Giuseppe Grattacaso
Su "L’avventura di restare”

Poesia dei contrasti

Nei versi di Elio Pecora c'è il senso di un conflitto (a volte esistenziale, a volte naturale) dal quale la vita continuamente sgorga. Piena di contraddizioni

Elio Pecora è presenza insieme severa, generosa e inquieta della letteratura italiana degli ultimi decenni. Interprete coerentemente impegnato a evitare le strade facili di rappresentazione della realtà, così come gli scivolamenti alla ricerca del consenso critico, non si è mai nascosto dietro astruserie oscure, disponendo anzi i contenuti, anche più aspri e dolorosi, in un verso arioso dalle movenze classiche, a volte in un cantabile che rivela la formazione e i gusti musicali. Con il passare degli anni la poesia di Pecora ha guardato al mondo delle cose e degli esseri viventi, alle presenze vicine e lontane a cui la vita ci destina, con “l’occhio corto” ‒ è il titolo di una prosa e della sezione in cui è contenuta all’interno della raccolta Simmetrie ‒ che permette di scoprire nella realtà avvertimenti e segnali altrimenti invisibili, metterne in luce crepe e lacerazioni, stati di grazia e di sofferente bellezza. La poesia è diventata così luogo di riflessione e i versi hanno acquisito la cadenza ferma e spietata della voce che non vuole consolare o offrire soluzioni, ma è chiamata a suggerire argomenti di valutazione e meditazione. A spiegare la necessità che la parola poetica sia innanzitutto ispirata da un pensiero di natura etica, vale un passaggio tratto appunto della breve prosa L’occhio corto: “A volte in pochi righi, appare l’allegria, passa velata la morte. Una folla, in cammino verso il giorno o la notte, verso il ricordo o la dimenticanza, sosta dentro il presente. Che vale di queste storie mentre il pianeta ruzzola e ruota, avanzano ghiacciai, si consumano stelle, il tempo cambia di numero, si perpetrano orrori, si assolvono speranze?”.

A considerare le poesie raccolte nel volume antologico L’avventura di restare, buona parte della produzione poetica di Pecora, in particolare quella contenuta negli ultimi volumi, ivi compresa la significativa porzione di testi destinati ai lettori più giovani, sembra concentrata proprio sul tentativo di rispondere alla domanda: che vale di queste storie? che senso può avere la poesia di fronte al pianeta che ruzzola?

L’avventura di restare, edito da Crocetti (prefazione di Daniela Marcheschi), contiene poesie e prose poetiche scritte nel corso di cinquant’anni, dal 1970, a cui risalgono i versi di Narciso in pensiero originariamente all’interno della raccolta d’esordio Chiave di vetro, fino ai testi scritti nel corso del 2020, che fanno parte dell’ampia sezione di inediti Accordature.

La vicenda esistenziale, quella collettiva a cui i versi di Pecora sempre rimandano, si compone in fondo di contrasti, se non proprio di atti e sentimenti opposti che finiscono per generare aperte contraddizioni: da una parte il senso di vuoto e la certezza che la città possa ridursi “a mura impenetrabili, a finestre / inserrate”, che sia “un inganno la vicenda del mondo”; dall’altra l’attrazione e il piacere che la stessa inutilità della vita comportano e apparecchiano, quando “aperta la strada, leggeri / i passi, l’ora sgombra, / lucente”, improvvisamente “l’allegrezza / scoperchia i suoi umori”. Certo la grazia è subito pronta a sfaldarsi, forse può bastare solo sfiorarla, ma proprio la gioia che a tratti si ottiene da questa fragilità, dalla necessaria incompiutezza con cui essa si presenta, è la forza che sostiene la vita. Allo stesso modo risulta essenziale dedicarsi all’incontro con le altre presenze che animano la realtà ‒ esseri umani, animali, vegetali e cose ‒, con tutti i rischi e gli inevitabili inganni che ogni traffico di emozioni può generare.

Il cammino è insomma un vagare incerto e in gran parte inconcludente, del quale ‒ è questo il nostro destino e la ragione dell’esistere ‒ ci sforziamo di individuare le ragioni e di cui tentiamo di ipotizzare e segnalare le coordinate. La poesia Il limite si conclude con questi versi: “E seguitiamo assorti, a volte sorpresi, / ogni attesa è un gioco, / ogni dubbio l’incaglio di una deriva, / e diamo numeri ai giorni, / piedi alle voglie, / confini al vagare / ‒ sforniti di mappe, ignari del porto”.

La poesia di Elio Pecora è sempre una poesia civile, non perché appesantita da un pregiudizio ideologico, ma in quanto animata da un impulso etico, dalla ricerca di una verità, che nel disordinato comporsi della realtà del mondo e delle nostre esistenze non può che essere molteplice e a sua volta disordinata, ma che vale sempre la pena cercare, è questo in fondo il compito nobile a cui siamo chiamati. Il valore della poesia risiede dunque nel porre domande, nel continuare a indagare, nel muoversi continuamente ‒ e senza possibilità di soluzione ‒ tra grazia e condanna, tra allegrezza e tormento, tra sollievo e disperazione, tra la memoria e l’oblio, la voglia di essere assenti e la necessità di trovarsi. L’avventura di restare è in fin dei conti, nella poesia di Elio Pecora, sempre avventura (necessità? dannazione?) di chiedere e di esplorare.

Anche nella cupezza che si fa più evidente nelle poesie più recenti, è possibile recuperare una traccia di luce. Così se la sapienza è “nodo da sciogliere, / senza trovarne il capo, / e il tempo acqua corrente, / in cui annaspare sfiaccato” (Ritratto a matita), la nostalgia “sta nel tornare / dove non sei mai stato / se non ti sei fermato, e di là cominciare” (Nostalgia). O ancora, ascoltando una Toccata e fuga di Bach, “Da quali silenzi disciolti / questi nodi di luce / chiamano l’infinito dei cieli / il tempo fuori del tempo. // […] Così // tornati all’essenza iniziale / ebbri, dimentichi, / abitiamo l’eternità dell’istante, / la grazia del primo giardino” (Organo).

Per quanto poi riguarda la poesia, essa è, in questi ultimi tempi, frequentata, quasi aggredita, dalla “fitta flotta di seguaci”: “Arcana per troppi, in troppi l’assalgono / per chiuderla nelle loro stanzette / asfittiche, fra divanetti rosati / e quadrucci d’albe sospese; // gli ammodernati delle avanguardie / la congelano”. Ma la poesia “si potrà forse solo perseguirla / per quel che tace, o soltanto balbetta”.


La fotografia accanto al titolo è di Roberto Cavallini.

 

Facebooktwitterlinkedin