Alessandro Macchi
Una iniziativa per l'estate

Un’altra Moby Dick

Dalla prossima settimana, ogni martedì e venerdì, Succedeoggi pubblicherà in dieci puntate un ampio estratto di Moby Dick in una nuova traduzione di Alessandro Macchi. Ecco la storia di questa sfida

Seconda metà degli anni ’90, autunno. Treno Intercity da Milano per Torino, sera. Salgo, entro in uno scompartimento di 1° classe, (era) una vecchia vettura coi sedili di velluto. Ciao, mi dicono all’unisono due persone, un uomo e una donna, che conosco da anni. Oh! Ciao– dico io- che bella combinazione.  Parliamo: Come è andata l’estate? chiedo Io ho letto Moby Dick, dice lei. Anch’io! esclamo. E tu? dico all’amico. Incredibile! –risponde- Io ho fatto un giro della costa est dell’America e ho visitato Nantucket, il porto delle antiche baleniere, e mi son dilettato a scattare fotografie sul tema balene! Pesantuccio quel libro, -dico io – molto interessante e pregnante ma occorrerebbero buone sforbiciate. E siamo tutti d’accordo. Lei dice, sorridendo: Potresti fare tu quel lavoro!  E lui: Io ci potrei mettere le fotografie. Lei è una affermata designer e curatrice grafica di libri d’arte, lui è un noto medico. E la scommessa funzionò.

Ed io iniziai anche per distrarmi nell’impegno della progettazione della linea AV Torino Milano.

La traduzione scelta: quella aulica di Pavese per Adelphi. Forbici, colla e carta bianca, e via. Per ogni pagina ritaglio i brani che ritengo fondamentali in quel gran racconto un po’ Bibbia, un po’ Salgari. Li incollo sui fogli bianchi. E via secondo il programma che funziona egregiamente. Leggiamo periodicamente i ritagli, commentandoli e guardiamo le foto e le prime impaginazioni. Bello! ci diciamo.

In quegli anni frequentavo alla casa editrice Einaudi Roberto Cerati, che diverrà nel ’99 presidente dell’editrice. Lo incontrerò ogni due-tre mesi fino alla sua scomparsa nel 2013. Parlavo volentieri con quel piccolo uomo in maglietta nera. “Il libro è strumento per tutti, occorre farlo con cura e così affidare al lettore l’impegno a mantenere qualità, essenza.” Mi parlava degli autori che preferiva, come Biamonti, poeta del mare e dei profumi della Liguria.

Gli avevo fatto vedere una cinquantina di pagine dei ritagli. Bello! mi aveva detto, ed io proseguii con nuova lena

A Castellabate, d’estate, sotto il patio all’ombra dell’antico glicine, leggevo con Annamaria il testo di Melville e progettavo i ritagli. Annamaria era una anziana insegnante di liceo e gli incontri erano divertenti, io la chiamavo Moby e lei ricambiava chiamandomi Dick. Annamaria mi presenterà il pittore Massimo Lagrotta che stava dipingendo quadri sul tema balene e Massimo mi regalò un suo quadretto per la copertina di una eventuale pubblicazione da Einaudi.

Tutto sembrava complottare a favore del mio Melville.

Presentai a Cerati il lavoro finito, era il 2000, e lui così mi rispose: “Ho pensato al suo Melville, e sarebbe un peccato che il lavoro restasse nel cassetto. Qui c’è l’ostacolo della traduzione-testo di Pavese, quindi si ricade nel placet di Adelphi … Scriverei al dr Roberto Calasso…” e Calasso si oppose.

Che fare? Cerati mi consigliò di riprendere il tutto con altre traduzioni libere ed io, scoraggiato, chiusi nel cassetto il mio volume a fettine gialline incollate su carta bianca. Mi piaceva, quasi fosse un pezzo di arte contemporanea.

Qualche anno dopo, vent’anni fa, mi dissi – Perché non lo traduco io dal mio brogliaccio dei pavesiani ritagli? E poco tempo fa, all’inizio del 2024, ho finito il mio Moby.

La nuova traduzione obbedisce fedelmente allo scritto di Melville ed è compiuta direttamente dal testo inglese (ed. Grolier) tenendo a fianco le traduzioni precedenti, in special modo quelle di Pavese, (Adelphi), quella dei ritagli, di D’Agostino (Garzanti), di Meneghelli (Newton), di Ceni (Feltrinelli), nonché le “Scene” di Baricco e, infine, la einaudiana discussa tradizione del Fatica in linguaggio antichizzante.

Per snellezza di lettura ho diviso il testo in 10 “fascinazioni”, grandi scene, lasciando peraltro i titoli originali dei capitoli anche se talvolta con piccoli spostamenti volti a rendere contigui momenti della stessa scena.

Sono state eliminate ridondanze di illustrazioni scientifiche desuete e bozzetti ottocenteschi in una ricerca di modernità con un parlato più vicino all’ oggi, snello e agile in un susseguirsi di immagini verbali pronte per una recita.

Una interpretazione, inevitabilmente, che, mantenendo le righe del testo originale intere, le seleziona nel rispetto del contesto sociale e religioso di Melville.

Con questa impostazione prendono maggior evidenza alcuni aspetti che la ridondanza verbale in un certo senso nasconde. Così prende evidenza lo stesso protagonista principale, il monomaniacale capitano Achab della baleniera Pequod, che si incanta nell’ammirare la natura, e le cui parole sono spesso un inno al creato, ma nello stesso tempo sfida e combatte, quasi fosse un Dio, Moby Dick, la Balena Bianca, il gran nemico. E ancora prendono maggior evidenza vicende e personaggi di cui non ha fatto cenno nessun critico dell’opera e che viceversa sono di attualità emotiva notevole, come, ad esempio, gli episodi riguardanti il negretto Pip che rivelano grandezze d’animo nascoste.

Entusiasmo e fascino hanno guidato la non facile sfida.

Qualcuno potrebbe domandarsi “Chi è quel matto che legge e chiosa 5 volte Moby Dick”? Da martedì prossimo, 16 luglio, il lettore giudicherà se il matto è riuscito nel suo intento!


La fotografia accanto al titolo, come tutte quelle che illustreranno le dieci puntate del nostro omaggio a Herman Melville, è di Roberto Cavallini. Le immagini sono dedicate, per assonanza, al rapporto tra uomo e natura, centrale nel romanzo di Melville.

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