Ida Meneghello
Il cinema de laMeneghello

Ultimo Indiana Jones

Un'avventura tutta nostalgia e effetti speciali chiude la lunga saga di Indiana Jones con un grande Harrison Ford. Un'avventura attraverso il tempo, nella speranza di sconfiggerlo

È questione anagrafica: Indiana Jones è il personaggio cinematografico che più di qualunque altro ha attraversato la mia vita affollata di film. Personaggio-icona, l’eroe senza macchia e senza paura inventato da quel gran genio di Steven Spielberg che, a dispetto delle nostre illusioni perdute, capì oltre quarant’anni fa che il cinema aveva bisogno di tornare a un grande identificatore, un eroe pulito, intelligente e colto come il professore di archeologia Henry Walton Jones Jr. Nacque così la famosissima saga: I predatori dell’arca perduta (1981), Indiana Jones e il tempio maledetto (1984), Indiana Jones e l’ultima crociata (1989), Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo (2008), certamente il capitolo meno riuscito della serie. Dopo 42 anni questa storia arriva al suo epilogo con Indiana Jones e il quadrante del destino, ed è un cerchio che si chiude non senza la malinconia delle rughe di Harrison Ford ormai ottantenne e l’inevitabile commozione per l’incontro con la donna della sua vita Marion, che insieme a lui, nell’ultima scena del film, riproduce a ruoli rovesciati il dialogo d’amore che li aveva visti giovani nella prima puntata.

La pellicola per la prima volta non è diretta da Spielberg (che con George Lucas è il produttore esecutivo) ma da James Mangold, che porta a termine l’impresa alla grande mettendo in fila tutte le necessarie citazioni, dalla colonna sonora fino agli odiatissimi nazisti. Certo, che siano passati quarant’anni lo dicono gli effetti speciali utilizzati senza ritegno dal regista e che rendono eccessive parecchie sequenze. Ma Harrison Ford che torna giovane nel lungo prologo iniziale grazie alla tecnologia digitale, è comunque una bella sorpresa.

Il film è una sequenza di passaggi spazio temporali: Germania 1944, New York 1969, Siracusa 212 avanti Cristo. Perché l’oggetto conteso da tutti, il protagonista di questa ultima puntata, è il meccanismo di Antykytera, ovvero il quadrante del destino, una macchina, nella finzione del film, ideata da Archimede per calcolare i movimenti del sole, della luna e dei cinque pianeti allora conosciuti, prevedere eventi naturali e addirittura aprire varchi temporali in grado di cambiare la Storia. Fiction all’ennesima potenza.

Eppure qualcosa di vero in questa storia c’è, perché davvero alcuni pescatori di spugne naufragati nell’isola greca di Anticitera scoprirono all’inizio del 900 il relitto di una nave romana in cui fu rinvenuta una strana pietra che si rivelò racchiudere un calcolatore estremamente sofisticato, una specie di calendario solare e lunare noto tra gli archeologi come il meccanismo di Anticitera, il più antico calcolatore meccanico calibrato nel 178 a.C. Non poteva averlo dunque inventato Archimede, morto nell’assedio di Siracusa del 212 a.C. Ma la storia è così bella che mi piace pensare sia il degno finale per la saga dell’archeologo con frusta e cappello che ha attraversato i migliori anni della nostra vita.

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