Un genio della pittura
I fantasmi di Munch
Un bel film documentario diretto da Michele Mally ricostruisce la biografia, le passioni e gli esperimenti pittorici di Edvard Munch. Come dice il titolo, è una storia di donne, fantasmi e vampiri. E di turbamenti dell'arte
Il film biografico, o biopic, che racconta la vita di un personaggio celebre, è una categoria che spesso delude gli appassionati di quel personaggio, oppure piace loro per l’attrazione che si prova per una star, per un mito dell’arte, ma in realtà è sempre un prodotto “di servizio”. Da piccola ho amato molto il librone su Michelangelo Il tormento e l’estasi di Irving Stone (non ho visto il film, con Charlton Heston, troppo Ben Hur, e troppo poco Michelangelo, secondo me). Ma altri film visti da grande, su altri pittori magnifici, sono sempre stati una delusione. Mi sembrava di essere in coda alle mostre-spettacolo che si usano tanto, dove la folla modaiola ti allontana dal raccoglimento che una pittura esige, per essere vista e gustata. La folla è lì perché non può non esserci, è il “must” della stagione.
Invece il nuovo docu-film su Edvard Munch, un po’ documentario, un po’ film, ve lo consiglio davvero. C’è il tentativo di avvicinarsi a una figura complessa dell’arte, un pittore che non ti intenerisce per il suo dolore, come Vincent van Gogh, né stuzzica la tua verve polemica e impegnata, come i coevi artisti espressionisti, acidi e spietati, taglienti, bravissimi. Munch è sofferente ma distante, folle ma impaurito dalla vita, amante ma terrorizzato dalle donne, attratto dalla vita ma molto più dalla morte, dalla malattia, dagli spiriti compresenti al vivente.
Il film, intitolato semplicemente Munch, è appena uscito, e resterà per poco sui nostri schermi cinematografici: sarà in seguito visibile sulla piattaforma di Nexo Digital. Si avvale delle testimonianze di storici dell’arte, tra cui il nostro Elio Grazioli, bravissimo nel rintracciare i fili del suo legame con gli spiriti e con la morte; ma importanti anche le testimonianze del direttore del Museo Munch di Oslo, della biografa del pittore, della restauratrice, e della magnetica attrice Ingrid Bolsø Berdal. E tutti seguono l’intento del regista Michele Mally e della sceneggiatrice Arianna Marelli, che mi sembra essere quello di un tentativo di avvicinamento, cauto, gentile, mai interpretativo, all’opera e alla mente di Munch.
Un puzzle costruito attraverso i ritratti delle tante donne, dei familiari malati e morti, dei ménage à trois, dell’amore libero e della gelosia, degli amici, radicali e satanisti, spiriti liberi e spiriti violenti, bevitori e cocainomani, degli intellettuali della bohéme dell’epoca. Come Ibsen, e soprattutto Strindberg, ma anche Nietzsche e il suo Superuomo, il nuovo tipo umano che si pone al di là del bene e del male, senza consolazioni, senza metafisica, e che tanto assomiglia ai bagnanti di Munch, nudi e forti, bastevoli a se stessi. Ma i fili annodano ancora la sua dedizione alla pittura, gli esperimenti, e le tecniche incisorie raffinatissime, e ancora le nuove invenzioni sull’ottica e sulla fotografia, che Munch utilizza a livello sperimentale fotografando e filmando se stesso, le modelle, la gente per strada, i fantasmi e le possibili apparizioni partorite dalla sua mente. Su tutto giganteggia la ricerca sul tema della donna e dell’amore, l’inadeguatezza che Munch sente come uomo di fronte alla figura della “amante, prostituta, vampira”, o anche Sirena, nel senso dell’essere stregante che attrae e perde il maschio, legandolo per sempre con le corde dei lunghi capelli. Mancano nel film i paesaggi notturni, innevati e azzurri, sereni, di tanta produzione munchiana, ma in realtà si tratta di una produzione sconfinata, ed è comprensibile la necessità di fermarsi sull’aspetto tragico della personalità del pittore, quello più conosciuto, raccontato nell’Urlo, o in Separazione, o Nella Danza della Vita.