La testa a tavola
Carbonara ignota
Con o senza aglio? Pancetta o guanciale? Domande oziose per un piatto che ha una storia recente e contraddittoria: la carbonara. Questo articolo apre una nuova rubrica settimanale dedicata agli aspetti culturali della enogastronomia
Uno dei luoghi comuni più amati nel Paese nostalgico in cui ci troviamo a vivere è quello della immutabilità gastronomica. Lo ha sperimentato Luca Cesari quando ha fatto presente, forte di studi e approfondimenti che mettono fuori discussione ogni possibile contestazione, che nella prima ricetta della carbonara pubblicata in Italia (La Cucina Italiana, agosto 1954) c’erano aglio, pancetta e gruviera: niente guanciale, niente pecorino. Subito, ineffabili ricordi familiari legati a mitologiche nonne nonché immancabili accuse di attacco alla patria hanno colpito lo storico, semplicemente colpevole di rivelare quello che peraltro non richiedeva proprio un’analisi al Carbonio C14 per essere svelato: la carbonara è una ricetta recentissima, come gran parte di quelle oggi popolari, formatasi a cavallo della Seconda guerra mondiale, tra le due sponde dell’Atlantico, e destinata a sedimentarsi in Italia solo a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, all’inizio dei quali ancora Gualtiero Marchesi impiegava la panna (per dare un “tocco di eleganza”) e il burro nella sua realizzazione.
Quello che avete appena letto è un brano tratto dal saggio di Michele Fino edito da Mondadori dal titolo Non Me La Bevo e dedicato al vino e ad una presunta storicità di determinate procedure che altro non sono che aspetti evolutivi che si rifanno ad un passato che non esiste.
L’autore cita lo storico della gastronomia, appunto Luca Cesari, autore del volume Storia della pasta in dieci piatti uscito nel 2021 per far comprendere come la carbonara di oggi sia un processo evolutivo di una ricetta la cui origine, recente, non può far parte del nostro retaggio culturale antico, come per il vino cosiddetto naturale. Ma del vino diremo in altra occasione, recensendo il saggio sopracitato. In questa occasione mi limiterò alla carbonara, non per difendere, da romano, una ricetta classica, quanto invece la creatività della cucina italiana e la sua capacità di evolversi.
Di ricette della carbonara ne troveremo diverse, contigue all’attuale più diffusa, ma non eguali. In un volume degli anni ’90 edito da Franco di Mauro dal titolo A Roma se magna così, la carbonara aveva il guanciale ma anche la cipolla e qualche pomodorino. E il parmigiano era contemplato, non come primario, ma come presente. Nel caso appena citato ad esempio non c’è il pepe.
La prima certificazione della ricetta la troviamo a metà degli anni ’50 del secolo scorso, come ricordava Michele Fino, in quanto la rivista La Cucina Italiana la descrive con pancetta, gruviera e aglio, oltre alle solite uova e al pepe. E in effetti Luca Cesari ci rimanda ad una ricetta umbra del 1931 in cui però, oltre a uova e pancetta, si parla di gruviera e aglio. Sarà uno dei grandi maestri della cucina italiana, Luigi Carnacina a sancire l’uso del guanciale invece che della pancetta (differenziazione avvenuta grazie ad Ada Boni subito dopo la guerra) ma contestualmente avallare l’uso della panna, rimasta in voga fino a tutti gli ’80 e sublimata – come si diceva – da un grande chef del nostro paese, Gualtiero Marchesi.
Tutti aspetti che oggi fanno inorridire i cosiddetti puristi di una ricetta che non ha originali. È semplicemente l’evoluzione di una creatività, accreditata per i più a quegli italiani che nella seconda fase della guerra dovevano fare i conti con la poca disponibilità di viveri, compensata dalle razioni dell’esercito americano: uova liofilizzate e bacon (pancetta appunto). Tant’è che, secondo alcuni studi, sono stati loro i primi estimatori di questo piatto. E la sua romanità potrebbe dipendere da quella Liberazione del 1944 che ne ha fatto la città ispiratrice. Ma quale che sia la verità, nessuna nonna vissuta prima del XXI secolo poteva ascriversi la ricetta originale.
La fotografia che identifica la rubrica è di Roberto Cavallini.