Stili di vita
Non fiori ma tv
Dilaga la moda del funerale in diretta televisiva. Quello di Maurizio Costanzo ha fatto un buono share: l'unica cosa che conta? Non c'è anche il rischio di perdere la battaglia del buon gusto? Di confondere il quasi niente con il quasi tutto?
Nel 2021 e nel 2023 la Rai ha trasmesso in diretta le esequie di Raffaella Carrà e di Maurizio Costanzo. La prima, ballerina e conduttrice televisiva, rimarrà impressa nel ricordo popolare per il tuca-tuca, per il quiz dei fagioli e forse per Carramba che Sorpresa!. Non saprei davvero cosa aggiungere, se non che la Carrà era stata una “diva” del primo varietà televisivo e una paladina di certi format della Tv commerciale. Infine era assurta a icona gay (sono misteri) e appariva la persona civile, educata e di buon cuore che senz’altro era. Quanto al secondo, cresciuto con la fantasia di ricordarci Ennio Flaiano, nella realtà era partito dal testo scritto con Ghigo De Chiara di Se telefonando di Mina per poi cofirmare con Maccari e Scola Una giornata particolare (non erano poca cosa). Seguiranno alcune ottime idee di giornalismo televisivo come Bontà loro (ad libitum per quarant’anni) per poi incorrere al suo massimo fulgore, 1981, in un imprevisto smascheramento alfanumerico da cui avrebbe risalito la sua china con pazienza, abilità e coraggio (sostenne l’impegno di Giovanni Falcone e fu fatto oggetto di attenzioni mafiose) per giungere infine a un illimitato potere televisivo di cui rimarrà la massima incarnazione.
A ciò si aggiungano una critica liberatoria e una statistica: la prima, i suoi dialoghi frammentati con le celebrità dello spettacolo risultavano superficiali per il semplice motivo che il conduttore non si concedeva mai il tempo di approfondire un ragionamento che non fosse “intimo” o ”privato”, sicché zompettava qua e là, di argomento in argomento; la seconda: a fronte di personaggi di qualità e simpatia che venivano mescolati senza un filo conduttore e che ben si realizzeranno nelle loro rispettive arti, ve ne saranno altri, pessimi, a valere come “tributo alla volgarità”. Inutile citarli, basti rammentare con sgomento quale scempio di raffinatezza espressiva costoro causeranno a una minoranza di spettatori italiani (la maggioranza li adorerà)… Infine rimangono in dote delle trasmissioni invedibili, ai limiti della circonvenzione di incapaci (sempre gli spettatori).
E allora, senza nulla togliere al rispetto che con sincerità si deve a ogni defunto, sarà il caso di ricordare alcuni nomi e pochi dati. Comincerei da sabato 12 settembre 2009, quando a Mike Bongiorno vengono tributati i funerali di Stato! Di Stato!!!
Così il sito della Fondazione Mike giustificò tale inverosimile esagerazione: «Un Americano speciale, capace di annullare lo spazio fisico che sta tra lo studio televisivo e il divano di casa nostra. Un uomo vicino alla gente perché sa prendere le distanze dall’esperto di turno e sa mettersi dalla parte di chi non sa, ma è desideroso di apprendere. Un uomo vicino alla gente perché della sua sincerità, che non si vergogna di risultare a volte anche inopportuna e goffa, ha fatto il suo marchio di fabbrica. Per tutti questi motivi Mike si è meritato i funerali di Stato. Sabato 12 settembre. Esequie di Stato tributate al concittadino Mike, reduce di guerra che ha fatto grande la Patria».
L’evento sarà ripreso in diretta da Sky e Mediaset ed è chiaro che da allora in poi, come si dice, salterà il banco. Si era infatti perduta ogni misura. Il 28 marzo 2018 la Rai trasmetterà in diretta le esequie di Fabrizio Frizzi; il 9 luglio 2021 quelle di Raffaella Carrà. Ai quattro personaggi televisivi citati faranno da contraltare (quasi testualmente), le dirette dei funerali di quattro Grandi del cinema e dello spettacolo dal vivo: Gigi Proietti, Carla Fracci, Monica Vitti e Gina Lollobrigida. Ora, negli ultimi due anni la stessa sorte non è spettata a Roberto Calasso, a Franco Battiato, a Eugenio Scalfari, a Lina Wertmuller, a Enzo Garinei, a Piero Angela, a Paolo Rossi e a Maurizio Scaparro (per il quale non si sa bene chi, del Ministero della Cultura, si sia affacciato a salutarlo al Teatro Argentina)… Tutte figure di enorme importanza che avevano illustrato la musica pop, il giornalismo d’autore, la regia teatrale e cinematografica, la commedia musicale, la divulgazione scientifica, l’editoria di qualità e il calcio ai suoi massimi livelli di lealtà sportiva. A costoro andrà l’attenzione di Raiplay. Per carità, è comunque memoria.
Si è molto parlato del selfie che una spettatrice di Uomini e Donne (o similia) ha inopportunamente chiesto a Maria de Filippi (alla quale vanno le nostre condoglianze). È di banale evidenza che certi episodi non rappresentino altro che la nemesi di attitudini e di scelte dolose nel campo della comunicazione di massa, nonché di un uso spregiudicato del reale dolore altrui. Non si è fatto altresì cenno alla scena davvero smodata a cui ha dato luogo un altro personaggio televisivo nel mostrare il suo dolore, rispettabile in sé, nella camera ardente di Costanzo, Pare che gli dovesse molto. I sentimenti umani sono sempre rispettabili e comprensibili ma a tutti noi è accaduto di perdere persone a cui eravamo tanto riconoscenti, senza con ciò esibire in maniera così apertamente tragica la nostra viva sofferenza. Il mezzo televisivo, per come è ormai ridotto, ha tolto a parecchi suoi protagonisti ciò che definiamo decoro, pudore, modestia, sobrietà. Al contrario è tutta una gara di ostentazione.
A mia volta non credo di dare sfoggio di chissà quale alterità intellettuale se dico di non riconoscermi in Alfonso Signorini, in Lele Mora o in Vladimir Luxuria (che mi hanno descritto in fila ad attendere la Comunione) o se penso che non sia bene spendere soldi (pubblici o privati, non importa) per allestire un’operetta lirica dedicata a Raffaella Carrà nell’ambito dei progetti di una capitale italiana della cultura 2023. Mi domando solo a che punto sia stato svalutato il patrimonio del nostro Paese, da non distinguere più tra personaggi e personalità, tra pettegolezzi e notizie tra coloristi e critici, tra commentatori e filosofi, tra cronachisti e storici, tra artisti e non, tra scrittori e non, tra attori e non… Tra il quasi nulla e il quasi tutto. E non serve a consolarci la nota di Aldo Grasso, secondo il quale la liturgia mediale dei divi dello spettacolo integrato andrebbe intesa come l’ultima istituzione rituale e simbolica che ci rimane. Grasso ha le sue ragioni ma allora occorre dire che questi funerali non sono né dei sentiti omaggi a dei notissimi defunti né dei riti metacelebrativi di una televisione ove si nasce e si muore, ove si accendono per la prima volta e si spengono per sempre tanto le trasmissioni quanto i loro conduttori. No, questi funerali sono programmi televisivi con i loro bravi numeri di rendiconto (55% è stato lo share complessivo per le esequie di Maurizio Costanzo). Dunque, non più The show must go on, bensì The show must be mourned. A tumulazioni avvenute, dedicati un pensiero e una preghiera a chi non c’è più, ci restano i detriti di questi ultimi quarant’anni di televisione, che dalle nobili scene dell’intrattenimento è traslata verso orizzonti di incerto profilo, e forse in quel genere di liceità a tal punto fuor di controllo da permettersi il vaglio dell’Estremo Saluto.