Roberto Mussapi
Every beat of my heart

Pasqua con Coleridge

I versi scelti per celebrare il giorno della Resurrezione, tratti da “La ballata del vecchio marinaio” nella traduzione di Mario Luzi, descrivono il momento in cui «la pena sta per cessare, il pentimento ha sortito i suoi frutti… Ci svelano come l’uomo possa e spesso voglia risorgere anche in vita»

Ho già riportato su queste pagine la storia del Vecchio marinaio di Coleridge. Quel vecchio marinaio che negli occhi baluginanti rivela un’esperienza terribile, una visione indelebilmente impressa. Il giovane invitato al matrimonio, che si accinge a entrare in chiesa per la cerimonia festosa, è terrorizzato da quello sguardo. Ma il vecchio, con la mano scarna e decisa lo blocca: così appare, in un tranquillo mattino di un villaggio inglese, il protagonista del capolavoro della poesia romantica e di uno dei libri più straordinari mai concepiti, La ballata del vecchio marinaio, di Samuel Taylor Coleridge. Ora è vecchio, la storia che costringe il giovane ad ascoltare, ipnotizzandolo, incantandolo con il suo sguardo scintillante, riguarda la sua giovinezza, un’avventura tremenda che custodisce i germi della rivelazione, dell’espiazione, della redenzione. La nave era partita dal villaggio, salutata felicemente dagli abitanti, lanciata verso la sua avventura nei mari lontani. All’improvviso, dopo Capo Horn, una terribile tempesta, lo scafo in balia degli elementi, finché apparve, in cielo, un grande, bianco albatro, che simile a un angelo portò buoni venti, salvando l’equipaggio che gli si affezionò. 
Durante la quieta navigazione l’uccello scendeva sulla tolda a ricevere i saluti e il cibo dai marinai, finché un giorno, immotivatamente, all’improvviso, uno di loro, afferrata la balestra, mirò e lo trafisse fulminandolo. Il marinaio diviene il simbolo dell’uomo che si sprezza e spezza senza ragione i legami con la natura divina del mondo, coinvolgendo nella colpa l’intero equipaggio, che ne condivide il gesto. La maledizione scende sulla nave (vale a dire sulla comunità, sul mondo), i corpi dei compagni cadono morti ad uno ad uno con un tonfo sordo sulla tolda, cessa ogni alito di vento, una bonaccia insopportabile paralizza la nave in una calura opprimente. Poi, nell’arsura fumigante, sull’acqua non più liquida ma sinistramente translucida, strani esseri gelatinosi, anguiformi, primordiali forme di vita incompiuta: e il marinaio che aveva ucciso il bianco, angelico, splendido alato portatore di buoni venti, si commuove, prova compassione per quegli esseri repellenti e informi, ma comunque palpitanti di vita. Di qui un lungo sonno, pioggia, acqua a secchi, venti, angeli che s’impadroniscono della rotta, una lunga navigazione a espiare, fino al ritorno sulla terra, a consegnare la storia a un giovane che si accinge a partecipare a un matrimonio, a un rito di unione.
I versi che qui oggi leggete, nel giorno di Pasqua, nella rapinosa e bruciante traduzione di un giovane, men che trentenne Mario Luzi rappresentano drammaticamente il momento il cui la pena sta per cessare, il pentimento ha sortito i suoi frutti, scende dall’alto una benedizione.
Oggi è il giorno della Resurrezione, di Cristo, uomo e Dio.
I poeti come Coleridge, scrittori come il Dickens del Racconto di Natale, ci svelano come l’uomo possa e spesso voglia risorgere anche in vita, anche nel tempo mortale e quotidiano, rinascere nello spirito, qui e ora, anche oggi è possibile.

E ora l’incantesimo fu rotto:
anche una volta vidi il mare verde,
e guardai lontanissimo; ma poco
di quanto avevo visto ora m’apparve
com’uno per una deserta via
cammina inquieto d’orridi spaventi,
e una volta guardatosi alle spalle,
prosegue ma non volge più la testa
perché sa che un terribile nemico
l’incalza da vicino e non s’arresta.

Ma un vento repentino m’investì,
e non aveva suono o movimento:
la strada sua non era sopra il mare,
nelle pieghe o nel vivido fermento.

Mi sollevò i capelli, con respiro
di praterie primaverili punse
le mie guance, s’unì coi miei terrori,
pure, io lo sentii, propizio giunse.

Rapidamente volava la nave,
e pure navigava liscia e calma:
lieve spirava il vento, lieve, lieve-
su me solo spirava.

Sogno di gioia! È veramente il faro?
È la punta del faro ch’io rivedo?
E quella è la collina, ed è la chiesa?
e questa è la mia patria?

Alla bocca del porto la deriva
ci spingeva, pregavo tra i singhiozzi:
“Fa, mio Signore, ch’io sia sveglio o viva
senza più risvegliarmi”.

Samuel Taylor Coleridge

Da La ballata del vecchio marinaio, traduzione di Mario Luzi

Facebooktwitterlinkedin