Storia di una battaglia
La mosca e il ragno
«Non facevo nulla. Non pensavo a nulla. Me ne stavo lì immobile, seduto su una panchina, fissando una scrostatura d’intonaco sul muro di cinta assediato d’erbacce, quando a un tratto un grosso moscone prese a tormentarmi...»
Conosco anch’io il segreto di certi pomeriggi inoperosi e tetri in cui vi sembra che nulla funzioni. Il lavoro vi disgusta. Le pareti di casa vi opprimono. Uscite in strada e vi sembra che i passanti vi scrutino con ostilità. I negozi, i caffè, persino le chiese vi respingono. In un pomeriggio così mi trovavo a bighellonare nei dintorni del parco di Colle Oppio, verso l’ingresso di Via Mecenate e il severo centro culturale egizio che ne fa parte.
Non facevo nulla. Non pensavo a nulla. Me ne stavo lì immobile, seduto su una panchina, fissando una scrostatura d’intonaco sul muro di cinta assediato d’erbacce, quando a un tratto un grosso moscone prese a tormentarmi. Mi svolazzava sopra la testa. Si posava sulle mie spalle, sulle ginocchia inerti, sulle braccia. Se provavo a colpirlo, si levava in volo fulmineo, ronzando tronfio e irridente a pochi centimetri dal mio naso. Un moscone davvero enorme, di quelli col corpo lucido, la testa color verde cupo, le zampe pelose e nere. Mi chiesi chi potesse venirmi in aiuto. Qualcuno o qualcosa che me ne liberasse. Una tela di ragno, forse. Una di quelle pazienti trappole tese tra le piante. Raro, che catturino insetti di quella mole. Ma talvolta accade. In questi casi compare il ragno. La faccenda si fa interessante. In certe occasioni il moscone ha qualche possibilità non dico di cavarsela, ma di impegnare il ragno piuttosto a lungo. Se è abbastanza grosso e la ragnatela non l’ha immobilizzato completamente.
Beh, non ci crederete… quando si posò, su una foglia di lauro della siepe al mio fianco, era a non più di un palmo da una ragnatela del tutto indegna di lui. Una ragnatela molto mal fatta. Perdeva fili da ogni parte. Non aveva il bel colore lustro di certe tele di ragno che ho visto tessere in questo stesso parco, come si deve, seguendo linee ben disegnate. La bellezza di una ragnatela sta nel rigore della sua geometria. Se si sfalda, diventa una cosa tremenda. Tanto sono ordinate e ben fatte alcune, quanto trasandate e becere altre. Quella di cui vi parlo era del secondo tipo. Un moscone di quel rango avrebbe meritato di meglio. Invece, quand’è destino è destino. Non fu neppure lui a caderci. Solo, ci stava troppo vicino. Bastò un alito di vento, un alito così leggero da non sentirlo neppure, e quel tentacolo argenteo fu pronto a coglierlo. Morbidamente, zac, si posò sulle ali richiuse. Questione di un attimo. Ora viene il bello, mi sono detto. Mi son fatto più vicino.
Avrei scommesso sul moscone. Era così grosso e la ragnatela così scalcagnata che pensavo: la sfonderà. Sì, mi dicevo: ora vola e la strappa via, e per un po’ di tempo si porterà appresso brandelli di questa ragnatela tanto inetta. Un paio di strattoni ben assestati e verrà via. Una bestia di quelle dimensioni, una ragnatela così malfatta…
Macché. Niente, il moscone cominciò ad agitarsi, prima compostamente, poi in modo sempre più dissennato. Ma volar via, neanche l’idea. Chissà, forse aveva qualcosa all’ala. Ho sentito dire che certe tele di ragno sono cosparse di una sostanza urticante che brucia le ali delle prede. Sarà stato il caso. In effetti, quando il moscone stremato smise di agitarsi, mi avvicinai meglio e vidi che tutte e due le ali erano come squagliate, sembravano una specie di gelatina raggrumata attorno al filo argenteo. Però, mi dissi, e la mia considerazione per quella ragnatela dall’aspetto così miserando crebbe un po’.
Ma scommettevo ancora sul moscone. Così grosso e pesante, mi dicevo, è sufficiente che si lasci cadere e la tela si spezzerà. Poi, senz’ali, smetterà un po’ di superbia e condurrà una modesta vita da bacherozzo. Finché qualche lucertola si ciberà di lui. Quel che si merita, vanitosa bestia.
Intanto il moscone aveva ricominciato ad agitarsi. Era un moscone molto stupido, perché invece di provare a tendere la tela e spezzarla in qualche modo, non faceva che darsi un vorticoso daffare sul posto, senza spostarsi di un centimetro, col solo risultato di aggrovigliarsi di più. In circostanze simili, chiunque cercherebbe di allontanarsi dal pericolo. Ahi, mi dicevo. I mosconi sono insetti che combattono molto male.
Ronzare, ronzava. Così sonoramente, e su un tono di basso così profondo, reso tanto più grave dal grumo gelatinoso delle ali squagliate, che quell’angolo di parco – o la mia testa – rimbombava di suoni cupi, come uno studio di contrabbasso. Il moscone s’avvoltolava sempre più nella sua matassa e ronzava, ronzava, caparbiamente, insensatamente, senza per nient’affatto liberarsi di quel laccio, che appariva talmente fragile ed era invece così tenace.
Insomma, per farla breve a un certo punto fece capolino il ragno. Era logico, prima o poi. Me l’aspettavo. Aveva tardato fin troppo. Era un ragno perfettamente all’altezza della sua ragnatela. Piccolo e scuro, per nulla peloso. Anzi, aveva l’addome come racchiuso in una guaina di segmenti lustri e le zampette corte ripiegate verso l’interno. Un ragnetto di nessun conto, infimo rappresentante della sua specie di predatori. Si limitò a sporgersi dall’alto di una foglia, mezzo metro al di sopra del moscone, e per un po’ non si mosse. Ci siamo, mi dissi. Al contrario dei mosconi, i ragni sono degli ottimi combattenti.
Quel ragnetto così dimesso dovette valutare subito, a primo colpo d’occhio, che la preda era troppo grossa per lui. Così si mise tranquillo, lassù in cima, limitandosi a incombere sul moscone, che intanto era quasi impazzito dalla paura. Alla vista di quel ragnetto. Decisamente, i mosconi sono insetti sui quali non val la pena di scommettere. Era almeno due volte più grosso del ragno, anche senz’ali. Ma appena lo vide cominciò ad agitarsi in modo così forsennato che io pensai: o la va o la spacca.
Ma niente. Qualche strattone alla porca ragnatela lo diede anche. E fece la sua figura, perché il ragno, impressionato, si ritirò. Però il moscone, invece di approfittarne per riprendere fiato, o per tentare seriamente la fuga, continuò ad agitarsi come un pazzo nel suo groviglio, senza alcun costrutto. Col solo risultato d’imbrogliarsi di più. E di attrarre, direi quasi, la curiosità del ragno, che tornò ad affacciarsi e stette per un po’ a osservarlo, senza più alcun timore ma con vero interesse per una preda tanto sciocca.
Aspettò. Lo fece stancare ben bene. Poi, tranquillamente, si lasciò scivolare lungo la ragnatela.
La fase del corpo a corpo è la più interessante. Lì, anche le prede più inette tirano fuori la forza della disperazione. Il terrore centuplica le energie dei mosconi. Ma i ragni, se non sono davvero dei pessimi cacciatori, sanno che prima o poi arriva il momento della resa. Il ragno in questione, per quanto piccolo, era un predatore accorto, disponeva di ragguardevoli doti tattiche. Scivolò sulla tela fino a mezzo centimetro dal moscone, che alla sola vista di quella manovra intensificò il proprio sconsiderato agitarsi a tal punto che quell’angolo di parco – o la mia testa – rimbombava come per un assolo di timpani. Da quella posizione, il ragno poteva arrivare tutt’al più a toccare appena il moscone, nient’altro. E cominciò a farlo in modo regolare ogni volta che l’agitazione della preda scemava un po’.
La predazione degli aracnidi è una buona scuola di psicologia. In un attimo quel ragnetto aveva instaurato un sistema a reazione comandata, per cui ad ogni tocco della sua zampina il moscone rispondeva con un vorticoso e inutile dispendio di energie, il cui effetto era, però, che il ragno ritirasse la sua zampina. Sembrava che questo al moscone andasse bene. Al ragno pure e per un po’ andarono d’accordo. Però io, dall’esterno, mi resi conto che quel gioco veniva ripetuto con frequenza via via crescente, finché i tocchi del ragno divennero talmente serrati e le reazioni del moscone talmente spente che io cominciai a dirmi: ecco, ormai non resta che scommettere sul momento in cui lo farà.
Ci si abitua al terrore proprio come a qualunque altra cosa, per stanchezza. Quando il ragnetto fece l’ultimo passo e montò tutto intero sul corpo del moscone, sono convinto che quest’ultimo accolse i morsi con un senso di liberazione. Ogni tanto ronzava un po’, docilmente, mentre il ragno con sforzi immani lo trascinava via.