Paolo Vanacore
A proposito de “Le porte del cielo”

Racconti & ambienti

La nuova raccolta di racconti di Daniela Matronola è un caleidoscopio di storie e di personaggi fatto di ambienti, frammenti e simboli che si rincorrono

Citando uno dei racconti contenuti all’interno della raccolta in cui il protagonista dichiara di voler scrivere un libro che intitolerà “Sono solo paginette” possiamo tranquillamente affermare che Le porte del cielo di Daniela Matronola (Mup, 208 pagine, 16 Euro) è espressione massima di libertà e indipendenza. Intendo libertà nella scrittura, innanzitutto, ma anche libertà nella lettura, cosa alquanto rara oggi nel panorama culturale e editoriale italiano. Questi racconti infatti racchiudono generi e stili diversi, tempi e simboli distanti fra loro, esposti con grande maestria da Daniela Matronola che ha l’abilità di trattenerci all’interno di questa preziosa conca letteraria fino all’ultima pagina.

In Amerigo, ad esempio, ci troviamo di fronte a una narrazione libera, appunto, che si esprime in un flusso continuo e frenetico di suggestioni, richiami, ricordi, descrizioni, evocazioni, che impegnano non poco il lettore ma al tempo stesso lo conducono in una sorta di trance letteraria all’interno di una vera e propria rappresentazione live, di tipo teatrale, dove si ascolta, si annusa, si vede, si entra nelle viscere della storia.  In altri tre racconti, invece, avviene un fenomeno che potremmo definire “instant movie narrativo”, come se questa rappresentazione diventasse di colpo cinematografica, con la macchina da presa eternamente sospesa in un lungo piano sequenza a raccontarci in A freddo l’avventura breve ma intensa e carica di significati di quello che solo apparentemente è un sorpasso in tangenziale (la guida è comunque un elemento che ritorna spesso in questi racconti). Dello stesso genere anche il racconto Il cambio della guardia una pseudo staffetta sentimentale fra due donne (o due entità non propriamente umane), un lucido rancore dal sapore carveriano cui per sintesi ed espressività anche il finale rimanda. Questa trilogia cinematografica si conclude con Spuma che prende come pretesto l’assolato incontro di due sorelle con una venditrice di casette in legno da giardino, un frammento di vita quotidiana apparentemente insignificante che nasconde invece un complicato mondo interiore, come in un film di Antonioni.

L’approccio verso altri racconti è più immediato dal punto di vista stilistico, ma in quel frangente sono i personaggi e le loro storie ad attirare la nostra attenzione, (fragilità maschili, peraltro) una sorta di indagine che parte da un’immagine e che diventa appunto rappresentazione dove si può apprezzare tutta la maestria di Daniela Matronola come narratrice: in Frecce al proprio arco ci sono due bimbe che tornano da scuola, da sole, senza aver avvisato i genitori, durante il tragitto vengono molestate da due ragazzini che con un’asticella ad arco tentano di alzare loro la gonna, in questo caso vale la pena soffermarsi sull’intro di questo racconto: «Il senso di violazione e il senso di colpa non di rado si sommano» oppure, qualche riga più in là: «Purtroppo è necessario che qualcosa succeda perché ciò che è inafferrabile e a volte invisibile prenda corpo per acquistare significato in modo nitido». In La porta chiusa c’è un babbo che è l’opposto del maschio, del classico padre di famiglia, un padre intellettuale, colto, che sviene, che si spaventa, cagionevole di salute, che si abbandona e non dorme mai, rinchiuso nel suo studio, capace di donare pochi istanti giocosi e un affetto intermittente, frammentario, un padre anelato ma tanto amato, che di fatto non c’è. La vita offline invece ruota intorno agli amletici dubbi sentimental-letterari di un giovane scrittore nei confronti della sua amata fino al momento del fatidico incontro in cui lei si presenta con le mani occupate da borse, chiavi e libri e lui si chiede: «C’è posto per me in quelle mani?»

In Ombre e polvere e Segmentale c’è la caducità della vita, il crollo delle torri gemelle in un caso e un improvviso incidente automobilistico nell’altro, esempio di quello che il destino o il fato possono tragicamente riservare all’essere umano; anche qui il dramma è tutto al maschile ed è espressione di una grande incertezza del vivere, che poi è anche la nota comune di tutta la raccolta, cui non rimane altro che affidarsi per poi lasciarsi andare.

In questa gradevole raccolta di racconti ci sono ambienti, frammenti e simboli che si ripetono, si inseguono, tornano e ritornano, appaiono e scompaiono, la guida delle automobili, i rapporti genitori-figli (in particolare la paternità presente anche in Strade perdute), i rapporti fra fratelli e sorelle, l’infanzia e i suoi ricordi, le strade principali e consolari, il mare. In fondo, se ci pensiamo, la vita non è altro che questo: ambienti, frammenti e simboli che si rincorrono.


La fotografia accanto al titolo è di Roberto Cavallini.

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