Pasquale Di Palmo
I deliri del bibliofilo

Scatti dal manicomio

“Morire di classe”, l’album curato da Franco e Franca Basaglia che con le foto di Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin testimoniava la condizione manicomiale in Italia, è stato uno dei pochi libri di culto ad incidere nella realtà sociale del nostro paese

È il 1969 quando Einaudi pubblica, come decimo numero della collana “Serie politica”, un volumetto in formato album intitolato Morire di classe. I due curatori sono Franco e Franca Basaglia che in copertina adoperano solo l’iniziale del patronimico. Il sottotitolo è La condizione manicomiale fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin. Il libro esce dopo L’istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico, edito dallo stesso Einaudi nel 1968 nella collana “Nuovo Politecnico”, dove Basaglia, avvalendosi delle esperienze condotte fino ad allora in vari istituti psichiatrici, in particolare a Gorizia («un ospedale di 500 letti, dove erano usuali elettrochoc e insulina»), delinea le basi di quel processo che, nell’arco di un decennio, porterà alla soppressione dei manicomi attraverso la legge 180, istituita nel 1978 (si veda la fondamentale esperienza a Trieste simboleggiata dalla figura di Marco Cavallo, scultura realizzata dal cugino Vittorio Basaglia, che scorrazza per la città accompagnato dal suo colore azzurro e dai malati in festa).

La promulgazione della legge 180 fu preceduta da alcuni eventi che colpirono fortemente l’opinione pubblica: tra questi, oltre al succitato testo di Basaglia, il documentario I giardini di Abele di Sergio Zavoli, ambientato proprio a Gorizia, trasmesso nel 1968 dalla Rai nella trasmissione “Tv7”, con un’intensa intervista allo psichiatra veneziano. Inoltre si devono ricordare alcuni servizi giornalistici e, appunto, il pionieristico reportage fotografico di Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin che testimonia la condizione disumana degli alienati. I coniugi Basaglia avevano selezionato una sequenza circoscritta di brani, attinenti al tema della follia, tratti dalle discipline più disparate: si passa da estratti del dramma Marat-Sade di Peter Weiss a stralci di lettere e poesie di ex ricoverati, a citazioni dei più diversi autori: Brecht, Primo Levi, Foucault, Nizan, Swift, Pirandello, Horkheimer e Adorno, Fanon. A più riprese si attinge a un testo basilare come Asylums di Erving Goffman, edito da Einaudi nel 1968, a cura degli stessi coniugi Basaglia. Non manca un passaggio tratto dai Quaderni di Malte Laurids Brigge di Rilke: «Sono relitti, bucce di uomini, che la sorte ha sputato. Umidi di questa saliva della sorte strisciano su un muro…». Figurano inoltre plurimi rimandi alle norme prescritte nei regolamenti degli istituti psichiatrici, riportati pedissequamente: «Gli infermieri non devono tenere relazioni con le famiglie dei malati, darne notizie, portar fuori senz’ordine lettere, oggetti, ambasciate, saluti: né possono recare agli ammalati alcuna notizia dal di fuori, né oggetti, né stampe, né scritti».

In questo canovaccio si situano le immagini realizzate dai due fotografi tese a rappresentare la precarietà della condizione manicomiale attraverso una sequenza di indimenticabili scatti. In due foto collocate in forma speculare è rilevato il contrasto tra alcune degenti che, nel giardino di un istituto psichiatrico, inseguono i loro fantasmi arrivando a sdraiarsi miserevolmente a terra contro un’immagine che riprende un’elegantissima festa in un ambiente aristocratico. Del pari selezionate immagini si riferiscono ad altri contesti sociali: si veda il poliziotto che aggredisce i manifestanti in Piazza San Marco.

Il libro presenta una brossura editoriale figurata con titoli al piatto e al dorso, nel formato di cm 18 x 24, con 76 pagine non numerate. In copertina è riportato il particolare di un’immagine di una degente in camicia di forza che si staglia come un ectoplasma da un sottofondo color lilla. La quotazione presso gli usuali canali del modernariato può variare dai 300 ai 500 euro. Certe immagini sono ripetute in sequenza al fine di rimarcare maggiormente il soggetto rappresentato, come quella, celeberrima, del malato che nasconde il volto fra le mani.

Fu lo stesso Basaglia a invitare Carla Cerati ad effettuare alcuni reportage negli ospedali psichiatrici al fine di documentare lo stato in cui versavano i lungodegenti. Dopo il coinvolgimento nel progetto di Gianni Berengo Gardin, i due fotografi si recarono in quattro differenti strutture manicomiali: Gorizia, Colorno, Firenze e Ferrara. Sembra però che il libro non accolga alcuna fotografia di quest’ultima struttura. Precisa al riguardo John Foot: «Qui le immagini e le foto erano al centro della scena. Si trattava di un oggetto di design, un libro fotografico politico e sociologico, un libro da guardare (o da cui distogliere lo sguardo) tanto quanto da leggere. Mentre tentavano di rivoluzionare le cure per i malati di mente, i Basaglia (insieme a Giulio Bollati, che lavorava per la casa editrice torinese Einaudi) cercavano di trasformare il mondo dell’editoria e delle campagne politiche. La comparsa di Morire di classe fu un momento memorabile nella storia del movimento, e anche nella storia dell’editoria».

Non è rilevata né la paternità delle singole foto né l’ospedale psichiatrico in cui sono state scattate. Il volume fu ristampato nello stesso formato negli anni Settanta e divenne uno dei pochi libri di culto che riuscirono nell’intento di incidere nella realtà sociale del nostro paese. Una ristampa è stata allestita recentemente dal Saggiatore in occasione dei cinquantacinque anni che ci separano dall’edizione originale.

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