Diario di una spettatrice
La poesia di Kaurismäki
Il nuovo film di Aki Kaurismäki, "Foglie al vento", è una poesia surreale fatta di dialoghi laconici, sguardi persi nel vuoto e colori lividi
Lei fa la commessa in un supermercato, ha un aspetto dimesso e una vita solitaria, perde il lavoro perché si è infilata nella borsetta un panino scaduto destinato alla spazzatura. Lui fa il metalmeccanico, ha un aspetto dimesso ed è così solo che beve di nascosto come talvolta fanno anche i non finlandesi. Due solitudini allo specchio nella periferia di Helsinki che il caso fa incontrare una sera in un bar-karaoke, forse potranno costruire insieme un’altra vita, forse. Il cinema di Aki Kaurismäki è una poesia surreale fatta di dialoghi laconici, sguardi persi nel vuoto, colori lividi com’è livido il paesaggio del nord con quella luce radente e obliqua che hanno i quadri di Vilhelm Hammershøi. Nell’aria grigia che vira al blu esplodono divani in similpelle rossa, tinelli marron che solo Paolo Conte può mettere in musica, piccoli letti sfatti in stanze desolate, alle pareti manifesti di film degli anni 50 e 60, jukebox che miagolano melodici finlandesi. E lo spettatore si convince che sia quello il tempo di Foglie al vento, “Kuolleet lehdet” o “Fallen leaves”, il suo diciottesimo film Premio della Giuria a Cannes e ora in corsa per l’Oscar per il migliore film straniero. Invece, da vecchie radio gracchianti arriva l’eco della guerra in Ucraina, i bombardamenti su Mariupol raccontano i tempi bui del nostro presente, così scopri che per Kaurismäki non è essenziale stabilire una data certa per la storia dell’incontro tra la commessa del supermercato Ansa e il saldatore quasi alcolizzato Holappa, semplicemente perché una storia come la loro può capitare tutti i giorni o non capitare mai.
Questo film è la quintessenza di Kaurismäki, ciò che lo rende unico e inconfondibile, a cominciare dai dialoghi, come quello iniziale tra Holappa e l’amico che vuole sfondare al karaoke:
– Andiamo, è l’ora.
– Dove?
– Al karaoke, è venerdì.
– I duri non cantano.
– Tu non sei un duro per me.
– Ma potrei esserlo.
Ha ragione l’amico, Holappa non è un duro, è un uomo fragile che verrà licenziato perché beve per sopravvivere e che deciderà di cambiare vita per i capelli biondi e gli occhi tristi di Ansa. E non gli importa se gli amici lo sfottono:
– Mi presti la tua giacca? Ho un incontro importante stasera.
– Una donna eh? Deve essere disperata.
Lui fuma una sigaretta dopo l’altra e la attende – non può fare altro perché ha perso il suo telefono – davanti a un cinema dove hanno visto insieme un film sugli zombie che a qualcuno ha ricordato “Diario di un curato di campagna” di Bresson (ci sono perle così sparse in tutta la pellicola, come gli omaggi a Ozu e Chaplin o il particolare del mitico cellulare Nokia 3310 usato da Holappa).
Non racconterò cosa succede e se il loro incontro sarà davvero l’ultima occasione per trovare l’unico e definitivo amore della vita. Perché Foglie al vento è davvero, come ha scritto Michele Anselmi, il film imperdibile del Natale 2023.
Ma un’ultima considerazione la merita la colonna sonora che gioca una parte importante nel definire l’atmosfera della pellicola: c’è Mambo italiano cantato un po’ in finlandese e un po’ in italiano, c’è la Serenata di Schubert cantata al karaoke, ci sono i melodici finlandesi e la Sinfonia n. 6 di Tchaikovsky, nella scena finale arriva Les feuilles mortes in finlandese che spiega il titolo. Ma soprattutto ci sono loro, le sorelle del duo “Maustetytöt” che spopola in Finlandia, qui cantano live una canzone dal titolo illeggibile che significa “nata nel dolore e vestita di delusione”. La sintesi perfetta del magnifico film di Kaurismäki.