nazione, si progettavano infrastrutture, sistemi scolastici universitari e molto altro. Certo tutto questo è avvenuto attraverso la rinuncia alle libertà personali, ma almeno c’era un progetto. Dopo tutto si è eroso, cultura, creatività, energie positive, è rimasta una vuota corruzione. Ricostruire tutto dopo 40 anni è davvero difficile, ecco perché alle prime elezioni post Mubarak si è permesso di andare a votare senza una Costituzione nuova, con candidati come Shafiq, esponente del vecchio regime e Morsi dei Fratelli Mussulmani e, fatto perfino peggiore, permettendo alla fratellanza di comprare i voti dei poveri falsando la democraticità del voto».

Chiedo a Tarek se ci sono ancora intellettuali che hanno una visione sul futuro del Paese e lui mi risponde che sì, ce ne sono alcuni, ma che «c’è molta confusione e quando questo accade, la cultura tende a sedersi sul divano e aspettare per capire dove tira il vento». Nonostante la nebbia che ricopre la cultura in Egitto – aggiunge – ci sono tantissimi ragazzi che hanno un pensiero molto raffinato e che danno grande speranza per il futuro del Paese. «Parte della strada verso la rinascita – puntualizza – passa per la musica, e la cultura, e questo già comincia a vedersi. Oggi c’è uno sviluppo incredibile dei gruppi musicali, quando la musica sarà davvero pluralistica, sarà la svolta anche per l’Egitto. L’armonia, il movimento, il climax e l’anti climax fanno comprendere come la musica sia fatta di contrasti, che poi creano un armonia complessiva, lo stesso vale per la società. Saper accettare le diversità, rende una società più coesa». Molta povertà, conclude il suo ragionamento, «è indotta politicamente e crea persone passive e quindi più controllabili. Appena prendi iniziative, il governo ti ferma, lo vede come un male. Le persone hanno paura e non prendono più iniziative. La passività creata dall’oppressione politica e religiosa, che sono alleati, hanno distrutto per troppo tempo la creatività!».

Esco, la luna è crescente e mi guarda dal cielo. Mi incammino a piedi e dopo dieci minuti sono sulle rive del Nilo. I riflessi del satellite della terra si riflettono sulle sponde del fiume eterno. Le acque scorrono come fanno da millenni e io mi sento solamente una delle milioni di persone che hanno guardato il Nilo nei secoli. Un essere insignificante per il grande fiume, eppure esisto e il fiume brilla anche per me.

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