Al Teatro dell'Opera di Roma
Sindbad e i migranti
"L'ultimo viaggio di Sindbad", la nuova opera di Silvia Colasanti, usa il mito per parlare di un dramma della contemporaneità. L'efficacia della musica (e della scena) si scontra con la povertà del libretto
I migranti, protagonisti dello spettacolo, alla fine scendono in platea, girano nella penombra come ombre o fantasmi tra il pubblico, guardando gli spettatori negli occhi per coinvolgerli nel loro dramma, tra chi si è salvato e chi è annegato in mare. È l’intenso finale de L’ultimo viaggio di Sindbad, il lavoro che il Teatro dell’Opera di Roma ha commissionato a Silvia Colasanti ed ha una sua forza emotiva nella suggestiva scena di Leila Fteita e i movimenti di regia di Luca Micheletti e soprattutto grazie alla suadente e inquieta vena lirica e le invenzioni sonore della bella musica, diretta con nitore e sostanza da Enrico Pagano. Si replica sino al 23 ottobre al Teatro Nazionale.
Alla musica in particolare vanno così i calorosissimi e lunghissimi applausi finali e all’ottimo coro (guidato da Ciro Visco) e gli interpreti solisti, da Roberto Frontali (Sindbad) a Paolo Antognetti (nostromo), da Daniela Cappiello (la madre) a Elisa Balbo (la sorella), che hanno dato vita a questa sorta di cantata, in quanto quel che latita a sorpresa, essendo firmato da Fabrizio Sinisi (dai testi di Erri De Luca), è il libretto in versi sull’incontro tra il mito e la realtà, che tende al retorico quando non è didascalico e senza una sostanza drammaturgica che desse reali possibilità teatrali al lavoro e alla sua anima lirica.
La teatralità resta affidata allora tutta all’importante impianto scenico che propone, lungo tutto lo spazio del palcoscenico, la fiancata di una nave che poi svela al suo interno il ponte e sotto una stiva dove vengono ammassati i migranti, donne, bambini e uomini, accolti con un “Malvenuti a bordo”, dopo aver pagato il taglieggiamento del trasporto. Si sogna l’Europa della libertà, che Sindbad invece dipinge loro come una giungla o un mare, governata dall’impietosa legge del mercato. “Come è strano l’umano” che all’inizio pareva il verso chiave, in realtà finisce per avere un senso particolare durante la tempesta, quando lo strano è credere, come da certe leggende, che uno dei passeggeri abbia irritato il mare e si finisca per sacrificarlo buttandolo in acqua.
“Figli, perdonate questa notte orrenda / in cui voi morite e noi viviamo” esclama Sindbad nel corso del tragico viaggio, in cui c’è anche una madre che partorisce un bambino morto, e lo getta alle onde ricordando tutto quello che gli è stato risparmiato. Tutto è giocato tra il reale e il fiabesco, tra la cronaca e la visione che non sempre trovano una fusione e anche il finale resta ambiguo. Mentre il cielo scende cupo sulla nave a schiacciare tutto trasformandosi in mare che sommerge ogni cosa, c’è chi grida “Terra!” e il nostromo che invece prevede “Domani all’alba non ci sarà niente / solo il deserto d’acqua./ E corpi, come ombre, o sogno breve”, mentre il capitano Sindbad a chi gli chiede quale sarà la fine, risponde con la storia di Shehrazade e appunto il c’era una volta Sindbad delle Mille e una notte. Così il coro dei migranti termina dicendo di “lastricare di scheletri il vostro mare” e poi assieme “faremo i servi, i figli che non fate” più un curioso “nostre vite saranno i vostri libri di avventure”.
La regia lavora molto sui movimenti, sui due piani della nave, su una serie di boccaporti, dando rilievo a un gruppo di bambini-voci bianche previsti dalle articolate vocalità costruite con sottile arte dalla Colasanti, con una musica insinuante e coinvolgente, con echi mediterranei e un limpido procedere sino al finale. Questo è il primo capitolo di un progetto triennale dell’Opera di Roma dedicato alla musica contemporanea che vede protagoniste tre autrici. Nella prossima stagione è in programma la prima italiana di Adriana Mater, di Kaija Saariaho con la regia di Peter Sellars, e nel 2025/26 sarà la volta di Inferno di Lucia Ronchetti.
Le fotografie sono di Fabrizio Sansoni, Teatro dell’Opera di Roma.