Il cinema de laMeneghello
La felpa del dolore
“L’amore secondo Dalva” di Emmanuelle Nicot è un film da non perdere. Ritmo serrato e nessuna concessione al voyerismo per raccontare la storia di un abuso. E suggerire come sia possibile uscirne per ritornare alla vita
Segnatevi questo nome, Emmanuelle Nicot, è franco-belga, ha 37 anni e ha fatto il suo primo film distribuito dalla benemerita Teodora Film: L’amore secondo Dalva. Quando ho scoperto che raccontava la storia di un incesto – apparentemente è questo il soggetto della pellicola, in realtà è un altro – ho pensato: è una donna temeraria, l’incesto è roba da tragedia greca o da letteratura altissima (da L’uomo senza qualità di Robert Musil fino all’ultimo romanzo di Cormac McCarthy, Il passeggero), al cinema scivola inevitabilmente nel voyeurismo e nella pornografia del dolore. Quindi la prima domanda è stata: perché? La risposta l’ha data lei stessa nelle numerose interviste seguite all’exploit del film a Cannes 2022: suo padre e suo fratello hanno lavorato a lungo nelle case-famiglia per minorenni e la regista ha impiegato anni per mettere a punto la sceneggiatura.
Il risultato è sorprendente: un film di appena 83 minuti senza una sbavatura, senza una scena di troppo, asciutto ma mai distaccato, capace di raccontare, senza giudicare, una storia così difficile assumendo il punto di vista della vittima, la piccola Dalva, una bambina di 12 anni che si muove e si veste come una donna di un’altra epoca, pizzi, sottovesti, calze autoreggenti e chignon, una donna innamorata di un uomo che si chiama Jacques e che è il suo papà. Quando arrivano i servizi sociali per arrestare lui e salvare lei, Dalva urla e si ribella, nega l’abuso come tutte le vittime, non capisce perché quell’amore sia proibito.
Lo scoprirà a poco a poco, incontrando suo padre in galera, un uomo piegato dalla colpa che non ha il coraggio di guardarla, capirà cosa ha subìto con la sua compagna di stanza Samia, col piccolo Dimitri e con gli altri ragazzi della casa-famiglia che la ospita. E mentre Dalva ritrova la sua infanzia perduta e le felpe e i jeans che non aveva mai indossato, lo spettatore capisce che non è l’incesto il soggetto della pellicola (peraltro mai filmato), ma è come rinascere dopo quel trauma, come liberarsi dalle conseguenze dell’abuso, insomma come riprendersi la vita.
Ovviamente un film straordinario non può che avere una protagonista straordinaria: Zelda Samson, un nome da diva degli anni Venti, lascia senza parole, domina la scena sfrontata e fragilissima. Ma è tutto il cast a essere perfetto, dall’educatore Alexis Manenti al padre Jean-Louis Coulloc’h. Dopo Cannes il film ha vinto 25 premi. Perderlo è un delitto, peggio, un errore.