Sergio Buttiglieri
Al Teatro Carlo Felice di Genova

L’albero della Traviata

Torna in scena la "Traviata" di Verdi diretta da Renato Palumbo con la discussa regia di Giorgio Gallione. E ancora una volta la musica vince su tutto, anche sulle forzature

È sempre un piacere rivedere la Traviata di Giuseppe Verdi, una delle sue opere più popolari da sempre in cartellone in tutto il mondo. Sembra che ogni anno vengano messe in scena nei teatri d’opera di tutti i continenti le opere verdiane in almeno 25.000 rappresentazioni e la Traviata è sicuramente fra le più gettonate.

L’edizione che abbiamo appena assaporato al Teatro Carlo Felice di Genova è quella diretta egregiamente da Renato Palumbo con la discussa regia di Giorgio Gallione. Ma soprattutto con la piacevole protagonista Violetta impersonata perfettamente da Carolina Lòpez Moreno che ha ricevuto ripetuti applausi a scena aperta, in occasione dei suoi assoli che tutti abbiamo nella nostra memoria collettiva. Come è stato molto apprezzato dal pubblico genovese che ha gremito il teatro, il famoso tenore Francesco Meli, purtroppo reduce da una recente indisposizione che ne ha ridotto la totale presa sul pubblico. Anche se devo dire ha comunque dato il meglio di sé.

La Traviata è un’opera da riscoprire, come giustamente ci ricorda il musicologo Enrico Girardi, proprio per la eccessiva frequenza con cui la si rappresenta e la popolarità di cui gode. Fattori che tendono ad anestetizzare l’attenzione, la curiosità, la voglia di capire e approfondire dei melomani. È quindi compito del direttore, in sinergia con i cantanti e col regista, di dare nuova luce a questa mitica opera che tutti hanno voglia di rivedere. La Traviata è l’unica ispirata a un soggetto contemporaneo: è tratta da un dramma teatrale di Alexander Dumas Figlio perfettamente riadattato da Verdi insieme al librettista Francesco Maria Piave. La trilogia popolare verdiana del Rigoletto, del Trovatore e della Traviata ci conduce con grande trasporto emotivo verso il naturalismo psicologico, ulteriore tassello nel mondo della lirica di metà Ottocento. E Verdi riesce a far percepire alla borghesia dell’epoca che conosceva perfettamente il racconto di Dumas, mettendo in luce i difetti della mentalità corrente e l’ipocrisia con una critica sfacciatamente onesta del proprio sistema morale.

Non a caso, la prima del 6 marzo del 1853 al Teatro La Fenice di Venezia fu criticata e cominciò a essere replicata in forme più o meno censurate che suscitarono lo sdegno di Verdi. Però in poco tempo la bellezza di quest’opera con l’efficacia della scrittura musicale colpirono profondamente il pubblico decretandola come una delle opere più amate di tutti i tempi.

La Traviata ha come tema l’amore della giovane e chiacchierata Violetta con Alfredo figlio di Giorgio Germont, naturalmente quest’ultimo fin dall’inizio contrario a un’unione che avrebbe incrinato l’immagine della sua famiglia. Alfredo, ingenuo, non ha la forza di opporsi al padre e in più Violetta scopre di essere gravemente malata. E tutto intorno a loro gravita una variegata compagine di nobili parigini e servitori, una presenza corale molto forte sempre affollata negli interni di case borghesi, che ben rappresentano questo mondo chiuso nei suoi aspetti più opprimenti.

Tutta questa vicenda Verdi ce la fa godere con i suoi meravigliosi iniziali preludi che anticipano i temi poi ricorrenti nell’opera dell’amore e della morte. Che fra l’altro inizialmente doveva essere il titolo dell’opera: Amore e Morte.

Nel preludio al terzo atto, ormai immersi nel tema della morte ormai vicina, veniamo condotti nel secondo preludio con la flebile speranza dell’amore ma con una melodia diversa. Violetta passa dalla brillante coloratura del primo atto al tono più elegiaco del terzo, mentre ad Alfredo viene richiesta versatilità nel passaggio da un’espressione più squillante ad un declamato ritmico e ancora a un tono nostalgico.

Tutte queste variazioni hanno avviluppato il pubblico sempre innamorato del genio verdiano anche se alcune esecuzioni vocali non erano perfette e la regia di Giorgio Gallione, che replica per la terza volta dal 2016 il suo allestimento, non è stata unanimemente apprezzata dal pubblico genovese, come la calata di calici che a un certo punto sovrasta sulla scena o l’albero secco al lato del palcoscenico che nell’ultimo atto troviamo abbattuto, sovrastato da un grande specchio inclinato in cui si rifrangono i personaggi. Anche la presenza dei coristi armati di ombrelli neri aperti non è stata molto amata. E neppure le tre controfigure insanguinate di Violetta che ballano e che si riducono ad una sola nel terzo atto, spiaggiandola per un tempo interminabile sul grande albero abbattuto. Una scena anche colma di migliaia di mele quella che invadono tutto il palcoscenico non è stata particolarmente digerita dal pubblico. Come i balletti dei toreri hanno lasciato abbastanza perplessi tutti.

Ma la meraviglia dell’opera è comunque andata oltre alle discutibili scelte registiche. Tutti noi che anche amiamo operazioni inconsuete come quella perfetta di Robert Carsen che avevamo visto al Teatro La Fenice di Venezia nel novembre scorso, a volte, come in questo caso, riteniamo non perfettamente riuscita questa regia con le relative scelte dei costumi e della coreografia in accordo con lui, che è appena andata in scena a Genova.

Traviata è piena di arie memorabili e concertati, ma nulla è più suggestivo di semplici frasi che la musica plasma come un mondo emotivo dalla domanda «Perchè tu m’ami Alfredo, non è vero?». Alla semplice esclamazione con voce desolata «È tardi!» letta la lettera di Germont padre. A Verdi, ci ricorda giustamente il musicologo Stefano Verdino, basta pochissimo per fare ad un tempo musica e dramma, ma sempre gli occorre partire dalla suggestione di una parola, di una frase, un verso dei suoi modesti e geniali libretti.

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