L'aggressione di Chautauqua
Il pugnalatore
Proviamo a entrare nella testa di Hadi Matar, l'individuo che ha cercato di uccidere Salman Rushdie. Per tentare di capire quale cortocircuito tra valori e regole, realtà e finzione ha mandato all'aria il nostro mondo
Vorrei essere nella testa di Hadi Matar – 24 anni, nato in California, residente a Fairview, in New Jersey – che ha pugnalato Salman Rushdie. Vorrei essere nella sua testa per capire quale sia stato il percorso logico, razionale (ritengo ci sia sempre una ragione in quel che un individuo sceglie di fare) che lo ha portato a salire sul palco del festival letterario di Chautauqua, nello Stato di New York, e colpire un uomo di 75 anni, inerte. A colpirlo «come una furia», per di più, almeno stando alle testimonianze che filtrano dagli Stati Uniti.
Della fatwa, la “condanna a morte” lanciata dall’allora ayatollah Khomeini il 14 febbraio del 1989 e costantemente reiterata fino o oggi, sappiamo tutto. Sappiamo che la ragione di questo atto formale dissennato e contrario a ogni norma civile internazionale è nelle pieghe di un romanzo, Satanic verses, colmo di ironia e di riferimenti al Corano che le autorità islamiche – certamente senza averlo letto per intero – hanno considerato come un’offesa personale. Sappiamo dell’orrore propagandistico di quella decisione presa per infiammare animi ignoranti e consolidare un potere traballante. Sappiamo tutto, ma non sappiamo che cosa sia passato nella testa di Hadi Matar, quali motivazioni lo abbiano condotto, trentatré anni dopo i fatti, ad affondare un coltello nella carne di uno sconosciuto colpevole di avere un’altra dimestichezza con le idee e con l’ironia. Ammesso che questa possa essere una colpa, ovviamente.
E allora proviamo entrare in quella testa, per carcare di capire che mondo ci circonda.
Una fondazione religiosa iraniana ha posto sulla vita di Salman Rushdie una taglia di 3,3, milioni di dollari: può darsi che questa sia la prima motivazione che ha spinto Hadi Matar su quel palco. 3,3 milioni di dollari sono una cifra stellare per un individuo – cittadino americano, seppure di origine libanese, ricordiamolo – probabilmente confuso e magari in difficoltà: addosso gli è stato trovato il documento di un certo Hassan Mughnyah, un “martire dell’islam”, capo militare dell’Hezbollah sciita ucciso dal Mossad nel 2008. 3,3 milioni di dollari possono risolvere una vita e riscattarla. Ma il cittadino americano Hadi Matar come poteva pensare di farla franca? Come poteva pensare di riuscire a uccidere Salman Rushdie e poi sfuggire alla prevedibile reazione di chi, effettivamente, lì in sala è intervenuto e lo ha bloccato? Forse non ha pensato alle conseguenze. Oppure ha pensato che ormai in Occidente – e negli Stati Uniti in special modo – le leggi hanno un valore relativo. Si sarà detto, forse, che al processo per il suo gesto omicida avrebbe sempre potuto giustificarsi chiamando in causa la legge islamica. In un miscuglio di suggestioni islamiche e assimilazione di regole occidentali, avrà considerato la possibilità di mescolare le carte: regole e valori. E di farla franca intascandosi i 3,3 milioni di dollari. Del resto, magari avrà pensato a tutti quegli occidentali sparsi nel mondo che scommettono – al riparo delle regole degli stati – o che partecipano a ogni genere di lotteria inseguendo il sogno di una vincita milionaria. Qui c’era di mezzo la vita di un uomo, ma che cos’è, ormai, la vita di un uomo? Quale il suo valore in questa nostra società globale che antepone i peggiori interessi collettivi a quelli individuali?
Facciamo un’altra ipotesi. La fatwa è una condanna che chiama all’azione i fedeli islamici di tutto il mondo: la reazione a un’offesa che esorta tutti a un atto purificatorio. Maometto è stato offeso, chi lo vendica si pone in buona luce ai suoi occhi. Nelle religioni greche antiche capitavano cose simili: per riuscire a partire per la guerra di Troia, Agamennone dovette sacrificare la figlia Ifigenia: una vendetta pretesa dagli dèi offesi. Una vendetta che, come è noto, Agamennone pagò con la vita. Ma, dal tempo di Agamennone, sua figlia Ifigenia e sua moglie Clitennestra sono passati un po’ di anni. Le religioni che si sono succedute da allora qui in Occidente hanno bandito quelle pratiche già da un po’: è da qualche secolo che non si bruciano streghe né eretici, dalle nostre parti.
Come che sia, Hadi Matar potrebbe aver trovato nella sua fede la spinta a salire su quel palco «come una furia». Ai tempi del peggior terrorismo islamico, i leader di quella religione (in molti paesi islamici religione e stato coincidono) assicurarono ai martiri la certezza di eterna gratitudine in cielo, con tanto di vergini ad aspettarli nell’aldilà. Ognuno, evidentemente, è libero di credere in ciò che vuole. Salvo che ciò in cui crede dà la misura della sua ignoranza. Della sua incapacità di cogliere la complessità della realtà. O della sua ignominia se, in nome di ciò in cui si crede, si uccide. Le religioni differiscono spesso proprio su questo: alcune puntano a migliorare gli esseri umani, altre a uniformarli ai propri valori fino al punto di uccidere chi resiste. Tutte le religioni di sono macchiate di questo obbrobrio, alcune hanno fatto faticosamente ammenda e hanno smesso di correggere il mondo con la vita dei peccatori. Hadi Matar, evidentemente – ammesso che quella religiosa sia la sua motivazione – non ha ancora raggiunto questa soglia di pacificazione. Usa la religione per sognare un mondo a sua immagine e somiglianza.
Ma, d’altra parte, l’Occidente ormai è pregno di individui e leader che non ammettono “impurità”, diversità: la dottrina liberista, largamente vincitrice su tutte le altre ideologie, in Occidente, si è tradotta, ormai, nella libertà di pensarla come il leader. A spese degli altri. Ancora una volta, Hadi Matar a questa orrenda deriva etica ha aggiunto solo il disprezzo per il valore individuale della vita. Salman Rushdie gli sarà parso come una scheggia impazzita da neutralizzare per testimoniare a se stesso e al mondo di essere vivo, di avere un senso, non un uomo dotato di vita, idee, affetti e tutto il resto.
Altre ipotesi, solo apparentemente più assurde. Hadi Matar avrà voluto compiere un gesto che ne proiettasse il volto nelle tv di tutto il mondo. O avrà voluto colpire in Salman Rushdie un mondo dal quale si sente escluso. O, infine, avrà pensato di riscattare con la violenza qualche trauma subìto. O tutte queste cose insieme.
La mente degli uomini è complessa e articolata, sovente ignota a se stessa. Al punto che il pugnalatore con ogni probabilità non saprà rispondere alla nostra voglia di capirlo. Quel che è certo, infatti, è che egli appartiene a una stragrande maggioranza dell’umanità: quella che non ha interesse né strumenti né curiosità per capire ciò che gli succede intorno. A Est e a Ovest abbiamo rispolverato ideologie e religioni con la pretesa di sostituire con «l’amore per gli individui» la «comprensione degli individui». Salvo che a vincere, sempre e dovunque, è solo «l’amore per se stessi», anche a costo di annientare tutti gli altri individui. Senza nemmeno provare a capirli, ovviamente.