Paolo Vanacore
Suggestioni olimpiche

Elogio del secondo

Il magnifico oro di Nicolò Martinenghi nei cento rana ha offuscato l'impresa di Adam Peaty, medaglia d'argento, grande campione perduto e ritrovato. A volte vincere non è tutto

L’oro di Nicolò Martinenghi nei 100 metri rana è tornato in Italia dopo ben ventiquattro anni in modo del tutto inaspettato perché il favorito nella specialità era l’inglese Adam Peaty, giunto secondo per soli due centesimi insieme all’americano Fink. Nella celebrazione giornalistica della mastodontica impresa sportiva di Teti (questo il soprannome di Nicolò) atta ad esaltare il grande risultato del nostro connazionale, ho trovato dei commenti e delle espressioni davvero ingenerose nei confronti del secondo classificato considerando la storia personale di questo ragazzone britannico originario di Uttoxeter, minuscolo centro abitato nella regione dello Staffordshire, che a ben ventinove anni si ripresenta alle Olimpiadi dopo aver combattuto contro la depressione e l’alcool. Un piazzamento di tutto rispetto, quindi, un riscatto personale cui a mio avviso non è stato dato il giusto risalto forse per il timore di minimizzare l’oro di Martinenghi. Va ricordato che lo score olimpionico di Peaty è di ben tre medaglie d’oro e due di argento nei 50 e 100 rana, inoltre è stato otto volte campione mondiale e sedici volte campione europeo.

Il suo secondo posto mi riporta alla mente la mia breve e poco significativa parentesi di giovane nuotatore di otto-nove anni: a differenza di mio fratello maggiore Giuseppe che faceva incetta di medaglie d’oro in tutte le specialità io purtroppo non sono mai riuscito ad andare oltre quattro argenti tutti nella specialità rana, tant’è vero che il soprannome che mi avevano affibbiato nella storica piscina Don Orione di Trastevere, alle spalle del vecchio cinema Induno (ora Cinema Troisi), era Kermit (il ranocchio dei Muppets Show) anche per via del mio fisico esile e scheletrico. Il motivo per cui mia madre mi aveva obbligato a praticare il nuoto era la presenza sul mio corpicino di un afflosciamento del tessuto cartilagineo anche denominato “sterno carenato” o più volgarmente chiamato petto di pollo tant’è che l’altro soprannome, ben più offensivo, che i miei feroci compagni di gioco del quartiere mi avevano attribuito era bozzo, con energico crocchiare annesso.

Insulti a parte, all’epoca soffrivo molto per quell’oro che non arrivava mai, tant’è vero che negli afosi pomeriggi estivi rubavo una delle medaglie dorate di Giuseppe, indossavo gli occhialetti e il costume della piscina, mi bagnavo i capelli poi salivo in piedi su una sedia appositamente sistemata davanti allo specchio della camera da letto e ringraziavo il pubblico festante che urlava il mio nome. Fortunatamente, negli anni a seguire, proprio grazie al nuoto, il petto di pollo è totalmente scomparso e con esso quella smania legata alla migliore performance che per quel bambino assumeva il valore dell’esistenza; in sostanza solo se arrivi primo, vali.

Tornando ai secondi classificati mi piace segnalare un libro uscito quasi in sordina dal titolo Eterni secondi. Perdere è un’avventura meravigliosa (di Rosario Esposito La Rossa, illustrazioni di Lorenzo Conti. Einaudi ragazzi, 2019) dove si racconta della sconfitta, di come imparare a perdere, un libro per ragazzi dagli undici anni in su in cui lo sport diventa il pretesto per affrontare temi quali razzismo, omosessualità, disabilità, femminismo, dittatura, guerra. Perché arrivare primi non è tutto, i veri campioni dello sport sono spesso campioni della vita, capaci di sconfiggere il mal(essere) e andare ben oltre le medaglie, quelli come Adam. Appunto.

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