Gianni Cerasuolo
Suggestioni Olimpiche

I fantasmi di Marcell

Una sconfitta onorevole, quella di Marcell Jacobs: nella sua olimpiade il ritratto di un campione inquieto. Specchio di uno sport diviso tra affari (vedi alla voce Sinner) e passione (leggi Nathalie Moellhausen)

Puf e la magia di Tokyo evapora. Marcell Jacobs non sale nemmeno sul podio e Gimbo Tamberi ha i calcoli renali che lo tormentano. Potrebbe non esserci sulla pedana del salto in alto di Paris 2024. Ma quello è capace anche di lanciarsi da una barella e superare l’asticella e infatti ha già detto: ci sarò. Sembra ieri, Marcell e Gianmarco che fanno festa ubriachi delle loro medaglie, danzano e si abbracciano nello stadio giapponese. Stessa scena due mesi fa a Roma.

Invece Jacobs ha il ghiaccio sulla coscia mentre gli americani ammattiscono. Si accascia sulla pista e lo soccorrono in due. È l’immagine plastica della sconfitta del campione olimpico. Una resa dignitosa, una voglia matta di continuare: la mia carriera non finisce qui, ha detto subito dopo. Era l’unico europeo della finale con il settimo tempo. I cento metri tornano nelle praterie del bisonte yankee: Noah Lyles primo e Fred Kerley terzo. In mezzo ai due, il nipotino di Usain Bolt, Kishane Thompson, beffato di cinque millesimi. Era da Atene 2004 (Justin Gatlin) che gli Usa non vincevano l’oro nella gara più emozionante di tutte, sono passati vent’anni. Jacobs è finito quinto con un buon tempo (9’’85, il migliore dell’anno, a sei centesimi dal vincitore che ha corso in 9’’79, e a 4 dal bronzo). Cento metri veloci e incerti, con un po’ di suspense, i protagonisti con il naso all’insù per un bel po’ in attesa che il tabellone luminoso scrivesse l’ordine d’arrivo. Adesso l’uomo del vento è lui, Noah, che zompava come un grillo alla chiamata dello speaker. Lo fa spesso, è un personaggio, un istrione, un uomo di 27 anni che ha sofferto, la sua famiglia ad un certo punto si è sfasciata e la madre faceva fatica a tirare su i ragazzi.

Era nell’aria che Jacobs non ce l’avrebbe fatta. Dopo l’oro di tre anni fa il ragazzone cresciuto in riva al Garda è andato su e giù come se stesse sulle montagne russe: qualche sospetto sui suoi muscoli, gli infortuni misteriosi, i programmi che conosceva solo lui, le assenze improvvise. Per ultimo, lo spostamento con tutta la famiglia negli Stati Uniti dopo il cambio di allenatore (da Paolo Camossi a Rana Reider), una scelta difficile che tuttavia lo convinceva. Quest’anno le graduatorie mondiali stagionali lo collocavano al 13° posto. D’altro canto, dopo Tokyo non è che sia andato male, anzi. Ha vinto due campionati europei sui 100 (più la staffetta veloce a Roma) e un mondiale indoor sui 60. Oltre Oceano ha svolto allenamenti sempre più mirati tra scienza, biomeccanica e test fisiologici con il guru americano. Dopo gli ori di Tokyo (non solo i 100, ma anche la staffetta) la mia vita è cambiata ha continuato a ripetere, Jacobs. Poche settimane prima di Parigi, al magazine della “Gazzetta”, Sportweek, in un’intervista firmata da Andrea Buongiovanni, il campione ha tenuto a dire: «Sono rimasto lo stesso, un ragazzo semplice, al quale piace ridere e scherzare, altruista e trasparente anche molto ambizioso e capace di rimettersi in gioco nonostante le delusioni». Per poi aggiungere, rispondendo alla domanda su che cosa non avrebbe rifatto: «Vivo sognando ad occhi aperti, il mio difetto è credere a chiunque, mi fiderei di meno di certi personaggi che mi hanno un po’ fregato». Ecco, nelle sue parole c’è spesso qualcosa di oscuro, come un desiderio di rivincita contro fantasmi che non si materializzano mai: con chi ce l’ha? Quando poi lui stesso afferma di essere contento della vita, della famiglia, delle cose che fa. Ad esempio, la Sport Academy di Desenzano dove arrivano ragazzi che vogliono correre e saltare. Ma anche l’acquisto, con la moglie Nicole, di un hotel che prima era gestito dalla madre.

Jacobs non si è ripetuto ma non è stato umiliato. Del resto i replicanti olimpici dei 100 metri sono stati soltanto due nella storia: uno si chiamava Carl Lewis, l’altro Usain Bolt. Il primo vinse a Los Angeles 1984 e quattro anni dopo a Seul dove però arrivò secondo, il primo fu Ben Johnson, poi cancellato, nella gara più sporca di tutti i tempi. Il giamaicano cominciò a Pechino 2008 e finì a Rio 2016 passando per Londra 2012.

Marcell sperava in qualcosa di meglio di un quinto posto: «Certo, non posso essere troppo contento – ha detto ai microfoni Rai dopo la gara – sono partito bene ma non sono riuscito a spingere, dispiace, fa parte del gioco. È stato un anno complicato, ho dovuto cambiare tutto e andare dall’altra parte del mondo, e con me tutta la mia famiglia. La mia carriera non finisce qui. E non vi preoccupate, ho avuto solo un crampo, sarò pronto per la staffetta».

L’atletica è ancora senza medaglie. Tre anni fa ai Giochi giapponesi, furono 5 ori. Due mesi fa a Roma 11 ori, 9 argenti e 4 bronzi. Dalla marcia al peso maledetto di Leonardo Fabbri, che ha fatto più nulli che lanci fino a scivolare sulla pedana ridotta ad una piccola piscina, le cose stanno andando male. Si direbbe un flop. Ma per chi era costretto a cambiare canale quando nel programma olimpico era il turno dell’atletica leggera, queste esibizioni deludenti allo Stade de France sono un rallentamento della crescita. Che c’è, altrimenti non si vedrebbero molti azzurri superare i primi turni e arrivare alle finali. Qualcosa è stato sbagliato nella preparazione, forse si è puntato troppo sugli Europei romani. Ma ci sono ancora gare in cui possiamo salire sul podio.

Anche nella domenica dell’insuccesso in pista, l’inno di Mameli è suonato ancora negli impianti parigini. Sara Errani e Jasmine Paolini hanno piantato una bandierina sulla terra rossa del tennis, il primo oro azzurro. E le due non solo hanno cantato l’inno ma, come due monelle, si sono esibite anche in un sussurato poroponzipò-nzipò quando sulle note non c’è il testo. Cose mai viste. Come in questo tennis che sembrava la Cenerentola azzurra dopo il forfeit di Sinner. Invece Musetti diventa di bronzo e le ragazze afferrano il primo posto nel doppio. Vedendo la grinta delle due mi sono tornate in mente le parole che Nathalie Moellhausen (nella foto sopra), 38 anni, spadista, italo-brasiliana, svenuta in pedana nei primi giorni dei Giochi perché stava male, e di un male serio, un tumore, ha detto a Emanuela Audisio in una bella intervista uscita su “Repubblica”. Nathalie ha scoperto di avere un cancro all’osso sacro poco prima che iniziassero le Olimpiadi. È entrata in ospedale e doveva essere operata, però ha chiesto ai medici di lasciarla andare, è quasi scappata. «L’operazione poteva aspettare, ho senso di responsabilità verso il mio gruppo, verso il mio Paese… in Brasile sono impegnata in un progetto sociale il cui slogan è “Sii l’eroe di te stesso”. Potevo mai tirarmi indietro?…». E alla giornalista che osserva che Sinner («non andare a Parigi mi ha spezzato il cuore» ha fatto sapere l’altoatesino da Montreal) si era ritirato dalle Olimpiadi per una tonsillite, la schermitrice ha risposto: «Bisogna capire che i Giochi non hanno lo stesso valore per tutte le discipline. Il torneo di tennis olimpico non dà soldi, né punteggi. Per i campioni della racchetta è solo un titolo in più… per noi, per gli altri i Giochi sono il Sacro Graal… il coronamento di anni di fatiche… non sono qualcosa da aggiungere a una carriera, sono tutto». A meno che non ti chiami Nole Djokovic, hai vinto tutto e più di tutto e ti manca una sola cosa, il titolo olimpico. Allora te lo vai a prendere e poi scoppi a piangere come un esordiente. Grandioso.

Le Olimpiadi devono essere un Sacro Graal anche per un altro bel tipo, Gregorio Paltrinieri. Dopo il bronzo negli 800, ha afferrato l’argento nei 1500 metri alla piscina della Défense, dietro a quel fenomeno di Robert Finke che ha fatto anche il record del mondo (cosa rara in quell’impianto). E non è finita. Ora lo attende la gran fondo nella Senna. Sempre che gli atleti vogliano tuffarsi: il fiume inquinato a giorni alterni ha già fatto una vittima, una nuotatrice belga che si è beccata un’infezione. Nella domenica di Jacobs e del tennis, anche i fiorettisti hanno preso una medaglia, non l’oro ma l’argento battuti dai giapponesi che sono pure campioni del mondo.

Ed è proprio la scherma, chi l’avrebbe mai pensato?, che ha fatto volare gli ascolti della Rai. Secondo i numeri che pubblica “Il Corriere della Sera”, nella prima settimana dei Giochi il servizio pubblico è arrivato al 47% di share con Rai2 prima rete nazionale nel prime time. In quel 47% c’è un 21% che è della seconda rete Rai (il solo canale di Viale Mazzini insieme con RaiSport a competere con i dieci e più canali di Discovery e di Eurosport). Già con la cerimonia di apertura del 26 luglio si erano toccate punte di 4.204.000 spettatori medi per uno share del 29,2%. Il picco la Rai lo raggiunge con la finale di fioretto di Filippo Macchi, quella con un esito finale pieno di polemiche per le decisioni arbitrali. Il 29 luglio in quella mezz’ora di combattimento i numeri dicono 4.276.000 spettatori medi, per uno share del 26,8%. Bene. L’audience si alza anche ascoltando certe notizie. Come quella che dà il Tg2  di domenica sera che quasi in apertura si precipita a informarci che Giorgia Meloni ha mandato un messaggio di congratulazioni alle due ragazze d’oro del tennis e agli altri medagliati azzurri.

Oh mon Dieu, mon Dieu de la France, donne moi beacoup d’espérance.

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