Cronache infedeli
La leggenda Lula
Domenica prossima si vota in Brasile: la malconcia sinistra globale si aggrappa a Luiz Inacio Lula da Silva. Basteranno la sua leggenda e la sua grinta da leone a cambiare le sorti di un Paese ridotto allo stremo?
Dopo una notte di passione, mi sveglio in una terra accidentata che stento a riconoscere come il mio, il nostro Paese. Alla fontana di Trevi si abbeverano le truppe dei nostalgici dell’orbace e dal sud dell’eterno Masaniello viene un vano frastuono di pentole sbattute. Intorno, il mondo conosciuto ribolle di violenze e ingiustizie trionfanti. A est si massacrano gli innocenti con la stessa ferocia con cui secoli fa i cosacchi dello Zar mettevano a ferro e fuoco i miseri stetl degli ebrei indifesi. A sud, donne generose vengono fucilate in piazza dai manipoli armati dei guardiani della moralità. Nel nostro Occidente, una violenta variante dell’egoismo di classe e di razza apre brecce negli antichi caposaldi della tolleranza e della civile convivenza tra diversi.
In questo panorama di rovine, chi sarà – per l’oggi e per il domani – il mio e il nostro campione? Il mercato politico globale non offre grandi speranze, a meno che domenica prossima – tra Rio De Janeiro e San Paolo – non si realizzi il miracolo che pochi mesi fa solo i più sconsiderati ottimisti potevano immaginare: la vittoria di Luiz Inacio Lula da Silva alle presidenziali brasiliane.
Davvero: a volte ritornano, e l’eterno ritorno di questo ormai canuto campione della sinistra ha un po’ il profumo delle narrazioni del “realismo magico” con cui Gabriel Garcia Marquez e Jorge Amado ci hanno fatto innamorare delle vaste terre latinoamericane. Incredibile e straordinario: a 76 anni Lula il “calamaro” celebra sui palchi della ennesima campagna elettorale la sua quinta incarnazione.
La prima, nei duri anni Settanta della dittatura militare. Un ragazzo sconosciuto che viene dalla catena di montaggio della grande industria dal Brasile povero delle campagne. Si farà conoscere subito: nero, barbuto e riccioluto, carismatico leader operaio, capo del sindacato dei metalmeccanici di San Paolo e infine fondatore del Partito dei lavoratori, pietra miliare della sinistra brasiliana.
La seconda incarnazione, nel turbolento ventennio della democrazia riconquistata: tre volte candidato alla presidenza, tre volte sconfitto tra illusioni e tradimenti, colpi bassi, selvaggi batticuori e brogli scandalosi. Ma Lula è un uomo di ferro e ogni volta si reinventa: un animale politico mai visto a queste latitudini. L’unico leader della malconcia sinistra latinoamericana che non cede al richiamo del populismo e del caudillismo, che insegna politica – radicalità quando necessario, moderazione quando richiesto – persinoagli intellettuali, ai professori, agli economisti: le menti migliori del Brasile che affollano il giovane partito.
La terza incarnazione, memorabile, nei trionfi del nuovo secolo: eletto presidente alle elezioni del 2002, con una valanga di voti. E poi – ancora con una alluvione di voti – confermato presidente nel 2006. Per milioni di brasiliani sono gli anni della speranza, per il grande Paese il decennio del rilancio e della rivincita: il leone di Planalto ruggisce, e nel 2012 il Brasile è promosso come sesta economia mondiale. Mai carnevale di Rio fu più festoso, più liberatorio, più futurista.
La quarta incarnazione è l’improvvisa caduta, dopo l’addio alla presidenza: gli scandali a raffica e le accuse di corruzione, il tribunale che lo condanna, l’affronto finale di 580 giorni di carcere. Sembra tutto finito, perché l’affaire Petrobras è il più grave nella storia del Brasile, con mille persone indagate, un fiume di denaro sporco, 150 condanne tra manager, funzionari, dirigenti politici. Il partito di Lula è travolto, e i giudici incalzano la preda più ambita. In carcere, il vecchio leone soffre ma non si arrende, ammette la corruzione come sistema, ma respinge tutte le accuse personali. Combatte fino alla riabilitazione e dietro le sbarre riesce addirittura a sposarsi per la terza volta.
Oggi la quinta incarnazione: il vecchio spelacchiato leone è di nuovo chiamato a combattere nell’arena. Il suo avversario non potrebbe essere più sideralmente diverso. Jair Bolsonaro è un Trump sudista che nella sua dissennata parabola politica ha precipitato il Brasile in un incubo ad occhi aperti. La strage colpevolmente perseguita negli anni della pandemia, l’alienazione del polmone planetario della foresta amazzonica ai più sordidi interessi economici, la cancellazione dei programmi sociali del decennio di Lula, il ritorno alla discriminazione razzista e classista rappresentano i capitoli di bilancio di un Paese allo stremo.
La suggestione di un passato glorioso contro lo spettro di un presente miserabile. E – sorpresa, ma non troppo – oggi il candidato delle sinistre è dato al 47 per cento dei consensi, in vantaggio su Bolsonaro di 16 punti e non lontano da una vittoria già al primo turno. Ma non sarà una passeggiata, perché il rivale appare disposto a tutto. Come scrive l’Economist: «Bolsonaro insinua che le elezioni potrebbero essere truccate. Non offre prove concrete, ma molti sostenitori gli credono. Sembra che stia gettando le basi retoriche per gridare alla frode elettorale e negare il verdetto delle urne. I brasiliani temono che possa incitare a una insurrezione come l’assalto al Campidoglio dei sostenitori di Trump…». Dunque dovrà combattere duramente, il vecchio spelacchiato leone, e il lieto fine non è assicurato. Lula, per quello che vale dirlo, è anche il mio candidato. Direte: è vecchio e stanco, ha avuto il suo momento, e questa è solo una replica sbiadita. Direte: lo scandalo Petrobras non era cosa da nulla, e il fango è schizzato anche su Lula da Silva, macchiando la sua reputazione di specchiata onestà. Direte: anche in Brasile la sinistra dimostra di non avere linfa vitale, uomini nuovi e nuove idee, costretta ad aggrapparsi ai fasti del passato per sperare in una nuova effimera replica di vittorie. Tutto vero, sacrosanto. Ma questo è il rancio di oggi, e questa minestra dobbiamo consumare. Se c’è oggi una speranza per il Brasile, è in questo grigio combattente, in questo ultrasettantenne appesantito dagli anni e dalle battaglie combattute, in questo imperfetto esemplare umano. Nell’arena che ci è data – e non nei nostri vani sogni di gloria – questo è il nostro campione.
Accanto al titolo, foto di Mauro Pimentel per Gettyimages