Daniela Matronola
A proposito di "Notturno napoletano"

La voce di Napoli

Il nuovo libro di Nando Vitali è un ritratto dell'anima di Napoli in due storie parallele: quelle di Luisella che vive nei bassi e Zampanò che viene da Bagnoli

Ci sono libri nei quali è dolce trattenersi più che si può per non lasciar finire il gusto del trattenimento. Poi ci sono libri, come questo: Notturno Napoletano, due racconti di Nando Vitali illustrati da Luk (Luca Dalisi) per Colonnese Editore, che danno godimento generoso mentre ci si sta dentro e nello stesso tempo si lasciano bere e trangugiare al galoppo – e poi ciò che resta è un surplus di godimento, è un gustoso ricamarci sopra, e poi è rivedersi certi passaggi fulminanti e geniali, e poi ristudiarsi le illustrazioni che danno ulteriore stoffa filmica a un modo di raccontare che, però, proprio avvalendosi della parola, a maggior ragione corroborata qui da immagini, riesce a evocare odori sapori e suoni, e a far sentire al lettore una musica, come in questo Blues Napoletano di Nando Vitali.

Sono due soli racconti, di origine diversa però resi parenti da una simile atmosfera, di sapore antico.

Luisella (Le quattro giornate di Napoli) si svolge tutto in un basso, col frastuono della rivoluzione di liberazione fuori, nell’ultima notte della fiera lotta di popolo che scacciò l’invasore nazista dalla città.

In Zampanò (Il lupo mannaro di Bagnoli) siamo in una notte fonda all’alba degli anni Settanta e proprio nella notte in cui tutte le vacche sono nere, citando il filosofo (tedesco), il narratore-escursionista della periferia industriale, musicista che vortica nei vicoli mentre torna a casa da una serata, ventenne impavido e rispettoso, curioso, ci fa conoscere e distinguere la nostra condizione di umani degni e indegni e ciò che fa la differenza tra l’etica personale e l’ingiustizia generale governata da quel serpente indomito e velleitario che è la sorte.

Viene naturale cogliere una corrispondenza tra il mazzo di carte di vicoli in cui verrà ributtato all’alba il giovane soldato tedesco (che ha passato la notte nell’antro di Luisella la Scartellata, solitaria reietta quietamente sulla difensiva in un contesto di guerra e partecipe a modo suo al pugno di notti in cui Napoli riuscì a cacciare i tedeschi) e i bui vicoli di Bagnoli pieni di sospiri e latrati sputi e scatarri che preannunciano il lupo mannaro e lasciano aleggiare il mastino del vicino di casa e le catene di Carlucciello e i fendenti di Zampanò.

I due racconti hanno un punto di forza invincibile (tra i tanti). La lingua. È napoletano anche là dove non è trascrizione (come avviene in apertura di Luisella) in presa diretta della voce di popolo. È come se, presso di noi, tornati fanciulli e immersi fino al collo in una irredimibile e irrinunciabile sospensione dell’incredulità, si materializzasse il Basile in persona e ci riacciuffasse per riportarci nella magia del Seicento Napoletano, lo stesso su cui trasvolò il Caravaggio e in cui fecero scuola Luca Giordano e il Solimene (“illustratori”, per inciso, nella chiesa di Montecassino): qui cronaca e sogno, immaginazione ed equivoco, segni e misture di carne e sangue, in cui nessuna miseria è omessa, forniscono la sostanza reale e onirica del raccontare, dotata di sintesi allarmante e spietatezza sincera, al tempo stesso ineludibile e irrifiutabile – fedele nella capacità di rendere la densità del destino senza esitazione, e anche senza inutili cascami, ma con un buio, sciabolato dai lampi delle azioni umane, che evoca il segno più franco del barocco: il suo sublime, il suo “maraviglioso”.

Capiamoci, è un narrare affatto contemporaneo, cioè del tutto calato in una evocazione contemporanea.

Nutrito peraltro da suggestioni che è persino matematico rintracciare nell’immaginario dell’autore quale humus compositivo di questo smilzo/intenso libro.

Non si può non pensare a La storia di Elsa Morante, all’incontro fortuito tra Iduzza e il soldato tedesco, ma non si può nemmeno rinunciare a ripensare a certi passaggi del mondo narrato da Curzio Malaparte. Certo torna in mente Rea e il suo canto per Bagnoli. E viene facile ripensare a due film dedicati alla resistenza di Napoli tra il 27 e il 30 settembre del 1943, Tutti a casa di Comencini (1960) e Le quattro giornate di Napoli di Nanni Loy (1962). Ma nei nostri occhi prende forma anche, con l’aiuto dei una delle illustrazioni di Luk nel libro (un carrarmato che si staglia contro il cielo in parte occupato da un caseggiato nella Napoli di guerra e incombe su uno scugnizzo armato solo del proprio corpo e di un pugno chiuso attorno a un sasso) qualche pagina da La pelle e di nuovo qualche passaggio da La storia. Però dopotutto non si può non ripensare allo studente che fieramente affrontò i carrarmati della Cina Popolare in Piazza Tienammen a Pechino, cioè la rivolta sua e di tanti altri David impavidi contro il potere cieco di uno dei tanti ingiusti Golia nel pianeta.

In Zampanò però capiamo meglio che non si tratta solo di riuscire a indovinare cosa probabilmente sia  passato per la mente dell’autore mentre scriveva questi due racconti fulminanti. Il vero punto, va ribadito, è sempre nel mistero della pagina: un enigma da decifrare che è il mosaico di una serie di tasselli minimi e massimi, di segni che l’autore, anche suo malgrado dopotutto, dissemina come sassolini e mollichine, punti luminosi e briciole friabili, per giocare col lettore esegeta, con l’interprete ermeneuta, con il collega (suo malgrado) semiologo quale è il corrispondente, attento lettore, un po’ anche linguista che in fondo gode ad agire da cartografo, da geografo allenato a rilevare tutta la legenda sulla mappa avuta in consegna, per dare la stura alle infinite avventure dell’anima suscitate dal mondo evocato da queste due storie.

Ecco, chi legge Notturno Napoletano si scopre parente al raccoglitore di conchiglie a riva sulla spiaggia. Scopre che la lettura di questo piccolo libro è un incontro e un colloquio: l’avvio di una conversazione col suo autore, Nando Vitali, e con Luk, disegnatore delle cartoline illustrate a corredo dei due racconti che lo formano, Luisella e Zampanò. E il medium che tutto questo permette è la lingua, il suono, la musica. Cioè il codice dei codici che “ci fa uscire tutti a parenti” per comune mezzo di trasmissione e condivisa visione. Cioè grazie al segno dei segni che modula questo paio di narrazioni. Cioè il Blues Napoletano. Buon ascolto.


La fotografia accanto al titolo è di Roberto Cavallini.

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