Cartolina americana
America avvelenata
La vigilia delle elezioni per la Casa Bianca sono caratterizzate dalle volgarità, dalle menzogne e dalla violenza del candidato repubblicano: mai la politica Usa era scesa così in basso
In quasi quattro decadi di assidua frequentazione di questo paese di cui sono anche cittadina, non credo di avere mai visto una campagna elettorale cosi avvelenata e piena di insidie come quella tra Donald Trump e Kamala Harris. Fatta soprattutto di colpi bassi, di provocazioni e di offese da una parte a cui si cerca di non rispondere dall’altra per non scadere in un botta e risposta che travolga ambedue in un turbine di volgarità senza precedenti. Purtroppo però è inevitabile che il tono generale scada ogni giorno di più e sia ormai arrivato a un punto di non ritorno. Una sfida all’Ok Corral senza precedenti in cui in ballo c’è la salvezza della democrazia americana e della sua costituzione. Ma anche la sua leadership a livello mondiale la quale, piaccia o meno, ancora rimane essenziale per la sicurezza dell’intero pianeta.
Domani, martedì 5 novembre, è il giorno deputato al voto, l’Election Day. Nei giorni che lo precedono tuttavia è possibile per i cittadini americani usufruire di quella procedura di voto anticipato che in 47 stati permette agli elettori di votare da 7 settimane a 3 giorni prima del giorno prefissato. A oggi, 60 milioni di elettori hanno già votato.
Si prevede che l’affluenza alle urne sarà più alta della tornata elettorale precedente del 2020 quando si presentarono 158 milioni di elettori (il 67% degli aventi diritto). Allora fu minore anche causa del Covid, rispetto a quella che ci si aspetta per queste elezioni.
I sondaggi dànno i due candidati molto vicini nelle percentuali, addirittura appaiati. Dopo il momentum che Harris aveva conquistato alla Convention democratica di Chicago in agosto, adesso sembra siano tornati su un livello di parità inspiegabile dopo tutte le gaffe di Donald Trump, le sue terribili cadute di stile, le sue affermazioni sulle donne, le sue offese nei confronti di gruppi etnici minoritari come neri e ispanici. L’ultima è quella del comico Tony Hinchcliffe che dal palco del Madison Square Garden di New York, a fianco di Donald Trump, ha chiamato Portorico “un’isola di spazzatura galleggiante”. Bellissima è stata la risposta di Jennifer Lopez visibilmente commossa che il giorno dopo ha presentato a Las Vegas Kamala Harris. L’artista parlando anche in spagnolo si è rivolta ai suoi compaesani, invitandoli a tenere la testa alta e a ribellarsi a tali offese, mostrando una volontà di reazione inequivocabile con il voto alla vicepresidente.
Ma vediamo brevemente come si svolgono le elezioni del presidente degli Stati Uniti. Intanto non sono elezioni dirette. Esiste un voto popolare e il voto dei grandi elettori che è quello che determina in ultima istanza l’elezione del presidente. In due delle passate sei elezioni ad esempio il candidato che ha vinto con la maggioranza del voto popolare ha perso le elezioni. È stato il caso di Donald Trump che ha vinto contro Hillary Clinton la quale aveva però ottenuto la maggioranza del voto popolare.
È un sistema complesso che ad oggi sta mostrando la corda, in quanto stati piccoli ottengono un numero di delegati sproporzionato rispetto alla loro popolazione. Quando i padri fondatori stabilirono questo sistema adottarono questo metodo perché consideravano la volontà popolare poco affidabile e troppo poco informata, specie nei centri rurali. Gli elettori scelgono con il sistema maggioritario un numero di delegati pari ai membri del parlamento 538. Chi ottiene 270 grandi elettori, cioè la maggioranza, vince la presidenza. In ogni stato chi prende più voti ottiene tutti i delegati di quello stato. E dunque negli stati di cui già si sa che sono democratici come California, New York, Illinois, Massachusetts o repubblicani come Arkansas, Alabama, Tennessee o Wyoming i due candidati non si fronteggiano più di tanto. Sono i cosiddetti swing states quelli dove il bottino dei grandi elettori può cambiare da un’elezione all’altra che assicurano la presidenza. In questi stati la battaglia è all’ultimo sangue e infatti sono anche denominati battleground states. Questi stati sono 7: Arizona, Georgia, Michigan, Nevada, North Carolina, Pennsylvania and Wisconsin è in essi si decide la presidenza nei prossimi giorni. Tanto è vero che i due candidati si dividono furiosamente gli spazi dove fare comizi, cercando di andare nelle contee più piccole e sparute, mentre i volontari fanno un giornaliero porta a porta per convincere gli elettori. Di questi stati tre sono al sud (the sun-belt states) Arizona, Georgia, North Carolina, tre al nord (the blue wall states) Michigan e Wisconsin del Midwest e Pennsylvania e poi c’è il Nevada. Harris appare in leggero vantaggio negli stati del nord, mentre Trump in quelli del sud.
Ma in generale qual è il clima che si respira in questi giorni nel paese? Un clima di attesa, molto teso, estremizzato, preoccupato in cui la gente è intimorita. Poche sono le insegne che in generale si vedono nei back yard delle case e poco si sente parlare di politica. Siamo lontani dai giorni che precedettero l’elezione alla presidenza di Barack Obama quando la gente ovunque e in grandi numeri era felice di parlare di politica e di potere affermare che con gioia avrebbe votato il primo presidente nero della storia del paese.
Adesso invece proliferano a man bassa conspiracy theory e fake news. A partire dal video messo in circolazione dalla Russia per creare insicurezza e paura. Il video, assolutamente falso, scoperto dall’FBI, mostra immigrati haitiani in possesso di patenti false in Georgia che votano illegalmente. Donald Trump inoltre ha ribadito che darà battaglia se perde, perché ciò significherebbe che le elezioni sono truccate. Malgrado un recente servizio di 60 minutes la popolare trasmissione della domenica pomeriggio su CBS con un’intervista al Governatore e al Segretario di Stato della Georgia, ambedue repubblicani abbia smentito per bocca loro qualsiasi broglio nelle passate elezioni. Questi infatti sono gli stessi a cui Donald Trump chiese di trovare gli 11.000 e più voti che gli servivano per vincere le elezioni. David Becker che in passato ha aiutato il Dipartimento di Giustizia nelle sue procedure di conteggio dei voti e di sicurezza delle elezioni e che adesso è un consulente del canale televisivo CBS per i processi elettorali, ha affermato che la Georgia è un modello per il paese e che queste elezioni saranno monitorate nei dettagli più del solito, tanto che i risultati non si sapranno che verso la fine della settimana. Alla domanda del giornalista Scott Pelley che gli chiedeva se, secondo varie teorie del complotto, ci sono possibilità di voti illegali come nel video russo, Becker ha smentito assolutamente e ha detto che le frodi elettorali si contano numericamente forse in una dozzina in tutto il paese.