Su “Due volti dello scandalo”
Lettere italiane
Renzo Paris ricostruisce l'amicizia tra Pier Paolo Pasolini e Alberto Moravia: un rapporto fatto di affetto e conflittualità nel quale si rispecchia l'Italia di quegli anni fatta di impegno e spirito critico. Quella che oggi è impossibile inseguire e rimpiangere
L’amicizia tra Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini fu sicuramente intensa, a suo modo profonda e affettuosa, puntellata da momenti di condivisione e contrassegnata da un sincero interesse per l’opera e il pensiero dell’altro. Eppure i due, che erano chiamati a far sentire la loro voce in un’epoca in cui agli intellettuali erano richiesti impegno e partecipazione alla vicenda pubblica, la pensavano diversamente su ogni cosa e quindi si ritrovarono spesso schierati su fronti opposti. Del resto, non erano simili nemmeno nel carattere, né concordava il loro modo di avvicinarsi alla realtà sociale e di affrontare l’esistenza.
Il racconto del rapporto intellettuale ed emotivo tra i due scrittori, che animarono il dibattito culturale negli anni Sessanta e Settanta, è contenuto nell’argomentato libro di Renzo Paris Pasolini e Moravia. Due volti dello scandalo (Einaudi Stile Libero, € 15.50). Paris continua nella sua opera di recupero memoriale della vita culturale di quegli anni vividi, così ricchi del desiderio tenace di confrontarsi e di manifestare le proprie idee, di costruire il futuro, così segnati da divisioni ideologiche e contraddizioni. L’intento è quello di cercare di ricomporre per capire, di riannodare fili lontani, di raccontare storie che potrebbero essere dimenticate.
Il mondo che animarono i due intellettuali è ormai perduto. D’altra parte, come sottolinea Paris, sono scomparse anche le due classi sociali di riferimento, o che comunque avevano rappresentato il punto di partenza delle vicende esistenziali e artistiche di Moravia e Pasolini, cioè la borghesia illuminata e la piccola borghesia.
Che Renzo Paris sia impegnato nell’opera di conservazione rispettosa e di difesa di quell’ambiente e dei personaggi che ne furono protagonisti è confermato dai volumi, pubblicati negli ultimi anni, Pasolini ragazzo a vita e Miss Rosselli, nei quali ricostruisce episodi, circostanze e rapporti culturali e affettivi della vita letteraria e artistica romana di quel periodo. Prima ancora si era occupato approfonditamente dell’autore de Gli indifferenti con la biografia Moravia: una vita controvoglia e con le conversazioni contenute in Ritratto dell’artista da vecchio, a segnare anche un legame affettivo e di fedeltà intellettuale. «Non si muore finché c’è qualcuno che ti ricorda, che conserva la memoria della tua vita» scrive Paris e questo basta a chiarire il valore di quest’opera di tutela, che risulta dunque insieme critica ed emotiva, ha nello stesso momento valore letterario e energia sentimentale. Infatti Paris, sostenendo che questo suo lavoro sia da considerarsi «un’affabulazione critica», chiede di essere perdonato per le intrusioni personali nella storia raccontata, «che riguardano l’affetto ancora vivo per i due grandi amici scomparsi da tempo».
Pasolini e Moravia. Due volti dello scandalo è perciò anche un romanzo, oltre che una riflessione critica e di carattere sociale e politico. In ogni caso, scrivere dell’amicizia che legò i due grandi intellettuali vuol dire anche soffermarsi sul “mondo perduto” nel quale essi operarono, ricostruire la storia di quegli anni così diversi dagli attuali.
Il legame così solido nel privato nasce, sostiene Paris, da una sorta di gara delle intelligenze e proprio dalle differenze che caratterizzavano persino i loro ritmi di vita. Pasolini era attratto dall’elegante romanziere borghese che considerava una sorta di “padre alla rovescia”, un padre razionale e lucido, “tutto quello che lui non era”. Moravia a sua volta era “elettrizzato dalla vitalità piccolo borghese” di Pasolini, che riteneva l’unico poeta civile di sinistra, e gli invidiava “la poesia e la facile promiscuità degli omosessuali”.
Moravia, che sopravvisse all’amico quindici anni, e che ebbe modo di pensare chissà quante volte alla fine violenta dell’amico, “non si rassegnò a quell’atroce sacrificio tribale”. Per Moravia, Pasolini era morto «in maniera intonata non già alla sua vita ma ai pregiudizi e alle convinzioni della società italiana». Insomma, i mandanti non erano da ricercare nei singoli esponenti di qualche gruppo di estrema destra, ma nell’intera società italiana.
Il libro di Paris ricostruisce gli elementi più significativi dell’amicizia e del rapporto intellettuale, soffermandosi su alcuni momenti fondamentali, come i viaggi in India e in Africa, che Moravia e Pasolini affrontarono insieme. Nel 1961 furono in India per due mesi, raggiunti per un periodo da Elsa Morante. Anche sull’India, avverte Paris, non avevano nessuna idea in comune: «Alberto non amava l’imprevedibile e pretendeva una distanza tra la realtà e la sua interpretazione. Pasolini invece cercava l’immersione e l’identificazione, senza accettare veramente nulla».
Paris ricostruisce con grande acutezza anche un altro momento topico di quel rapporto, determinato dalle vicende legate alla contestazione studentesca del 1968, agli scontri di Valle Giulia del marzo di quell’anno, alla pubblicazione del poemetto di Pier Paolo Il PCI ai giovani, prima su L’Espresso, in seguito su Nuovi Argomenti, a cui era inizialmente destinato, con le tante polemiche che ne derivarono. Di fronte alle affermazioni dell’amico, che difendeva i poliziotti i quali, a suo dire, rappresentavano il proletariato che si opponeva alla borghesia degli studenti, Moravia decretò che si trattava del «solito pauperismo pasoliniano». Per lui la rivolta dei giovani era l’avvenimento più consolante degli ultimi venti anni, perché significava una risposta al «nichilismo dei sistemi politici e economici».
Ma anche nell’impegno politico i due si muovevano su posizioni profondamente diverse. Moravia si sentiva in dovere di intervenire sulle vicende di quegli anni, ma non voleva essere legato a nessuna forza politica: non a caso aveva voluto titolare la raccolta dei suoi scritti politici, curata dallo stesso Paris, Impegno controvoglia. Pasolini invece, anche in questo caso, era più umorale e viscerale e puntava a “gettare il corpo nella lotta”. Alla fine, quasi sistematicamente, aveva utilizzato lo scandalo come sola forma di comunicazione e si era messi tutti contro.