A Caracalla, a Roma
La guerra di Bernstein
L’Opera di Roma, con la regia di Damiano Michieletto e Diego Matheuz sul podio, per la prima volta propone in forma scenica “Mass”, l’opera che Leonard Bernstein scrisse nel 1971 per protestare contro la guerra in Vietnam
Il coro di Cantanti di strada, uomini e donne che si muovono in modo sempre più critico attorno al prete dando voce ai passi della messa, talvolta dandogli un senso più moderno, come quando il “dona nobis pacem” diventa un più pressante “Give us peace NOW” (Dacci pace, Adesso) o alla fine arriva il generale “Pax tecum” rivolto al celebrante e alla sua invocazione a Dio, sino alle parole “La Messa è finita; andate in pace”, che fece accusare a suo tempo questa Mass teatrale del 1971 di Leonard Bernstein di essere contro la guerra in Vietnam tanto da attirare le attenzioni dell’Fbi, e oggi la rende di una grande attualità, che l’allestimento firmato da Damiano Michieletto sottolinea e esalta, anche se sempre in maniera spettacolare e metaforica.
Mass, nata su commissione di Jaqueline Kennedy per l’inaugurazione a Washington del Kennedy Center, dove fu coreografata da Alvin Ailey, in Italia è stata eseguita solo in forma di concerto e la nuova produzione per la stagione estiva alle Terme di Caracalla del Teatro dell’Opera di Roma, attesa per venerdì primo luglio, con repliche domenica 3 e martedì 5, è la prima realizzazione scenica. Sul podio Diego Matheuz, tra i più affermati musicisti provenienti da ‘El Sistema’, il modello didattico-musicale fondato in Venezuela da José Antonio Abreu.
Michieletto, che torna a lavorare a Roma dopo il successo del Rigoletto al Circo Massimo nell’estate 2020, spiega di aver voluto “costumi senza tempo, simbolici, che certo avessero una valenza contemporanea”. Quindi dice di aver inserito “al centro della scena un muro, e ci sarà anche una videoproiezione con un po’ tutti i muri che sono stati costruiti nel mondo per dividere i popoli: dal Messico alla Palestina, passando per l’Ungheria. Chi deve difendere la propria ricchezza erige muri. Ma i muri li portiamo anche dentro di noi: sono le nostre paure, i nostri pregiudizi, rappresentano l’impossibilità di comunicare, la volontà di sottrarre agli occhi quello che c’è dall’altra parte, per chiudersi nelle proprie sicurezze. Nello spettacolo sono gli Street Singers a costruire questo muro, e lo useranno anche per inscenare una crocifissione del sacerdote che celebra la messa, interpretato da Markus Werba. Ma il muro sarà attraversato alla fine da altri uomini e verrà distrutto, chiudendo l’opera con un’immagine di speranza per chi sta attraversando il mare della sofferenza e della desolazione”.
Per realizzare questo progetto, col regista sono Paolo Fantin per le scene, Carla Teti per i costumi, Alessandro Carletti per le luci e Filippo Rossi per i video. Lo spettacolo vede impegnato il Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma, diretto da Eleonora Abbagnato, nelle coreografie di Sasha Riva e Simone Repele sulle trascinanti musiche e moderne di Bernstein, affiancato da uno Street People Chorus, composto da performer di musical, accanto al Coro del Teatro diretto da Roberto Gabbiani. Sul rapporto regia – coreografia, Michieletto ha detto di aver proposto “un’idea drammaturgica chiara, uno spazio aperto in cui i ballerini potessero lavorare col loro linguaggio, avendo dimostrato la propria voglia di provare a impegnarsi in qualcosa di diverso dal solito”.
Mass, col suo contenuto fortemente critico, fu pensata in un primo momento come una messa tradizionale, ma poi Bernstein optò poi per un’opera teatrale piuttosto sperimentale, basata sulla Messa tridentina della Chiesa cattolica romana. Nel libretto, i frammenti liturgici veri e propri sono mantenuti e cantati in latino, con l’eccezione del Sanctus che comprende versi in ebraico, mentre i testi aggiuntivi in lingua inglese sono di Bernstein stesso, ma anche di autori come Stephen Schwartz e Paul Simon (che ha scritto l’inno ”Metà del popolo”). L’idea dell’opera, stando alle parole dell’autore, scomparso nel 1990, fu influenzata da alcuni avvenimenti coevi alla composizione, dai funerali di Robert Kennedy nella cattedrale di San Patrizio a New York, nel 1968 alle celebrazioni del bicentenario della nascita di Beethoven, nel 1970, ed è legata anche a un breve pezzo (‘Preghiera semplice’) destinato al film “Fratello sole, sorella luna” di Franco Zeffirelli, poi ritirato, che troviamo, con il suono di una chitarra, a chiudere l’inizio della composizione, una registrazione di suoni metallici, elettronici e voci.
Mass è una composizione complessa per il direttore Diego Matheuz, “per la varietà di elementi, cominciando dall’organico: due orchestre e ogni orchestra, a sua volta, è divisa in piccoli ensemble, rock, blues, Jazz, banda, fanfara… Ci sono poi i tre cori e la voce solista, narrante del celebrante. Tutto orchestrato benissimo, coi diversi generi che si alternano ciascuno con la propria specificità con passaggi, tra un genere e l’altro, che se non si è più che attenti quasi non si avverte, tanta è la naturalezza”. Allo stesso modo, nella trama del testo appare, in contrapposizione alla preghiera tradizionale, una visione sociale, tanto che l’amarezza e la rabbia del Coro di Strada cresce via via sino al culmine emotivo dell’opera, con l’evidente violenza del suo lamento che interrompe l’elevazione del Corpo e del Sangue, col prete furioso che scaglia via l’ostia consacrata nel suo ostensorio e il calice. Un gesto sacrilego che colpisce tutti con evidente forza, mentre ci si interroga su dove sia finita la forza originale della fede, finché pian piano un fedele riprende l’inno “Eleva Dio un canto semplice” e via via è seguito da tutti che, rivolti al prete, invocheranno “La pace sia con te”.