Suggestioni olimpiche
Lo sport dell’ignoranza
I commentatori mistificano vittorie e sconfitte e gli atleti cercano di difendersi. Sempre di più, le Olimpiadi sono lo specchio della società. Ma quel che vediamo fa davvero paura...
Se per una volta riuscissimo a guardarci dall’esterno e a volare come un drone sopra questo nostro stanco e iperconnesso mondo ci renderemmo conto che stiamo viaggiando alla velocità della luce verso una deriva sociale e culturale che investe ogni campo della nostra vacua esistenza. In questi giorni è il turno dello sport, le Olimpiadi nella fattispecie, la più antica manifestazione sportiva nata in Grecia nel 776 a.C. ai piedi del monte Olimpo, la casa degli Dèi, che dovrebbe racchiudere valori di lealtà e correttezza, amicizia tra i popoli, fratellanza sportiva, rispetto dell’avversario e delle regole, uguaglianza, internazionalismo. Qui invece stiamo assistendo a un triste teatrino mediatico-politico dove regnano la disinformazione, il pregiudizio, il rancore, la demonizzazione, l’ignoranza crassa.
Siamo capaci di offendere una giovane atleta di diciannove anni che in un misto di commozione e dispiacere per non aver raggiunto per un centesimo di secondo il terzo posto viene derisa in diretta tv da una ex atleta olimpica che tali valori dovrebbe averli nel sangue e che invece sembra essere essa stessa vittima di uno snobismo mass mediatico che la pone a un livello ancora più basso del peggior trash televisivo.
Siamo capaci di definire transgender una pugile donna, nata donna, che soffre di iperandrogenismo, un disturbo che comporta una produzione di testosterone maggiore rispetto alla media di una donna, senza contare che l’atleta algerina è stata sottoposta a continui controlli medici, non solo da parte del Comitato Olimpico, che confermano la presenza nel suo corpo di ormoni femminili in tale quantità da poterla definire completamente e totalmente donna, siamo capaci di far diventare questo episodio un caso politico prima e dopo che le due pugili si affrontassero inducendo al ritiro la nostra connazionale italiana dopo soli quarantasei secondi perché il pugno ricevuto da colei che per tutti è ormai diventato un uomo in una lotta impari, le ha fatto molto male, un male diverso, un male maschio. Siamo capaci di dare ascolto alle dichiarazioni della Presidente del Consiglio che attraverso un social filorusso, come ormai è diventato X (o Twitter come vogliamo chiamarlo), blatera a vanvera riguardo la pugile algerina senza conoscere la realtà dei fatti solo per strumentalizzare politicamente quanto avvenuto sul ring, per poi incontrarla, accarezzarle il volto e dirle: “un giorno guadagnerai ciò che meriti in una competizione finalmente equa”. Ma ci rendiamo conto?
Sempre dallo stesso social destrorso, e non solo, siamo anche capaci di scambiare la sequenza del dipinto Le Festin des dieux di Jan Harmensz van Bijlert, artista del Seicento che raffigura un banchetto degli dèi sull’Olimpo in occasione del matrimonio di Teti e Peleo con tanto di Apollo incoronato e Bacco che ingurgita uva, con il più celebre dipinto di Da Vinci, una parodia premeditata e volutamente offensiva nei confronti di tutti i cristiani del mondo.
A proposito di fratellanza la schermitrice ucraina Olga Kharlan dichiara: «Per noi i russi presenti al villaggio olimpico, autorizzati a gareggiare perché si sono dichiarati neutrali, semplicemente non esistono. Se li incrociamo, non solo non li salutiamo, ma nemmeno li guardiamo perché loro per noi sono trasparenti».
Fortunatamente il drone di noi stessi dall’alto registra anche altre immagini che forse restituiscono un minimo senso a questo nostro sciamannato vivere. Filippo Macchi, argento nel fioretto, dopo le polemiche sull’arbitraggio: «Sono arrivato secondo nella gara più importante per ogni atleta che pratica sport e proprio perché pratico questo sport ho imparato che le decisioni arbitrali vanno rispettate, sempre».
Il tennista Andrea Vavassori rispondendo all’ennesima sciagurata domanda e insistenza di un giornalista sull’errore decisivo che non si poteva sbagliare, che a suo dire era quasi un calcio di rigore: «Ma come ti aspetti che risponda a questa domanda? Credo che abbiamo fatto una buona partita, secondo me non potevamo fare più di così. Il vero problema è che non c’è più la cultura della sconfitta perché, se avessi vinto quel punto, adesso io sarei qui a prendermi i complimenti. Invece sbaglio quel diritto e tu mi chiedi ‘cosa hai fatto su quel rigore lì?’ Mi dispiace tanto, ma lo sto notando negli ultimi giorni, guardando anche la polemica che ha coinvolto Benedetta Pilato ed Elisa Di Francisca. Ci sono sempre dei motivi per dare addosso al giocatore, non c’è più l’apprezzamento del percorso, si guarda solo alla vittoria e alla sconfitta. Non si apprezza più la persona e il suo percorso per arrivare a un certo livello. Arrivare alle Olimpiadi dovrebbe significare essere una persona con dei valori. E invece no, o medaglia o sei un fallito».
Lo specialista di badminton Giovanni Toti dopo aver vinto una gara storica per l’Italia in questa competizione è andato a consolare Soren Opti, il suo avversario zoppicante, in lacrime perché costretto al ritiro. Dimenticavo, Giovanni Toti non è poi riuscito a salire sul podio, nessuna medaglia ma va bene, molto bene così.