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Il caffè di Manzini
Il nuovo romanzo di Antonio Manzini racconta di un bambino/fantasma ma ricama in modo un po' troppo ossessivo sulla figura anticonvenzionale del commissario Schiavone. Il tedesco Miron Zownir, invece, costruisce un giallo molto... fotografico
Web.Un caso criminale che ti prende la gola, ma col rischio di soffocarti per l’abnorme quantità di elementi, per la minuzia ossessionante delle ricerche. Antonio Manzini, ottimo scrittore di gialli, di solito con prosa scattante, stavolta non riesce a concentrarsi sui fatti. La sua nuova impresa s’intitola Le ossa parlano (Sellerio, 395 pg., 15 euro) e parte dal ritrovamento di un cadavere di un bambino di circa dieci anni. Un mucchietto di ossa trovato da un uomo su una collina di Saint Nicolas, nei pressi di Aosta. Comincia così la defatigante odissea investigativa del vice-questore Rocco Schiavone, romano fino al midollo, che è stato mandato anni prima in Val d’Aosta per punizione, dove si trova malissimo, sia per il freddo sia per ragioni che hanno a che vedere con una giornalista arguta ma piuttosto aggressiva, che dà l’impressione di acciuffare lo scoop ma anche la verità dell’insolito caso. Schiavone, uomo duro ma sostanzialmente buono, dalle battute fulminanti, talvolta “dialoga” col fantasma della moglie Marina, ammazzata nella Capitale. Essenziale, ma tutt’altro che facile, è scavare nel deep web, il lato nascosto dei computer. Essenziale è l’aiuto di Michela, para-scienziata, che fornisce dettagli, spesso raccapriccianti (agisce con l’aiuto di una botanica, lavorando con lei in una sorta di bunker casalingo). Perché c’entra la botanica? Perché Michela ha segnalato la presenza di un frammento di orchidea, fiore non proprio frequente nella Vallé. Altri spunti: Il ragazzo aveva subito un’operazione al femore e su quel che era rimasto di lui, morto nel 2008. Altra cosa importante: lo stemma di Capitan America.
L’indagine, tra un trafelato spostamento di Schiavone – abituato quotidianamente alla canna mattutina – trova i genitori di Mirko (stessa età del morto). Da quel momento lo scheletrino viene chiamato così. Scomparso anche lui davanti alla scuola di Ivrea e forse in attesa di un’auto che l’avrebbe caricato per poi dirigersi verso la stazione ferroviaria. Per andare dove non si sa proprio. Dunque i riflettori di Schiavone e della sua squadra sono puntati su Mirko: non più il nomignolo di fantasia usato fino ad allora riferendosi alla vittima, che per un po’, e per pietà era stato chiamato Pillo. La madre di Mirko vive col fratello, è così affranta (al limite di una forte nevrosi) che rimane a letto e non compare mai al cospetto di Schiavone. Tra i vari dubbi non viene scartato l’uomo che si è trovato davanti quelle ossa infantili. Il vice-questore rastrella la zona di Saint Nicolas e scopre una catapecchia. Capirà che lì dentro potevano verificarsi sconci festini. Il finale – che ovviamente non riveliamo – ha qualcosa di raccapricciante. Rimane il fatto che nei locali della Questura valdostana lo scrittore talvolta si perde in scene marginali. Come la preparazione di un caffè, che assorbe quasi due pagine. A Proust sarebbe permesso, a Manzini molto meno.
Abisso. Un noir ambientato a Berlino nel 2012, precisamente in un quartiere di confine ai tempi del Muro, all’inizio abbandonato dagli abitanti e ripopolato dai turchi. Con gli anni la zona diventa di moda e perno di una sgangherata movida notturna: l’autore è il tedesco Miron Zownir, il titolo, Tenebre su Kreuzberg, lo pubblica l’editore Milieu, 272 pagine, 16,90 Euro. Berger, il protagonista, insegue un giovane di cui si sente attratto. Il suo nome è Nick, trentenne, uno sbandato che beve fino allo sfinimento, che odia la madre. Le sue fantasie sono deliranti, misogine e violente. Un giorno si guarda allo specchio di un bar: il suo viso è deturpato da schegge di un bicchiere di whisky lanciato e frantumato contro il muro. Qualcuno lo assiste e si ritroverà nel letto di un ospedale psichiatrico. Dice oscenità, con una venatura poetica. Sono in pochi a scommettere su una sua futura vita. Nick, nella disperante ricerca ha scattato molte foto e tutte delineano la parte più cruda e crudele di Berlino, fissano nella pellicola le anime più tormentate. Non c’è solo la città-simbolo che l’ufficialità politica e diplomatica vorrebbe mostrare come unico scatto. Chi volesse trovarsi davanti al mondo di sotto, all’obbrobrio che è la naturale conseguenza di una guerra, sporca e ferita in tutti i sensi, può consultare l’archivio palermitano di una tra le più brave fotografe italiani: Letizia Battaglia.