Nel cuore della storia
Il sogno di Assisi
Ogni anno ad Assisi si celebra una strana guerra: quella tra la “Nobilissima Parte de Sopra” e la “Magnifica Parte de Sotto”. Insomma, la festa di "Calendimaggio", un rito medioevale che non ha nulla di turistico ma che lega il passato al futuro
Un mese fa ho scritto per Succedeoggi un racconto autobiografico sulle due guerre vissute dagli italiani nel secolo scorso (“Icaro Impiccato“). Riflettevo anche sulla attuale guerra in Ucraina e sulla imperdonabile stupidità nel “punire” la cultura russa. Considerazioni dolorose, amarissime, com’è ovvio che fosse, sull’oscenità del male e sulla morte.
Il caso ha voluto che dopo assai poco tempo io abbia avuto il privilegio di assistere a un evento italiano portatore di gioia, di bellezza e di vita. Una testimonianza della migliore tradizione culturale e umana della nostra gente. Eppure si tratta, vista dall’interno, di una guerra. Un paradossale scontro bellicoso (e in parte segreto) che avviene in Assisi.
È abbastanza noto che in questa città, patrimonio mondiale dell’Umanità, si celebra una festa della primavera chiamata “Calendimaggio”. Richiama riti pagani e feste antichissime in cui si celebrava la rinascita, il ritorno alla vita della natura dopo la sua morte durante l’inverno. Vita della terra e vita delle donne e degli uomini che sulla loro terra vivevano. Negli Anni Venti del secolo scorso, la città di Assisi ha riportato in luce questi riti. Sospesi durante la guerra, sono ricominciati negli anni cinquanta e mai interrotti fino all’arrivo Covid. Dal 4 al 7 maggio 2022 sono ripresi dopo due anni frustranti di blocco.
Gli assisani hanno scelto la dimensione medievale come seme delle proprie radici e della propria memoria storica. Non poteva essere diversamente, come sa chiunque abbia camminato per le strade della loro città. Questo “vissuto” medievale esplode nel Calendimaggio.
Assisi è divisa in due parti: la “Nobilissima Parte de Sopra” e la “Magnifica Parte de Sotto”, ciascuna delle due formata da tre terzieri. Bene, nel Calendimaggio le due parti si sfidano. Un palio folkloristico, come ce ne sono tanti in Umbria e in Toscana? Assolutamente no. Assisi non ne fa richiamo di turismo e dunque di “mercato”, per nulla: è una questione tra assisani, una guerra programmata, con severissimi statuti e controlli, tra i cittadini delle due Parti. È un evento in tutto e per tutto assisano nel quale i “partaioli” si guardano e si confrontano. Eventuali visitatori o turisti sono del tutto irrilevanti.
Nella piazza del Comune, davanti alle colonne e frontone del tempio della Minerva (meraviglioso manifesto, in Asisium, dell’impronta romana) e alla Torre del Popolo (costruita nella metà del 1200, alta quasi 50 metri), tutti possono assistere alle gare di forza per eleggere Monna Primavera, agli spettacolari cortei storici a tema (due per ognuna delle due Parti, uno di giorno e uno di notte) e alle sfide di musica e di canto.
Nessuno però, tranne i tre membri privilegiati di una giuria (composta da uno storico, un regista e un musicista) può assistere a una esperienza che è difficilmente definibile. Le chiamano “Scene di Parte” nelle quali la “Nobilissima Parte de Sopra” e la “Magnifica Parte de Sotto” si sfidano, in due notti successive, nei rispettivi quartieri della città che vengono chiusi a tutti. È ovvio, data la loro assoluta segretezza, che non si tratta in nulla e per nulla di un avvenimento di consumo turistico. Al contrario, è una faccenda tutta degli assisani, potente, quasi sacra, in cui si scatena la vita con le sue storie e i suoi sentimenti. I tre giurati sono le sole persone che possono vedere quello che accade per giudicare insindacabilmente quale, tra le due Parti, abbia prodotto l’evento di maggior valore spettacolare, storico e musicale.
Per la “Nobilissima Parte de Sopra” e la “Magnifica Parte de Sotto” è uno scontro senza sangue ma anche uno scontro all’ultimo sangue. Vincere comporta una gioia popolare difficilmente immaginabile per chi non è cittadino di Assisi; perdere infligge un dolore altrettanto inimmaginabile. I giurati, per quanto obbiettivi e razionali, non possono non portare il peso di questo. Ma, senza la sfida e il giudizio, la grandiosa impalcatura del Calendimaggio crollerebbe.
Sono stato giurato, insieme a Maria Cristina La Rocca, docente di Storia Medievale all’Università di Padova, e al musicista Roberto Maggio. Alla fine delle sfide, in una notte di fuoco, abbiamo dovuto decidere quale delle due Parti avesse vinto il Palio che conserverà fino alle sfide del prossimo anno.
Avevamo assistito, totalmente sbalorditi, a eventi fantastici prodotti dal sogno in due parti dell’intera città, un sogno tessuto con una dedizione totale durante un intero anno e rivelato con una generosità sconvolgente, nella sua faccia più intima, soltanto a noi tre estranei.
Voglio parlare di queste “Scene di Parte” vissute alla sola luce delle torce, per due notti di seguito, nelle due parti della città, ciascuna chiusa, per l’occasione, da due grandi apposite porte di legno. Noi tre giurati, coperti da delle cappe, abbiamo varcato la soglia e, per due ore, abbiamo camminato nel medioevo. Davvero.
In tutti e due i diversi viaggi (sogni) abbiamo attraversato il mondo medievale assisano riportato in vita da oltre 500 “partaioli” (più di 1000 assisani dunque, sommate le due parti) tra donne, uomini, adolescenti e bambini. Tutti in splendidi costumi. E tutti vivevano la loro vita: il macellaio macellava, le lavandaie lavavano e battibeccavano, l’usuraio offriva il suo danaro, vere mercanzie venivano scambiate, veri animali popolavano le strade, nelle taverne vero (e ottimo) cibo veniva offerto e il vino servito, le comari ai balconi, le donne nei cortili si scambiavano le loro confidenze intime, musicisti suonavano, prostitute si offrivano nei bordelli, adolescenti infiorate correvano cantando, storie d’amore s’intrecciavano, i bambini giocavano, i mercanti trattavano tra loro e si preparavano ai viaggi d’affari.
La bellezza dei costumi, belli anche perché indossati con assoluta naturalezza, la sola luce del fuoco, la verità e la passione dei volti che, a centinaia, si erano spogliati dei vestiti di oggi e avevano indossato quelli del “loro” tempo antico, passato ma non perduto, ci hanno lasciato tramortiti.
Nella mia lunga esperienza di regista in giro per il mondo non mi è mai capitato di ottenere dalle comparse o dai figuranti professionisti di recitare in quel modo. La ragione è ovvia: gli assisani delle due parti non recitavano ma “vivevano”; non si curavano per nulla di noi tre giurati, eravamo quasi degli intrusi presenti perché un giudizio, ahinoi, era necessario. Ma non ci guardavano quasi in faccia. La storia era loro, loro la vita che ricostruivano. Erano il loro passato e il loro presente che si legavano in una magica notte attraverso vicoli, piazze, case, dove una antica esistenza immaginaria, con dolori e gioie, desideri e paure, diventava la vita attuale di queste donne e di questi uomini, giovani, giovanissimi, vecchi e bambini. Lungo i percorsi, ogni segno o luce artificiale del presente era stato meticolosamente cancellato o nascosto. Canti e musiche, eseguiti da cantori e musicisti della Parte, accompagnavano il nostro cammino, integrati nel racconto che si svolgeva come una pergamena srotolata davanti ai nostri occhi.
Tutto questo è soltanto la tela di sfondo a due storie precise che attori assisani delle due Parti hanno raccontato lungo il percorso. Una specie di film in carne e ossa (commedia e dramma insieme) che si snodava dall’inizio all’epilogo.
La “Nobilissima Parte de Sopra” ha messo in scena un sogno sul Tempo, dove il vecchio e amaro mercante Mattiuccio rivive e “corregge” (i sogni permettono di farlo) la propria vita: aveva scelto il guadagno invece dell’amore di e per Aurora. Nel sogno, in cui si rivedono le età della vita dei due protagonisti, la scelta si capovolge. Amore invece di avidità. Il tutto è raccontato con una potenza emotiva da lasciare senza parole.
La “Magnifica Parte de Sotto” ha proposto invece una storia di fuoco, di imbrogli, di tradimenti, di generosità, di perdono e di amore. Questa Parte ha il privilegio di possedere la giottesca basilica francescana. Lì è finita la loro storia e dunque il nostro cammino. Immaginate una notte di vento con uno spicchio di luna sopra l’alta torre campanaria. L’immensa distesa davanti alla basilica è coperta di migliaia di fuochi. Un piccolo coro di bambine canta. Entriamo nella chiesa deserta, vuota di panche. Vuota. Illuminata da ceri. Soltanto Giotto attorno a noi. In fondo, dalla penombra, risuona una voce che canta dal Magnus Liber Organi e dal Codice di Montpellier. Avevamo le lacrime agli occhi.
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Assisi è la città di un medievale Santo (il patrono d’Italia), un quasi eretico predicatore di amore, pace, gioia, rispetto della natura e degli esseri umani. Tanto celebrato quanto, lo sappiamo troppo bene, inascoltato. E a volte malauguratamente trasformato in “santo da pasticceria” come ha detto qualcuno che lo conosce meglio di me.
Assisi è anche, cosa meno nota ma non di poca importanza, la città natale di Sesto Properzio, il grande poeta latino dell’amore, contemporaneo e amico di Virgilio e di Ovidio. Credo che, coscienti o meno, i cittadini delle due Parti, travolti nel loro anno di fatiche per preparare le sfide e costruire le loro storie (in cui l’amore è sempre centrale), siano influenzati dai versi appassionati del loro antico concittadino e dai suoi racconti poetici delle nevrotiche sofferenze dell’amore. Sicuramente li accompagna un pensiero di Properzio che ci tocca tutti: “Difficile è la strada che sto salendo, ma il premio offerto per uno sforzo facile non vale la pena di essere conquistato…”
Le due Parti posseggono in totale circa 6000 costumi medievali, hanno sartorie, attrezzerie, meravigliosi saloni a volte in cui dibattono e preparano le loro sfide e dove, immagino, si accapigliano.
Vediamo colori meravigliosi, nei cortei e nelle scene di Parte, a sfatare l’ignorante luogo comune sul medioevo come “dark era“, tempo di ombre e oscurità, grigio, tetro. Niente è più lontano dalla verità. Nel medioevo, il colore domina su tutto, è il tempo dell’amore per la luce. Le più grandi opere d’arte medievali sono una esaltazione del colore. Non soltanto i vestiti sono coloratissimi, lo sono I muri, le case, le colonne, gli arredi, le pale degli altari, gli affreschi, perfino le ali degli angeli sono multicolori. Dominano i rossi e I blu (non per caso i due colori delle due Parti di Assisi), ma che dire degli ori accecanti, dei gialli e dei verdi e dei viola e dei rosa degli incarnati? Epoca buia?!? Buio Giotto e tutti gli altri con lui?
Jacques Le Goff, il grande storico del medioevo, dice che il senso umano più sviluppato in quei tempi era l’occhio, l’organo della luce, il ricettore della sensualità ancora di più del senso del tatto. Proprio per questa sua estrema sensibilità ai colori, l’occhio è la porta che si spalanca sull’immaginario, sulle visioni.
Sono diventato insofferente a una delle più trite espressioni (udite quotidianamente in televisione, per strada, letta su ogni genere di giornale) nella quale si dice che siamo “tornati al medioevo”, per intendere che siamo finiti nella merda. A questi asini rispondo “magari fossimo tornati al medioevo!”.
Come vorrei infatti essere nel medioevo dove sono pittori e poeti tra i più grandi della moderna Storia dell’Occidente, dove ci sono pensatori come Marsilio da Padova che scrive, nel “Defensor Pacis”, contro la corruzione del Potere, e sulla separazione tra Diritto e Morale, tra Stato e Religione, testo fondamentale, tragicamente disatteso, oggi, in gran parte del nostro mondo.
Anni fa, presentando a dei distributori americani un progetto francese per una epopea sui Catari (tra la fine del 1100 e la prima parte del 1200), avevo scritto: “WE NEED THE MIDDLE AGES BECAUSE THEY MAKE US DREAM” in cui spiegavo che tutta l’epica fantasy moderna, inclusa quella hollywoodiana, era inspirata e saccheggiava proprio il ricchissimo immaginario medievale. Agli americani di Hollywood spiegavo anche (ma com’ero ingenuo, santo cielo!) che “THE MIDDLE AGES MAKE US ALSO THINK”. Sì, il medioevo non soltanto ci fa rimpiangere i suoi pittori e i suoi poeti, i suoi colori e i suoi canti con la capacità di goderne e la potenza della sua immaginazione ma ci ha anche regalato fonti di altissima spiritualità e pensiero.
L’eresia catara, che Francesco di Assisi aveva sicuramente incontrato, era nata in Bulgaria con i perseguitatissimi Bogomili, aveva attraversato i Balcani, quindi l’Italia attecchendo infine nell’odierno sud della Francia. In quel tempo non era ancora Francia ma era Occitania, terra di commerci, di tintorie e di tessuti, di una ricca campagna, terra di colori. Si parlava un’altra lingua (l’occitano, assai amato da Dante che l’ha inserito nel Purgatorio), e nascevano gioielli di poesia e di canzoni.
L’eresia catara aveva due parole chiave: “gioia” e “condivisione”. Sosteneva la libertà di pensiero e di professione di qualsiasi tipo di fede, a condizione di non fare del male ad alcuno. Praticava la parità assoluta tra uomo e donna, non ammetteva le discriminazioni etniche, rifiutava qualsiasi tipo di violenza teorizzando che una “guerra giusta” fosse un non senso. Il matrimonio era una mutua promessa di amore e di rispetto che nessun contratto doveva né poteva sancire. Ogni cittadino aveva il diritto e il dovere di lavorare e di commerciare al fine di rendere il proprio paese più ricco e migliore. Nessuno doveva essere povero, a meno che lo scegliesse di propria spontanea volontà.
Come vorrei essere in questo medioevo!
Il medioevo che rifiuto è invece quello che sceglie di distruggere il sogno. Il medioevo di Lotario dei conti di Segni, nominato papa a 37 anni (Innocenzo III). Spaventato dal travolgente successo dei catari nella ricca e gioiosa Occitania dove tutto rifioriva, dalle arti all’industria, scatenò una crociata (la prima di cristiani contro cristiani) che compì massacri tra i più efferati della Storia. Simone Weil sostiene che con questo spaventoso episodio è nato il principio del “genocidio”. Benediva infatti i suoi uomini, Innocenzo III, dicendo loro che massacrando quegli eretici (donne, uomini e bambini) non compivano alcun peccato perché non uccidevano “esseri umani” ma “il Male” che quegli esseri umani incarnavano, che era dentro di loro. Per conquistare le ricchezze dell’Occitania, il re di Francia si era infine associato alla crociata e all’annientamento di quelle terre e di quel sogno ottenendo il suo scopo. Gli ultimi catari sono saliti volontariamente sul rogo, sorridendo e cantando. Un sogno non lo si può uccidere. Il sogno assisiano di Calendimaggio dovrebbe diventare il sogno di noi tutti, per riappropriarci della incalcolabile ricchezza del nostro passato dove si fondevano arte e vita.