Nicola Bottiglieri
Su “Stefan Zweig. L’anno in cui tutto cambiò”

L’anno di Zweig

Raoul Precht ha scritto un (bel) romanzo biografico dedicato al 1935 di Stefan Zweig: l'anno in cui la vita dello scrittore e quella d'Europa cambiarono radicalmente. Una sorta di cupio dissolvi che da individuale diventa collettiva

«Perché aveva scelto proprio lei, una donna sposata, con due figlie, anziché una delle tante vergini (o almeno giovani) che il suo status di scrittore in ascesa gli avrebbe dato tutte le opportunità di conoscere e corteggiare? A pensarci ora, il motivo era probabilmente proprio quello: Friderike era una donna con un passato e un presente intensi, non una tabula rasa su cui scrivere un romanzo che andava anzitutto immaginato». Con queste parole l’autore spiega le ragioni che indussero il grande intellettuale Stefan Zweig (1881-1942) a sposare nel 1920 Friderike Maria von Winternitz, che abbandonerà nel 1939 per la giovane segretaria Lotte (Charlotte) Altmann (1908-1942) con la quale attraverserà il ponte dell’arcobaleno dopo aver ingerito una buona dose di barbiturici (Veronal) la notte fra il 22 ed il 23 febbraio 1942 a Petropòlis in Brasile.

Già da questi pochi dati emergono le caratteristiche della vita travagliata dello scrittore austriaco che, pur trovandosi al centro della vita culturale europea fra le due guerre, dovette riparare oltre oceano per sfuggire alle persecuzioni dei nazisti, essendo di origine ebrea.

Nel romanzo di Raoul Precht Stefan Zweig. L’anno in cui tutto cambiò (Bottega Errante Edizioni, 200 pagine, 17 Euro) il racconto segue passo per passo gli eventi accaduti nella vita di Zweig nel 1935, anno nel quale l’Italia dichiara guerra all’Etiopia e vede l’ascesa del nazismo con l’emanazione delle leggi di Norimberga attraverso le quali gli ebrei tedeschi vengono privati della cittadinanza. Si tratta in ogni caso di una particolare forma narrativa, ossia di un “romanzo biografico” composto di 10 capitoli, ognuno ambientato in una città diversa, fra esse New York e Londra, visitate per ragioni di lavoro, obblighi familiari, vacanze, fughe, amori, ecc.

Un romanzo biografico che è allo stesso tempo un “diario dell’erranza” dove l’intreccio fra luoghi, tempo della memoria e tempo della vita, sono tenuti insieme da una scrittura che sviluppa le situazioni con leggerezza e armonica precisione. I temi di carattere personale, come il triangolo amoroso fra le due donne della sua vita, si intrecciano con le tragedie epocali, le riflessioni sulla propria scrittura si intersecano con l’abbandono della patria, il vagabondaggio fisico viene riflesso nel vagabondaggio intellettuale, insomma Raoul Precht cuce, come un sarto della scrittura, il dritto ed il rovescio, l’interno e l’esterno di questa esistenza nella quale vediamo riflessi le tragedie che vissero tutti quegli intellettuali che si opposero al nazismo.

E tuttavia la fluida compattezza del racconto io credo sia dovuta ad una strategia narrativa, una vera e propria cucitura delle parole fatta con l’ago ed il filo della scrittura fra le due stoffe, la fodera, la vita privata, ed il tessuto esterno, ossia le tragedie di quegli anni.

Il romanzo biografico è un genere difficile da trattare perché l’autore getta un vero e proprio guanto di sfida sia nei confronti del proprio talento narrativo sia nei confronti del lettore, il quale controlla se l’elemento fantasioso, appunto immaginare i pensieri del personaggio biografato, non prenda piede sui dati biografici alterando il giudizio storico nei confronti dell’eroe di cui si parla. La difficoltà quindi riguarda sia la verità storica sia la “credibilità” del personaggio. Da questo dilemma io credo che l’autore del nostro romanzo ne sia uscito utilizzando il metodo che comunemente viene chiamato del “paradigma indiziario”, imperniato sugli scarti della vita, sui dati marginali dell’esistenza di un uomo, tutti quegli elementi minuti ma rivelatori della personalità che permettano di risalire dal particolare al generale, dal piccolo al grande, dalla vita alla storia.

Già confinare gli eventi in un arco temporale ben definito, il 1935, quando Zweig ha 54 anni, ossia è ben oltre il crinale della vita, è appunto una scelta precisa, attraverso la quale far emergere l’ambivalenza drammatica di ogni situazione come se le scelte di vita non fossero più frutto della volontà individuale ma decise dal fiume oramai inarrestabile degli eventi.

Metterò in fila ora alcuni esempi nei quali emerge con chiarezza questa sensazione di cupio dissolvi che oramai si è impadronita dello scrittore austriaco. Innanzitutto la scoperta che a Nizza fa Frederika quando trova il marito e la segretaria Lotte a letto, scoperta dovuta al fatto che era dovuta ritornare di corsa a casa per prendere un documento dimenticato ma necessario ad ottenere il visto per l’imbarco del marito a New York. Questa scoperta che da una svolta alla vita di Zweig, narrativamente viene amplificata dall’attenzione che Precht pone sul dettaglio della maniglia della porta che la moglie manovra per caso, una vera e propria zumata cinematografica, per cui si capisce che questa “verità inevitabile” è frutto più del caso che della riflessione. La conseguenza di questo gesto occasionale porterà ad una rivelazione durante la quale “il tempo si fermò”. Se il tempo si ferma nel momento in cui la moglie trova a letto il marito con la segretaria, scena iniziale del romanzo, il tempo si fermerà davvero quando la mattina del 23 febbraio 1942, scena finale della loro vita, altri occhi troveranno la stessa coppia addormentata per sempre nell’amore e nella morte reciproca che si erano dati.

Il cupio dissolvi sembra scandire molti altri particolari episodi che si sviluppano in quell’anno fatale: la cartolina postale spedita da New York con l’esile, complice messaggio in evidenza, le lamentele della madre a non lasciare la patria, l’ansia e la sfiducia verso il proprio lavoro, tutte le tormentate vicende sulla vendita dei manoscritti, tutti questi tranche de vie sono sempre a metà strada fra l’ansia e la casualità, fra sottintesi pensieri e laceranti dolori, tutti indizi che spiegano la verità del suicidio finale. Le bellissime pagine dedicate alla vendita della collezione di manoscritti sono ancora una volta una conferma di questo tracimare degli eventi che portano il nostro scrittore verso la periferia del mondo e della sua vita. Che uno scrittore di successo abbia la passione per collezionare manoscritti di autori celebri somiglia tanto alla passione che una prostituta possa avere per addobbare la sua casa di pitture a sfondo erotico e/o pornografico. Perciò viene da chiedersi se nel momento nel quale Zweig vuole disfarsi dei suoi amati manoscritti mantenendo per se solo i pezzi pregiati, lo fa solo per esigenze economiche oppure sta anticipando una scena che egli reciterà in modo drammatica sette anni dopo?

Quando uno scrittore inizia a scrivere un romanzo biografico deve stabilire con quali occhi vuole guardare al suo personaggio, come ad esempio fa uno scultore quando deve fare una statua di un uomo illustre e deve decidere a che età della vita deve corrispondere l’immagine della statua. Ebbene nel nostro racconto io credo che Precht abbia scelto il punto di vista di un personaggio “interno” alla storia, ossia quello di Lotte, la giovane segretaria, amante, moglie e compagna nel suicidio. Lotte, fin dalle prime righe, si guadagna un ruolo nel romanzo “rubando” la vita prima alla moglie, poi allo scrittore, infine a se stessa. Ed è proprio questo che fa un buon narratore: rubare frammenti di vita reale per renderla ancora più vera attraverso la finzione. Nobile attività quella del furto se fatta ad uso della letteratura!

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