All'Arena del Sole di Bologna
Mangiare o meditare
Arriva in teatro con successo "La vegetariana" di Han Kang, appena insignita del Premio Nobel per la letteratura. Un testo sulla banalità della normalità
La Vegetariana di Han Kang (Premio Nobel per la letteratura 2024) non è un inno al vegetarianesimo. E questo lo hanno ben compreso la regista Daria Deflorian e la scrittrice Francesca Marciano che lo hanno appena messo in scena con successo a Bologna al Teatro Arena del Sole e ora in tournee in Italia e poi a Parigi.
Molto fedele al testo, il loro lavoro ha ben raccontato le complesse violente dinamiche famigliari che permeano il lavoro della scrittrice sudcoreana che lo ha ideato nel 2007.
Come giustamente evidenzia il The new York Times, l’autrice ci racconta che astenersi dal mangiare esseri viventi non conduce all’illuminazione. Una profonda meditazione, la sua, sui rapporti umani velatamente spesso intrisi di sesso malato, di alimentazioni forzate e purificazioni.
La protagonista, Yeong-hye perfettamente interpretata da Monica Piseddu, rivela al marito, impiegato mediocre, (reso in maniera ineccepibile da Gabriele Portoghese) che quella notte ha fatto un sogno ed è per questo che ha deciso di non mangiare più carne e di conseguenza svuota il frigo di tutto quel cibo, lasciando stupefatto il marito che fin dall’inizio aveva fatto un ritratto insulso di sua moglie definendola del tutto insignificante.
La iniziale implacabile descrizione della banalità della moglie è il perfetto ritratto della grande mediocrità del marito stesso che nella vita aveva fin da piccolo scelto le vie di mezzo.
Dopo 5 anni di matrimonio, ci racconta lui stesso con le testuali parole della scrittrice, «non essendo mai stati follemente innamorati, non cademmo nemmeno in quella fase di noia e stanchezza che può trasformare la vita coniugale in un supplizio».
L’autrice sottolinea lo sbigottimento del marito: «la sua espressione serena come quella di un monaco buddista, lo atterrisce. Gli nasce il sospetto che si tratti solo di un’impressione, quel che è rimasto in superficie dopo che un’enorme quantità di inenarrabile violenza era stata assimilata o si era depositata dentro di lei come un sedimento».
L’irritato sconcerto del marito, sommato all’esaltazione artistica del cognato che la colora ignuda, (interpretato da Paolo Musio) fino alla consapevolezza addolorata della sorella, impersonata efficacemente da Daria Deflorian, inquadrano perfettamente questa umanità dannosa, furiosa, assassina, violenta in cui è immersa suo malgrado la protagonista e da cui vuole con estrema fatica sfuggire. La regista ci ricorda che l’autrice Han Kang aveva pubblicato le 3 parti del romanzo a distanza di anni come racconti singoli. Solo dopo ha deciso di farle diventare una storia unica. E la Deflorian ha deciso di rispettare scenicamente questa tripartizione. Il punto che mettiamo in luce è che ognuno dei personaggi subisce un cambiamento dall’incontro con Yeong-hye con il mondo “altro” che porta. Dopo l’incrinatura fondamentale subita del marito, assistiamo al dirompente incontro col cognato artista che porta la sorella quasi al punto di mettersi sulla sua stessa strada. La grande differenza rispetto al racconto originario è che la protagonista Yeong-hye non è raccontata dagli altri tre ma è veramente in scena e governa tutti. Lei ci lascia il messaggio di un non-ancora. Non ancora morta, non ancora salva, non più com’era prima, non ancora come potrà essere a trasformazione conclusa.
Una scena nuda quella concepita da Daniele Spanò, con un materasso non a caso posto inaspettatamente in verticale sulla parete di fondo su cui i coniugi ci raccontano le loro devastanti inadeguatezze. I loro frammentati dialoghi, i loro amplessi scomposti, la loro solitudine.
Lunghissimi applausi alla prima bolognese di questo esemplare lavoro registico di Daria Deflorian che ci ha immerso nella poetica destabilizzante di questa preziosa autrice orientale giustamente appena premiata col Nobel.
E alla fine lo spettacolo ci ricorda come il tempo sia una inarrestabile onda inesorabile.
Le fotografie dello spettacolo sono di Andrea Pizzalis.