Diario di una spettatrice
Lo specchio di Lelouch
Il nuovo film di Claude Lelouch, “Finalement”, gioca con le identità (sue e del protagonista), come in un caleidoscopio che sembra un testamento
Finalement: non finalmente, ma in definitiva o alla fine, così si traduce, è Claude Lelouch, il regista che dal 1960 racconta la “follia dei sentimenti” senza la quale la vita non è vita. Alla vigilia del suo ottantasettesimo compleanno, il marito della scrittrice Valérie Perrin – autrice del celeberrimo Cambiare l’acqua ai fiori, sua fotografa di scena e sceneggiatrice nonché quarta moglie di trent’anni più giovane – si concede un inno senza rimpianti e senza ritegno a questa follia che ha permeato la sua vita e la sua carriera cinematografica e che perciò ha tutta l’aria di un testamento.
E cosa può fare allora lo spettatore se non arrendersi “malgré lui”, se non credere alla favola presentata fuori concorso all’ultima Mostra del cinema di Venezia, anche se in tempi come questi appare del tutto improbabile e la sceneggiatura non è sempre convincente?
Kad Merad, indimenticabile protagonista del film Bienvenue chez les Ch’tis ovvero Giù al Nord, diventa Lino, anzi Claude stesso, in un gioco di citazioni incrociate che celebra contemporaneamente l’attore Lino Ventura, il personaggio Lino Massaro, protagonista de L’avventura è l’avventura e quindi lo stesso Lelouch che lo diresse oltre cinquant’anni fa. All’inizio del film Merad/Massaro sembra un pazzo scappato di casa: vaga nel paesaggio autunnale della Normandia – all’orizzonte le spiagge e le maree di Mont-Saint-Michel e Lelouch ci infila pure una inattesa sequenza di guerra evocando lo sbarco del D-day – e a chi lo carica con l’autostop racconta storie ogni volta diverse e sempre più improbabili (è un prete scomunicato e assatanato di sesso, ma anche un avvocato che si immedesima negli imputati che difende, comunque un delinquente ricercato dalla polizia). Qual è la verità?
Si scoprirà nel corso del film che Lino è davvero un principe del foro che ha scelto la professione per via di un padre malavitoso e che nei confronti dei suoi assistiti ha un’empatia per lui inevitabile che si spinge fino alla completa immedesimazione. La stessa empatia che Lelouch ha sempre confessato nei confronti dei personaggi dei suoi film. È quindi con un gioco di specchi che la pellicola rivela il messaggio che contiene: Lino decide che è venuto il momento di lasciarsi tutto alle spalle, di scaricare la fatica di una vita che è stata per troppi anni le vite degli altri e che gli esplode dolorosamente nella testa fino a diventare insostenibile.
In questo percorso di liberazione e leggerezza c’è un filo conduttore che accompagna e consola: la musica. Lino ha sempre amato suonare la tromba ed è la tromba a guidarlo in questo suo pellegrinare dal nord al sud della Francia, dalle spiagge grigie della Normandia alla luce abbagliante e chiassosa del festival di Avignone.
La colonna sonora è in effetti la struttura portante della pellicola, anche se il film non è un musical, come hanno scritto alcuni commentatori. La musica originale è firmata da Ibrahim Maalouf e le canzoni da Didier Barbelivien, in particolare quella le cui strofe iniziano tutte con la parola “finalment”.
Oltre alla trama musicale, questa è una pellicola di citazioni cinematografiche: non solo L’avventura è l’avventura ma anche I ponti di Madison County sono un riferimento sottolineato più volte.
Lino Massaro ha perso la genialità strafottente di Lino Ventura, è un uomo in crisi, svagato, fragile, dorme nei fienili, si lava negli stagni dei giardini altrui, ha con sé un libretto di assegni che devolve con noncuranza a chi ne ha bisogno, per se stesso non ha più nessuna attenzione, ma ha ancora lo sguardo di un uomo innamorato delle donne. La vita è una scommessa non sempre vinta, ma alla fine arriva ciò che deve arrivare. E questa certezza che ci fa arrendere e che ci impone di buttare via tutte le zavorre, anche quelle che sono il risultato di un’esistenza piena di successi e fama, in fondo ci fa bene. “Tout ce qui nous arrive, c’est pour notre bien”, ha ragione Lino, è così.
Inevitabile post scriptum: ma c’era davvero bisogno del sottotitolo “Storia di una tromba che si innamora di un pianoforte” per la versione italiana, visto che nel titolo originale non esiste?