Roberto Mussapi
Every beat of my heart

Arianna e Euridice

Una «rima ferma, perentoria» in questi versi d’amore e di addio di Marina Corona, dove il mito della donna del filo e quello dell’amata di Orfeo destinata a perderlo nel regno del buio si fondono per confondersi…

Poesia di amore e addio, versi incisivi, netti e pregni di pathos. Questa Arianna di Marina Corona, poeta che ho già pubblicato in queste pagine, ne conferma la forza passionale e controllata: qualcuno, uno, deve uscire, uscire davvero, non solo andarsene dal petto in cui lei lo tiene imprigionato. Ma uscire nella notte, tra i lampioni, nella dimensione del sonno e del sogno, comunque nel buio. Vai via, gli chiede, lo esorta, senza che io ti veda, non voltarti.
In quel momento spera avvenga una catarsi: il gomitolo si dipani, l’amore raggomitolato è caos e notte nebbiosa… sdipanandosi appare, si svela il filo: tu che ne tieni un capo, e l’altro che mi sfugge dalle mani.
Con questa rima ferma, perentoria, si conclude la lirica, in cui si fondono, o forse meglio ancora confondono, il mito di Arianna, la donna del filo, del Labirinto, e quello di Euridice, che perde Orfeo nel regno buio, pregando che non si volti.

Arianna

Ora mi fermo e scendi dal cuore,
fai un lungo passo in basso,
appoggi il piede sul selciato e poi l’altro
fuori da me, dal petto
dove ti tengo imprigionato
da tanto tempo in un recinto
di lacrime e ricordi stretto,
interno, chiuso, scendi,
respira intorno lo stellato
e un lampione ti accoglie
con la sua luce familiare nella sera, vai
non voltarti, salta lo steccato
oltre la strada, entra nel prato,
che io non ti veda,
che la nebbia notturna si assiepi
tra me e la tua figura che va via,
che il gomitolo d’amore si dipani:
tu che ne tieni un capo
e l’altro che mi sfugge dalle mani.

Marina Corona

Da Alfabeto Morse di novembre, Samuele editore

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