Un romanzo di Sabina Colleredo
Quando le irregolari erano streghe
Metafora delle contraddizioni e degli incubi dell'esistenza, le donne perseguitate fino al ‘700 sono per l’autrice delle anarchiche che si ribellano alla condizione a cui sono destinate. E le sue giovani protagoniste sanno costruirsi il loro “lieto fine”
C’è un’assurdità fiabesca nel romanzo di Sabina Colleredo Quando diventammo streghe (Gallucci, disegni di Fabio Visintin) ed è quella di raccontare una singolare storia di donne di ogni età, dall’adolescenza alla vecchiaia. Il ritmo narrativo è ampio, sostenuto da vivacità di spirito e da una forza evocativa applicata a ambienti e atmosfere proprie di un secolo sanguigno quale il Cinquecento in Italia e altrove. La figura della strega è una metafora delle contraddizioni e degli incubi dell’esistenza. Può essere collocata nella storia, ma ormai appartiene anche al mondo fantastico; ha i contorni delle dimensioni incantate dove la forza dei poteri magici diventa reale. Il romanzo si apre sullo scenario agghiacciante di corpi di donne trascinate dalla corrente di un fiume nei pressi di Benevento. Sono streghe fatte uccidere dagli inquisitori, con la folla esultante dinanzi allo spettacolo dei roghi come di altre brutali forme di assassinio. Del resto l’autrice lo mette bene in evidenza riportando le coincise parole di Voltaire: «Le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle».
Qualunque siano le differenze che segnano l’età, il sesso, le condizioni storiche e sociali delle protagoniste, hanno tutte un tratto comune: l’anarchia della loro natura rispetto alla mediocrità delle condizioni in cui vivono. Ma nelle figure femminili tratteggiate da Sabina Colloredo c’è anche qualcosa in più che attrae e respinge nello stesso tempo. Un segreto germe di malinconia dinanzi a un mondo dove il senso della giustizia e del bene è così relativo che finisce per perdersi nell’aria come un lieve soffio di vento. La madre di Franchetta, la giovane protagonista, è una famosa guaritrice che gira da una città all’altra perseguitata dall’Inquisizione. Accusata di possedere una forza magica grazie alla quale riesce a guarire ma anche a distruggere, si è chiusa in un atteggiamento di cupa diffidenza. L’incontro con Bessie e la figlia Devine adolescente le restituisce la speranza di poter sopravvivere in pace ai limiti di un bosco, in sintonia con la natura che le circonda; appartate senza pericolo di essere ritrovate e portate dinanzi ai tribunali ecclesiastici troppo pronti a fare divampare alti roghi. Ma chi possiede doni particolari non conosce moderazione né pazienza, tanto più in una realtà che vede ovunque la presenza di demoni, ragazzine sataniche, giudici spietati. Sono eroine che sacrificano sull’altare di un ferreo codice morale da loro stesse impostosi, giovinezza e bellezza. Troppi sono i giovanotti pronti a giudicarle, quasi fossero in preda alla follia. È comprensibile quindi che l’universo maschile faccia paura inasprendo i caratteri e logorando la qualità dell’esistenza. Ma la stretta amicizia che si instaura fra le due ragazze e la loro vitalità indomabile fa presagire un lieto finale insieme alla inquietante presenza di una Fata incorporea e visibile solo ai loro occhi.