Cartolina dall'America
La sconfitta della gioia
Il partito democratico ha contrapposto un'idea di politica (e vita collettiva) come fonte di gioia a chi ha vinto speculando sulle paure. Perciò non è difficile pronosticare un futuro "pauroso" per il mondo
Una sconfitta di proporzioni epocali per Kamala Harris e il partito democratico. L’altra donna che nel 2016 aveva corso per la presidenza degli Stati Uniti, Hillary Clinton, aveva almeno vinto il voto popolare, mentre questa volta l’unica altra candidata, per di più di colore, non è riuscita a conquistare neanche quello. Al momento (i risultati sono ancora in corso di conteggio) Donald Trump ha 300 Electoral votes, di cui gliene sono bastati 270 per vincere le elezioni. Che il trend andasse in questa direzioni lo si è capito fin dall’inizio dei primi risultati, quando già si vedeva l’enorme differenza degli Electoral Votes tra i due contendenti, ma nessuno si aspettava una vittoria di queste proporzioni. Infatti da tempo si parlava di corsa sul filo del rasoio. E molte/i hanno sperato che questa volta il glass ceiling potesse essere infranto. Non è stato cosi. La mappa degli Stati Uniti appare tutta rossa, il colore del partito repubblicano, con qualche sparuta macchia blu, il colore del partito democratico.
La vittoria repubblicana è stata schiacciante. Adesso il partito di Abraham Lincoln, (se ancora si può abbinare il nome del partito di Donald Trump a quello del grande presidente cha abolì la schiavitù), ha in mano tutti i poteri istituzionali. Infatti ad eccezione della House of Representatives dove i conteggi sono ancora in corso, (ci vogliono 218 seggi per avere la maggioranza assoluta, ma i repubblicani ne hanno già 211), i repubblicani hanno in loro potere l’altra metà di quello legislativo con 52 seggi al Senato contro 45 dei democratici, il potere esecutivo con l’elezione del presidente e quello giudiziario, essendo la Corte Suprema l’organo più alto della magistratura federale, la cui maggioranza assoluta grazie alla nomina da parte di Trump di 3 giudici nel suo precedente mandato, è conservatrice-repubblicana. Dunque per Trump governare un paese di cui si hanno in mano tutte le leve del potere, intese in senso democratico da Montesquieu in poi, diventa estremamente facile. Ma anche molto pericoloso.
Non mi dilungherò sui motivi che hanno determinato la sconfitta di Kamala Harris almeno non dirigendo la mia attenzione verso i suoi errori. Ha cominciato a farlo e lo sta facendo la maggior parte dei giornali, spesso criticando la strategia democratica degli ultimi mesi. E non lo farò non solo perché credo che ormai ne parlino in troppi, arrampicandosi sugli specchi per trovare magagne a destra e a manca, ma soprattutto perché non mi pare che ci siano stati errori da quella parte. Credo infatti che a parte il fatto che Harris è entrata in campagna elettorale solo quattro mesi prima delle elezioni, mentre Trump faceva campagna elettorale da più di un anno, dunque relativamente ancora sconosciuta alla maggioranza, sia stato il livello del dibattito, che Trump ha contribuito a creare, a penalizzare la candidata democratica. Le offese, i dileggi, i commenti di basso tenore, e il linguaggio volgare usati dal tycoon hanno infatti impresso un tono a cui la candidata Harris non era abituata e a cui non ha voluto conformarsi. Il parlare alla ragione e non alla pancia del paese l’ha penalizzata. Ma questo, che non è un errore, ma una scelta di stile, la dice lunga su cosa sia diventato più di metà di questo paese.
Quello che mi interessa al momento è infatti capire che paese ci restituisce questa sconfitta. E lo farò attraverso quello che ha fatto e detto Kamala Harris.
Harris giustamente non ha fatto valere la carta di genere, pur affrontando il tema dell’aborto e rivolgendosi dunque alle donne, non ha giocato la carta razziale pur rivolgendosi alle minoranze etniche. E ai giovani ha parlato delle condizioni secondo le quali si dovrebbe verificare la pace non nascondendo le difficoltà che si presentano per ottenerla.
E dunque perché non è stata votata in massa da questi soggetti politici?
La prima risposta che mi viene da dare è: perché è una donna e una donna di colore. Non è stata votata da molti afroamericani e latino americani, da molte donne bianche e da molti giovani. I maschi afroamericani e latinoamericani hanno una cultura di riferimento ancora imbevuta di machismo e di supremazia di genere che non riesce a da andare più in là del loro organo sessuale e a intravedere che è la supremazia bianca che devono sconfiggere e non quella femminile, le donne che in altri anni hanno dimostrato una capacita di marciare unite per le conquiste di genere, facendo passare leggi come quella sull’aborto e sul controllo del loro corpo, hanno dimenticato che un uomo non potrà mai garantire loro la liberta di questo diritto e ai giovani infine che parlano di pace e credono che Trump sia in grado di ottenerla sarebbe bene ricordare a quali condizioni si verificherebbe. Certo Trump non fermerà il genocidio palestinese e non imporrà restrizioni di sorta all’amico intimo Netanyahu, uno dei primi a congratularsi della sua elezione. E certo non parlerà affatto, come ha fatto Kamala Harris, di soluzione dei due stati. E a Putin, altro suo caro amico, lascerà fare quello che ritiene opportuno nei confronti dell’Ucraina e dell’Europa della cui difesa, vedi la sua posizione sulla Nato, interessa poco o niente. Parlo alle anime belle, che proclamano a tutti costi la pace, senza pensare ai prezzi da pagare per ottenerla. E mi chiedo: sono queste condizioni di pace possibili senza il “si vis pacem para bellum”?
Vorrei proporre però un’ultima riflessione che mi porta a fare un confronto tra l’elezione di Barack Obama e quella mancata di Kamale Harris.
Prima dell’elezione del primo presidente nero degli Stati Uniti ci si riferiva ad essa come una conquista epocale e la maggior parte degli americani amava parlare con gioia e con fierezza di politica. Quasi a volersi far perdonare gli anni della schiavitù e della segregazione. Me lo ricordo bene! Erano fieri di essere un paese che poteva cambiare e trasformarsi. E fieri di prendere coscienza di quei grandi errori Un’araba fenice come l’America è sempre stata! L’elezione successiva di Donald Trump, come reazione a quella conquista ha fatto precipitare il paese in una fase oscura dalla quale non si è più tornati indietro. Trump è riuscito ad aprire i pori chiusi del razzismo, della misoginia, dell’omofobia e tutto il materiale infetto che li otturava è uscito allo scoperto, autorizzando comportamenti fino ad allora inconcepibili. E ha aperto un vaso di Pandora. Così è riapparso il Ku Klux Klan e con esso sono ricomparse affermazioni e comportamenti razzisti e misogini. E si è riparlato di quella Southern Strategy con cui il partito repubblicano soprattutto non ha mai fatto i conti. Con Kamala Harris tutto questo è riaffiorato, ha creato paure irrazionali caricate del fatto che questa volta non solo era una donna a presentarsi, ma anche di colore. Non dimentichiamo, Machiavelli docet, che la paura e la divisivita su cui Trump ha fatto leva sono strumenti di controllo potenti, mentre Harris ha parlato di gioia, di unità, di lavoro duro costruttivo che crea legami tra le persone.
Nel mondo delle serie si dice in generale, che i sequel non sono mai belli come le serie originali. Questa rielezione si preannuncia molto peggio di quella precedente, soprattutto come una presidenza per la quale sembra valere ancora quello che Trump disse delle donne poco prima di essere eletto:” If you’re star they let you do it”. E questo non dice niente di buono sul paese e sul sentiment di una gran parte di esso,
Ma è con alcune parole di speranza del discorso di sconfitta di Kamala Harris che voglio concludere questo pezzo. Nel dichiarare la propria sconfitta e nell’invitare i democratici a continuare a battersi instancabilmente, quotidianamente e in modo civile per riconquistare il terreno perduto, la vicepresidente ha affermato: “Sono i momenti e i luoghi più bui che ci permettono meglio di vedere le stelle”. E forse dobbiamo seguire il suo consiglio e cominciare a cercare di guardare in alto senza mai dimenticare, come ci ricorda Immanuel Kant, quella legge morale dentro di noi. Che in questo momento sembra mancare in molti luoghi e momenti della politica non solo in America, ma nel mondo.