Nel 2021 è ripartita l’avventura editoriale di Succedeoggi. Dopo le nostre collane di ebook (clicca qui per saperne di più e comprare i nostri titoli), abbiamo deciso di fare una ulteriore passo in avanti. Qui di seguito troverete le schede dei titoli di Succedeoggi Libri.
Potete comprare i nostri libri in tutte le librerie (eventualmente ordinandoli se non sono presenti direttamente in libreria) o in tutte le librerie on line. Per ogni informazione, potete scrivere alla mail info@succedeoggilibri.it.
I titoli di Succedeoggi Libri
Renzo Foa,
L’Europa che non è stata.
Intervista a Alexander Dubček
ISBN 9788899467289 Pagine 140, 16 Euro
Toti Scialoja
Sguardi e battaglie
La critica d’arte nei saggi di “Mercurio”
A cura di Arnaldo Colasanti. Note di Onofrio Nuzzolese
Succedeoggi Libri Pagine 180, 20 Euro Isbn 9788899467265
Prima di essere uno dei maestri indiscussi della pittura astratta italiana del Secondo Novecento, prima di essere autore di raffinati giochi e incastri poetici di grande spessore espressivo e sperimentale, Toti Scialoja è stato un importante critico d’arte. In questa veste, negli anni che seguirono la Liberazione di Roma (giugno 1944), partecipò all’avventura editoriale di Mercurio, il «mensile di politica, arte e scienza» fondato da Alba de Cespedes che, fino alla sua chiusura avventura nel 1948, rappresentò la palestra della grande ricerca culturale antifascista non marxista del tempo.
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Memorie Olimpiche
Storie di campioni (e di spettatori)
ISBN 9788899467241
Pagine 148, 16 Euro
Prima di essere quel grande supermarket di chiacchiere e immagini che sono diventati da qualche tempo, i Giochi Olimpici erano una faccenda di persone. E basta. Chi li ha reinventati, il barone De Coubertin, diceva che l’importante è partecipare, non vincere, e non aveva tutti i torti, all’inizio. Donne e uomini delle Olimpiadi hanno colpito l’immaginario in quanto persone comuni, prima che campioni. Così, almeno, quindici scrittori qui ricostruiscono le avventure di altrettanti protagonisti (noti, immortali, talvolta dimenticati) di un’avventura umana che solo casualmente passava per le maglie dello sport e della sua massima competizione della modernità.
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La religione delle lettere
L’omaggio della «Fiera letteraria» a Giuseppe De Robertis
A cura di Gloria Manghetti
ISBN 9788899467234
Pagine 176, 16 Euro
Un Maestro della critica letteraria – Giuseppe De Robertis – e un parterre di intellettuali di prim’ordine che gli rendono omaggio. Sono Giovanni Battista Angioletti, Luigi Baldacci, Carlo Bo, Lanfranco Caretti, Carlo Cassola, Giulio Cattaneo, Emilio Cecchi, Enrico Falqui, Gianfranco Folena, Mario Fubini, Nicola Lisi, Giorgio Luti, Mario Luzi, Gianna Manzini, Adelia Noferi, Alessandro Parronchi, Enrico Pea, Leone Piccioni, Ildebrando Pizzetti, Adriano Seroni e Giuseppe Ungaretti a firmare gli articoli dedicati a De Robertis, pubblicati nell’aprile del 1955 su «La Fiera letteraria», periodico rappresentativo e di larga diffusione, che amava destinare “gallerie” a poeti, scrittori, critici italiani.
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Laura Falqui
Il tocco dell’invisibile
La grafite di Edward Burne-Jones
Prefazione di Marzia Faietti
ISBN 9788899467210
Pagine 116, 16 euro
Nell’opera del pittore inglese Edward Coley Burne-Jones (1833-1898), considerato l’ultimo preraffaellita, s’intrecciano due diverse scelte espressive: una splendente che si manifesta nella pittura, e una evanescente che si esprime nei disegni. Se lo splendore si svela in tutte le sue soluzioni cromatiche, l’evanescenza è altrettanto ricca, ma più segreta, più delicata e altrettanto preziosa. A questa particolar produzione – quella che conduce al “tocco dell’invisibile” – è dedicato questo studio di Laura Falqui.
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Sandro Onofri L’Italia ieri mattina
Prefazione di Bruno Quaranta
ISBN 9788899467111. Pagine 134, 12 euro
Sandro Onofri, narratore romano scomparso a quarantaquattro anni nel 1999, ha raccontato l’Italia di oggi con trent’anni di anticipo. Autore di romanzi di grande spessore (attualmente in via di riproposizione editoriale con buon successo), Onofri pubblicò in vita anche due libri di reportage: Vite di riserva, nel 1993, sui nativi americani, e Le magnifiche sorti, 1997, sulle contraddizioni italiane. Nel corso dello stesso 1997, poi, Onofri svolse attività di inviato presso il periodico Diario della settimana, per il quale scrisse alcune memorabili inchieste. Questo libro recupera, accanto al alcuni reportage tratti da Le magnifiche sorti, una scelta dei migliori testi scritti per Diario della settimana mai raccolti prima in volume. Ne scaturisce un ritratto del nostro Paese, cinico, violento e ignoto a se stesso, che anticipa di qualche decennio la deriva presa dall’Italia attuale. Con rara capacità di analisi della realtà e vera e propria “anteveggenza”, alla maniera dei grandi narratori, in questi reportage Onofri racconta per filo e per segno quel che siamo diventati: l’Italia di oggi vista ieri mattina. Perché, nei racconti di Onofri siamo esattamente come eravamo nei suoi occhi di cronista-romanziere.
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Questo volume va a cercare, nella vasta produzione giornalistica di Savinio, i segni della sua passione per la comicità popolare. Passione esercitata soprattutto in qualità spettatore teatrale professionista per la rivista Omnibus (fondata da Leo Longanesi) negli anni immediatamente precedenti la Seconda guerra Mondiale. Anna Fougez, Wanda Osiris, Erminio Macario, Enzo Turco, Virgilio Riento, ma soprattutto i tre fratelli De Filippo, Eduardo, Peppino e Titina, animano le pagine di questo libro che offre uno spaccato colto e raffinato della vita culturale italiana fra gli Anni Trenta e i Cinquanta del secolo scorso, quando Savinio, forse unico tra i grandi, cercava di difendere la poesia e la naturalezza della comicità popolare italiana.
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Il Novecento italiano ha conosciuto una tradizione critica che si è misurata con una sorta di prosa poetica e che ha contribuito alla divulgazione dei temi, delle curiosità e delle opere dei classici. A questa scuola, lontana dalle ideologie e dalle mode più popolari appartiene anche Giovanni Battista Angioletti di cui qui vengono riuniti alcuni ritratti “letterari” di pittori e scrittori.
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Nel 1957, con il saggio Mondo e Teatro nella poetica di Goldoni, Mario Baratto rivoluzionò la critica goldoniana togliendo il grande commediografo veneziano da una dimensione piatta e manieristica – nella quale era caduto fin dal primo Ottocento – per consegnarlo all’empireo della grande cultura illuminista europea. Pietra miliare della critica e della storiografia teatrale, vero e proprio oggetto di culto per alcune generazioni di studiosi e studenti, il saggio di Baratto era più noto per via delle citazioni dei suoi allievi piuttosto che non nell’edizione originale.
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Sebastiano Aglianò, Italiani, Da Dante a Vittorini
A cura di Alessandro Cutrona
Pagine 144, 16 euro
ISBN 9788899467173
Primo cronista antropologico dell’Isola, Sebastiano Aglianò è uno studioso da recuperare per il complesso della sua attività. Anche per evitare che sia ricordato come l’autore di un unico libro, per via dell’originalità del suo saggio d’esordio, Questa Sicilia (pubblicato nel 1945 a Siracusa, città natale di Aglianò) e, soprattutto, in forza dell’accoglienza dirompente che quello studio ebbe all’epoca (tra i primi lettori entusiasti ci fu pure Eugenio Montale; sarà poi Sciascia a recuperare il volume). Qui vengono raccolti, a cura dell’italianista Alessandro Cutrona, una serie di scritti dedicati all’identità italiana in letteratura. Da Dante fino al Novecento di Vittorini.
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Vocabolario della Pace. Il carteggio tra Cesare Zavattini, Aldo Capitini e Danilo Dolci
A cura di Valentina Fortichiari
104 pagine, 14 Euro
ISBN 9788899467159
Nel 1955, Cesare Zavattini ebbe un importante riconoscimento, il Premio internazionale della Pace (Vienna/Helsinki), raffigurato in pergamena dalla celebre colomba della pace. Da quel momento si sentì impegnato in un compito che non avrebbe mai più abbandonato, sino alla fine dei suoi giorni. Zavattini era consapevole che una battaglia contro gli orrori della guerra, per il disarmo universale, per la pace nel mondo, non poteva prescindere da un’ampia opera di sensibilizzazione e divulgazione indispensabile per diffondere il sapere, la conoscenza, la verità. Voleva eroi da ammirare, e cercava maestri di vita con cui portare avanti questa missione.
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Marilena Pasquali, Morandi e Montale, Un intrecciarsi di piani poetici
Pagine 176, 14 Euro
ISBN 9788899467128
Vite parallele, quelle di Giorgio Morandi ed Eugenio Montale? Sì, almeno in parte, la parte che attiene a sensibilità, linguaggio e poetica in quell’incandescente crogiolo di passato e futuro che è la prima metà del Ventesimo Secolo. Marilena Pasquali, storica dell’arte e tra i maggiori esperti di Giorgio Morandi, in questo saggio inedito analizza i rapporti tra il grande pittore e la poesia, soprattutto a partire dal suo particolarissimo legame con Eugenio Montale. Ma con l’occasione la studiosa si trova ad analizzare, in parallelo, i rapporti di Montale con l’arte. Insomma, il libro tratteggia le linee di un’inedita storia della sensibilità novecentesca.
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Esistono molti documenti che testimoniano la passione teatrale di Gian Lorenzo Bernini: soprattutto cronache degli spettacoli che il grande artista scriveva e allestiva a Roma, nei palazzi dell’aristocrazia papalina. Per esempio, si conosce l’effetto che suscitò sul pubblico una rappresentazione nella quale lo spazio scenico era totalmente coperto d’acqua o quella in cui gli spettatori si ritrovavano specchiati in un falso pubblico ricostruito da Bernini sul fondo della scena. Mancava, però, il segno più importante di questa esperienza: i testi. Questo libro colma la lacuna.
Ma, al di là del dato tecnico, questa buffa storia svela pienamente i contorni della passione teatrale di un genio dell’arte. Nella cui creatività – come è ben spiegato dall’architetto e urbanista Pino Milani nella postfazione – si riverberano tutti i trucchi tipici del teatro
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Carlo Emilio Gadda Leone Piccioni, Col nuovo sole ti disturberò – Scritti, lettere, detti memorabili
(a cura di Silvia Zoppi Garampi, Prefazione di Emanuele Trevii)
Pagine 268, 22 Euro
ISBN 9788899467135
Assunto alla Rai da G.B. Angioletti, Carlo Emilio Gadda giunge a Roma nel 1950 restandovi per il resto della vita (1973). Sono gli anni della pubblicazione dei romanzi – primo fra tutti Quer pasticciaccio de via Merulana – e del successo editoriale, con la conseguente notorietà dell’autore; gli anni dei premi letterari ma anche degli insorgenti malesseri fisici e nervosi. In questa lunga e feconda stagione, nascono nuove collaborazioni e rare amicizie: fra queste, una delle più autentiche con Leone Piccioni che questo libro testimonia con la loro corrispondenza per buona parte inedita. Le lettere qui pubblicate, infatti, documentano il periodo romano di Gadda attraverso la prosa sarcastica, mordace, polemica, spesso drammatica dei suoi interlocutori. Nel volume le lettere sono affiancate da articoli, saggi, interviste che dal 1950 in poi Piccioni ha dedicato al narratore milanese, seguendone ogni nuova impresa e creando quel «libero scambio tra lo scrittore e la critica e il pubblico» di cui Piccioni fu pioniere e teorico.
Da Sui contemporanei (1953) a Identikit per Carlo Emilio (1997), alle pagine tratte da Tradizione letteraria e idee correnti (1956), Lavagna bianca (1964), da giornali e riviste, i testi sono curati e annotati da Silvia Zoppi Garampi.
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Geno Pampaloni Cesare Pavese
Prefazione di Raffaele Manica
Pagine 120, 14 Euro
ISBN 9788899467142
Geno Pampaloni, uno dei più brillanti italianisti del secondo Novecento, inseguì per tutta la vita l’opera e il mito di Cesare Pavese nel quale egli identificò il punto di congiuntura tra la letteratura classica e quella contemporanea, in Italia. Guidato da una profonda comunanza di intenti nei confronti di Pavese, il critico traccia il ritratto dello scrittore e poeta, soffermandosi sulle tutte le opere. Ne viene fuori il ritratto di un uomo inquieto, perennemente insoddisfatto delle sue opere e della sua vita.
Il testo che riproponiamo conobbe la veste definitiva nel 1981, ma è il frutto di un lavoro durato un ventennio, fin da quando Pampaloni, nel 1962, confezionò per i programmi radiofonici della Rai un primo ritratto dello scrittore.
La prefazione di Raffaele Manica inquadra il rapporto critico/affettivo che legò Pampaloni e Pavese nel pieno di una stagione ricca e controversa, come è stata quella che dal dopoguerra ha condotto alla crisi degli anni Ottanta.
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Antonio Gramsci Contro i comici
a cura di Nicola Fano
104 pagine, 12 Euro
ISBN 9788899467036
«Non è vero che il pubblico diserti i teatri; abbiamo visto dei teatri, vuoti per una lunga serie di rappresentazioni, riempirsi, affollarsi all’improvviso per una serata straordinaria in cui si esumava un capolavoro, o anche più modestamente un’opera tipica di una moda passata, ma che avesse un suo particolare cachet. Bisogna che ciò che ora il teatro dà come straordinario diventi invece abituale».
Antonio Gramsci ha esercitato la critica teatrale in un periodo cruciale per la scena italiana: tra il 1916 e il 1920 iniziò a imporsi il genio di Pirandello; con Virgilio Talli si consolidò la nuova figura del regista; esplose definitivamente il fenomeno della comicità popolare con Fregoli, Petrolini e Viviani. Da buon cronista dell’edizione torinese de l’Avanti!, Gramsci testimoniò in diretta questi fenomeni. Fu tra i primi a sottolineare la genialità dell’autore di Liolà e Il giuoco delle parti, fu tra i più lucidi a tessere l’elogio di Virgilio Talli ma non capì la comicità popolare che bollò come volgare, commerciale e diseducativa. E fu un peccato perché invece Petrolini e gli altri erano proprio gli interpreti di quel proletariato al quale Gramsci stesso aveva dato piena cittadinanza politica.
Curato dallo storico del teatro Nicola Fano, questo libro per la prima volta raggruppa per temi i più importanti interventi in materia di Antonio Gramsci. E, se da un lato l’autore si scaglia contro la gestione commerciale dei teatri torinesi, colpevoli di puntare solo sui comici, dall’altra egli teorizza la necessità di un nuovo teatro etico che aiuti l’uomo a definire se stesso e la propria identità in relazione alla società.
Ma in queste pagine c’è anche il ritratto di un teatro in fermento come quello del primo Novecento, che faticosamente cerca le strade di una nuova arte dell’attore che cancelli un passato di mattatori gigioni e manierati. Ecco allora che brillano i ritratti di grandi interpreti come Ruggero Ruggeri o Angelo Musco; mentre all’elogio di Emma Gramatica si contrappone una geniale, argomentatissima stroncatura del mito di Lyda Borelli.
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Marise Ferro Le Romantiche
a cura di Francesca Sensini
Pagine 176, 18 Euro
ISBN 9788899467050
George Sand, Marceline Desbordes Valmore, Marie d’Agoult, Marie Dorval, Delphine de Girardin, Juliette Récamier, Charlotte de Hardenberg, Évelyne Hanska, Juliette Drouet, Louise Colet, Alphonsine Plessis, Emily Brontë. Dodici donne vissute tra fine Settecento e metà Ottocento incarnando, nei moti del sentimento, per l’inclinazione agli eccessi della passione e delle emozioni, le istanze del Romanticismo. Donne finite ai margini della memoria collettiva, riesumate da Marise Ferro, una delle più significative scrittrici del Novecento la cui opera – ricca e originale – ha avuto dopo la sua scomparsa lo stesso destino delle sue Romantiche, sfuggendo del tutto all’attenzione della critica.
Dodici racconti – pubblicati nel 1958 dai Fratelli Fabbri editori e oggi riproposti a cura di Francesca Sensini da Succedeoggi Libri – nello stile dell’autrice, illuminista di formazione: un mix di humor, eleganza e realismo, ma anche di impegno culturale per l’emancipazione femminile «dalle illusioni e dai sogni a cui l’educazione, i condizionamenti sociali e l’ignoranza le ha esposte per secoli e continua insidiosamente a esporle ancora ai suoi tempi». Un merito in più da ascrivere all’originalità di Marise Ferro, insieme a quello di antesignana, al di fuori delle tendenze dell’industria editoriale, di un genere, quello delle biografie di donne, oggi molto praticato.
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Una galleria di campioni che hanno attraversato il mondo dello sport come una fiammata improvvisa nella quale il gesto atletico si mescola alla vita e alla storia. Gianni Cerasuolo, giornalista, per anni responsabile delle pagine sportive di Repubblica, va a ripescare nella memoria popolare le gesta di eroi irregolari e dimenticati: calciatori (Garrincha, Andrade, ma anche Best, Di Bartolomei e tanti altri) piloti (Senna), pugili (il sinti Rukeli), ciclisti (da Dancelli a Poulidor), corridori e marciatori (Gelsomini e Consolini). Una galleria di uomini che hanno attraversato il mondo in piedi per aria.
Come scrive Maurizio Crosetti nell’introduzione: «Ci sono uomini che sembrano romanzi, lo sport ne ha raccontati tanti ma di più ne ha dimenticati. Vite incenerite dal lampo di una fiamma, oppure consumate nella lentezza del declino. Questo libro ne recupera una manciata e ce li offre come un mazzo di rose: ne valeva la pena. Tra le pagine che Gianni Cerasuolo ha scritto con lo scrupolo di uno storico e l’amore di un romantico, incontriamo alcuni famosissimi giganti come Garrincha, Senna e George Best, e accanto a loro figure meno ingombranti, piene di dignità e desolazione. Salgono sulla scena, la lampadina li illumina, giusto il tempo di uno sguardo, di una parola, di un ultimo ballo. A volte li chiamiamo eroi maledetti ma è pigrizia, è retorica. Basterebbe dire grandi atleti e uomini liberi».
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Nel corso di quasi sessant’anni di esercizio critico, Carlo Bo vide in Paul Claudel «una voce chiusa, un segno indecifrabile», come scrisse in La risoluzione di Claudel, saggio datato al 1948. Bo non poteva non confrontarsi a più riprese con questo «poeta cattolico», del quale ammirava l’assoluta straordinarietà della sua scoperta, letteraria e spirituale, nonostante la durezza di alcuni modi esteriori. In questo volume Alberto Fraccacreta ripropone e analizza tutti gli scritti del grande critico sullo scrittore francese, attraverso i quali assumono nuovi chiaroscuri sia il maestro di Letteratura come vita sia l’autore de L’annuncio a Maria. Cantore della gioia quant’altri mai, non privo di chiaroscuri che toccano anche la sua vita privata, irrigidito dalla sua «sordità» nei confronti dei contemporanei, beato nell’unicità e monumentalità della sua opera dove è esaltata innanzitutto la «Parola di Dio», Claudel rimane «irraggiungibile» ai più. Con un mirabile esempio di lettura critica vitale Carlo Bo qui ci chiede il coraggio della verità per scoprire la «posizione Claudel» che è in noi.
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Dalla vita alle scene fu pubblicato da Raffaele Viviani nel 1928. Si trattò, in sostanza, di un gioco; un vezzo tipico da attore di grande successo popolare. Del resto, la carriera di Viviani è abbastanza nettamente divisa in tre stagioni. La prima, fino al 1917 (testimoniata diffusamente in questo libro) è quella del varietà e del successo come comico alla maniera di Petrolini e altri divi dell’epoca. La seconda, subito dopo il 1917, fu caratterizzata dalla scoperta di una misura drammaturgica più complessa e durò fino ai primi anni Venti. Costretto dalla (momentanea) messa al bando del varietà dopo la disfatta di Caporetto, Viviani iniziò a comporre opere di straordinario stampo realista (‘O vico, Piazza Ferrovia, Scalo marittimo, ecc.) nelle quali rifuse i tipi che aveva già portato al successo nel varietà. La terza stagione, quella della maturità drammaturgica (Zingari, Pescatori, ecc.) coincise con l’ostracismo del regime fascista: che in lui detestava il profondo realismo e l’adesione a un modello sociale autenticamente popolare. Nella colorita autobiografia qui riproposta, Viviani racconta un’Italia autentica fatta di onesti lavoratori della scena e di altrettanto onesti spettatori popolari.
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Nicola Fano, Che cos’è il teatro (nuova edizione)
192 pagine, 12 Euro
ISBN 9788899467012
Perché Shakespeare fece interpretare il chiaro di luna a un attore? Perché Goldoni tessé l’elogio dei gondolieri? Perché Beckett chiese a due comici di aspettare Godot? E perché Sofocle vietò a Edipo di accecarsi davanti al pubblico? Il teatro è un gioco, e perciò pieno di regole da rispettare: conoscerle significa poter capire meglio che cos’è il teatro. Ogni spettatore e ogni attore accettano una serie di convenzioni millenarie nel cui rispetto risiedono la forza del teatro e la sua specificità. Attraverso l’analisi di alcune grandi opere della letteratura teatrale, questo libro si offre come un manuale di apprendistato teatrale: una piccola guida per decrittare i linguaggi che compongono il teatro. Lo spazio (da Shakespeare a Strehler), la parola (da Sofocle a Pirandello), la musica (da Aristofane a Kurt Weill), infine, il corpo dell’attore, dove tutto si riunisce (Eschilo a Mejerchol’d). Un vero e proprio manuale ad uso di studenti e appassionati di teatro che torna in una nuova edizione rivista e aggiornata.
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Samuel Johnson, Introduzione a Shakespeare
A cura di Nicola Fano
88 pagine, 10 euro
ISBN 9788899467104
Nel 1765 Samuel Johnson, uno dei massimi scrittori inglesi, pubblicò un’edizione critica delle opere di William Shakespeare che aprì la strada alla moderna filologia dedicata all’autore di Amleto. A introdurre quel lavoro, egli compose un saggio ancora oggi di importanza fondamentale per godere appieno le meraviglie di Shakespeare. Johnson (anche in risposta alle critiche di Voltaire che non amava il drammaturgo inglese) pose l’accento sulla modernità di Shakespeare, sulla sua capacità di inventare un genere che andava oltre i confini della tragedia e della commedia classica grazie a una geniale capacità di esprimere la realtà facendo perno sull’illusione teatrale. Perché, come dicono le streghe di Macbeth, il «bello è brutto e il brutto è bello». Un’ambiguità peculiare dell’esistenza umana, mai segnata solo da esperienze univoche. Il tutto, secondo Samuel Johnson, nel pieno rispetto della relazione emotiva che si crea a teatro fra attori e spettatori («La mente che ha banchettato con i succulenti prodigi della finzione non ha alcun gusto per l’insipidezza della verità») e senza che Shakespeare mai intervenga con giudizi o sovrapposizioni retoriche. Insomma, una modernissima guida alla lettura di Shakespeare (ma anche dei segreti più profondi del teatro) compilata da uno dei più grandi critici della modernità.
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Eduardo Scarpetta (1853/1925) – grande attore, autore e impresario teatrale napoletano, inventore di Felice Sciosciammocca e di recente celebrato dal film di Mario Martone con Toni Servillo, Qui rido io – non fu mai processato per bigamia, benché nel suo palazzo convivessero molti dei suoi figli e le loro differenti madri, ma fu portato alla sbarra per aver preso in giro l’indiscutibile (allora) eminenza di Gabriele D’Annunzio. L’avventura giuridica del suo Figlio di Iorio, parodia della dannunziana Figlia di Iorio, è lunga e complessa, occupa gli anni dal 1904 al 1908, ed è emblematica tanto della perenne situazione della giustizia italiana quanto della realtà culturale del nostro Paese in quel tempo. Scarpetta ne uscì incolpevole (i giudici ritennero che il reato di plagio non sussistesse) ma in seguito a quelle furiose polemiche abbandonò le scene e smise di scrivere. Nella seconda edizione delle sue memorie (1922), Scarpetta raccontò dettagliatamente quella vicenda, arricchendo i fatti con ampie citazioni dalle arringhe e dalle perizie richieste dal tribunale di Napoli: si tratta delle pagine qui riproposte, che consentono di seguire perfettamente questa storia. Che, al di là del clamore che suscitò all’epoca, davvero ci dice molto del rapporto che la cultura “ufficiale” ha e ha sempre avuto con il teatro comico popolare. Del quale Eduardo Scarpetta è uno dei maggiori rappresentati; nel solco che dalla Commedia dell’Arte arriva fino ai grandi comici del Novecento.
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Leone Piccioni, Ungaretti e il porto sepolto
80 pagine, 10 Euro
ISBN 9788899467098
È il 1916, mentre l’Occidente bandisce l’individuo in favore delle masse, Ungaretti s’illumina d’immenso. La terribile semplicità della sua solitudine viene scambiata per ermetismo. Ma – scrive Leone Piccioni – «non ci sono punti esclamativi, se mai qua e là appaiono punti interrogativi: c’è la memoria e la preveggenza». L’uomo è piccolo, è se stesso; e deve fare i conti con quel che la sorte gli manda in terra. Nel bene e nel male: nessuna ideologia ha per lui risposte sufficienti. Leone Piccioni è stato uno degli allievi più sapienti di Giuseppe Ungaretti: ne ha seguito la parabola poetica e ne ha sostenuto l’aporia quando sarebbe stato più facile propugnare ben altre certezze. E di Ungaretti ha consegnato ai posteri la metafora dell’uomo poeta che vivendo fa poesia. Sempre, anche nelle trincee che consolidano Il Porto sepolto che Leone Piccioni rilegge cent’anni dopo. Cent’anni di solitudine che il critico, magistralmente, fa derivare non dalla tragedia della morte in guerra ma dalla ricchezza della vita. Di Ungaretti – provocatoriamente – in questo saggio inedito Piccioni fa il catalogo della vita e degli amori, non quello dei drammi e delle assenze: perché, per il critico, Il Porto sepolto è la summa di una poesia semplice in un mondo che voleva vedersi proverbialmente complicato. La semplicità dei sentimenti contro l’artificiosa complessità dei rapporti ideologici: da qui nasce la poesia di Ungaretti, sorprendentemente attuale come ce la racconta Leone Piccioni.
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Leone Piccioni lettore ed esegeta della poesia italiana dell’800 e del 900, ha fatto dialogare l’accertamento analitico delle verità del testo con la visione di un suo tendere a un destino. Critico militante – dal secondo dopoguerra – su quotidiani e riviste di rilievo nazionale; autore di saggi sulla prosa, il racconto, il romanzo contemporanei; egli stesso ha firmato reportage di viaggio e una scrittura aforistica praticata fino ai suoi ultimi anni. Ma il lascito di Piccioni è stato più ampio e sfaccettato: come non ricordare il suo ruolo di primo piano nell’ideare e attuare i programmi culturali della Rai quando era l’unica emittente nazionale e nella riforma della Radio a metà degli anni Sessanta, con una visione anticipatrice che ha sdoganato in Italia esperienze musicali internazionali, dal jazz (reputato ancora un genere da evitare) ai ritmi latino-americani. E poi la sua capacità di fine, paziente tessitore, nel nome della letteratura e della poesia, capace di creare reti di alleanze virtuose. Fondatore e animatore di premi letterari sparsi per l’intera penisola. È stato messo in rilievo il suo ruolo di intellettuale di raccordo, lo spirito collaborativo pur nella fermezza dei giudizi di gusto e di valore.
Roberto Mussapi lo ha definito «un uomo che, segnato da Ungaretti, scoprì subito che bisognava, bisogna vivere la contemporaneità, senza la quale il passato è mobili in stile, il futuro fantascienza. […] Il vero critico è prima di tutto un uomo libero e etico, la sua città, come quella del poeta, è il Mondo. Pochi intellettuali italiani come Leone Piccioni hanno fatto vero questo mio assunto: Mondo significa buttarsi nella letteratura come critico, nell’università come studioso, in televisione come padre fondatore della civiltà italiana che dal dopoguerra e dalla vergogna del fascismo ci porterà ai brividi di Fellini e di Anton Giulio Majano…».
Gli Atti qui raccolti del convegno di studi Leone Piccioni una vita per la letteratura, che si è tenuto all’Archivio dello Stato di Roma il 27 e il 28 maggio del 2019, sono il significativo risultato di una prima messa a fuoco del singolare lascito di Piccioni, del suo impegno umano e professionale per la resurrezione culturale e morale dell’Italia repubblicana.