«La Contessa» di Benedetta Craveri
L’ultima seduzione
La biografia dedicata a Virginia Verasis di Castiglione, rigorosa e avvincente, ci svela la “bella in assoluto”, protagonista della storia del Risorgimento. Colta dall’autrice in tutti i ruoli che ha interpretato, seppe mettere in scena la sua esistenza con fiero spirito libero
Virginia Oldoini contessa di Castiglione: credevo davvero, sbagliando, che la rue Castiglione a Parigi, vicinissima a place Vendôme, prendesse il nome da lei che lì aveva abitato, lei che nella mia infanzia aveva il volto perfetto di Virna Lisi. Avevo nove anni, quando la Rai mandò in onda lo sceneggiato Ottocento dall’omonimo romanzo di Salvator Gotta, con un cast oggi diremmo stellare, ed erano stelle del teatro, con un’ottima qualità di recitazione. Ci si aggirava intorno al centenario dell’Unità d’Italia, si faceva molta retorica ma non mancava una buona dose di convinzione nei personaggi e interpreti in scena. E lei, la bella in assoluto assoldata dalla politica per persuadere con le armi di cui ampiamente disponeva un reticente Napoleone III a dare una mano al Piemonte, lei, Virginia o Virna che fosse, era inarrivabile! Ho guardato l’originale nelle fotografie che corredano il bel libro di Benedetta Craveri La contessa (Adelphi, 452 pagine, 24 euro): in copertina la protagonista, ritratta di spalle e drappeggiata di una sontuosa cappa che le lascia in parte scoperta la schiena e fa immaginare che tra un attimo potrebbe scivolare a terra, svelando un corpo nudo. In effetti di questa donna, che si è in fondo facilmente ‘svelata’ agli occhi adoranti del suo tempo, non è facile cogliere l’essenza, perché qualcosa del suo carattere rimane in ombra o è, per giocare sulla metafora fotografica, in sovraesposizione. Benedetta Craveri le dedica una biografia costruita con assoluto rigore, un percorso documentato che ne ripercorre i passi, dalla nascita a Firenze nel 1837 fino all’istrionico declino e morte il 29 novembre 1899, alle soglie del nuovo secolo che la sua rivale in amore e in politica, l’imperatrice Eugenia, avrebbe ampiamente varcato.
I sessantadue anni della vita della contessa cominciano in una solare Toscana governata con magnanimità dal granduca Leopoldo II, conoscono poi la maggiore austerità del regno del Piemonte dove, sposa appena sedicenne, va a vivere con il marito Francesco Verasis conte di Castiglione, per culminare con l’approdo a Parigi. In scena sempre e in un caleidoscopio di avventure erotiche, la contessa sa di avere un potere stregante sull’altro sesso, e mai come in questo caso si può parlare di charme nell’etimo del termine. La magnifica fanciulla prima, la giovane signora poi tanto abile nella seduzione è per così dire generosa con i sedotti, ma più del suo corpo che della sua anima. Non parliamo poi di cuore o di amore: «lasciamolo agli imbecilli» avrà modo di sentenziare lei stessa, rispondendo ai rimbrotti di un amante deluso, un banchiere se non ricordo male, perché nella sua generosità la bella Virginia a volte sceglie in funzione dell’utile. La sua è la parabola di un personaggio complesso che si è introdotto nella storia del Risorgimento, un po’ mandata dal cugino Cavour, il miglior Machiavelli che abbiamo mai avuto!, un po’ spinta dalla sua ossessiva ambizione.
Non la direi un carattere accattivante, nemmeno considerata dal punto di vista del suo contributo patriottico o dell’aspirazione forte all’indipendenza femminile, ma negli alti e bassi di una carriera complessa dobbiamo riconoscerle qualità non solo estetiche, ma anche una notevole intelligenza nel gestire relazioni utili, un fiuto politico di tutto rispetto, di cui abbiamo un esempio nella sua fattiva partecipazione alla sorte della Francia sconvolta dalla vicenda di Sedan, quando, con il tramonto di Napoleone III, il paese vivrà un momento drammatico. Allora la ‘diplomatica’ Virginia dalle tante conoscenze, qualunque sia stato il modo e il pretesto di tali conoscenze, si mette fattivamente in campo e con generosità si espone e agisce in favore degli sconfitti: il suo messaggio diretto (e forse mai inviato) al vincitore Bismarck è un passo di sapiente strategia politica in cui si declinano una notevole saggezza e altrettanta lungimiranza, sebbene le sue parole siano rimaste in fondo inascoltato. Che poi dietro tanto zelo ci sia stata anche la preoccupazione di non perdere il denaro investito in Francia, ebbene, è un elemento possibile e perfettamente coerente col carattere della signora e le sue contraddizioni.
La qualità di scrittura di Benedetta Craveri (nella foto), asciutta e rigorosa, rende con lucido distacco i successi e le tribolazioni, le vittorie e le sconfitte della donna più bella e più chiacchierata dell’800, scandendo i tempi di una vita vissuta in un turbinoso andare e venire, spartirsi tra Parigi, Dieppe, Torino, La Spezia, dove la famiglia Oldoini Lamporecchi ha dei possedimenti che rappresentano per la contessa un approdo, forse più vagheggiato che davvero cercato. In questa esistenza senza pace sembra che anche la sintassi delle lettere soffra di ansia nel sovrapporsi delle lingue, nell’incalzare delle necessità, nel rivendicare diritti e lamentare soprusi. Se mai abbiamo immaginato una vita felice e viziata da una sorte benevola, dobbiamo ricrederci e leggere nel percorso di Virginia Oldoini l’incombere dell’ombra della sua stessa bellezza, quasi una maledizione.
Dell’altalena di trionfi mondani e di amarezze, nei diversi ruoli che ha rivestito di sposa scontenta, di madre tirannica, di amante e di donna libera ci rimane la sensazione di un incompiuto. E in fondo una grande disillusione. Sono significative le disposizioni da lei date per la sua sepoltura: nessuna notizia della sua morte data in pasto alle cronache, nessuna partecipazione alle esequie: finalmente, viene da pensare, fuori dalle spire del mondo! Ma le sue spoglie dovranno essere rivestite della camicia da notte di Compiegne, quando sedusse per amor di patria Napoleone. Chissà che non abbia immaginato di sedurre così anche la morte!