Daniela Matronola
A proposito di "Raccontami di Rino"

Rino Gaetano, l’anomalo

Pierluigi Germini (discografico e musicista) dialoga con la figlia Carolina per ricostruire la figura geniale («Intimista e agguerrito») di Rino Gaetano. Un viaggio nella musica e nella cultura popolare degli anni Settanta, fino alla morte del cantautore, nel 1981

Intimista e agguerrito: con questo armonioso ossimoro, Rino Gaetano, il popolarissimo cantautore scomparso 40 anni fa (il prossimo 2 giugno, giornata già in sé importante, cade la ricorrenza), viene definito dal suo fraterno amico, Pierluigi Germini, a sua volta musicista e discografico, in Raccontami di Rino – un settenario perfetto coniato dalla coautrice e vera ideatrice di questo gustoso libro-intervista, Carolina Germini (Momo edizioni, 128 pagine, 14 Euro). Un titolo il cui suono gioca sull’ardita miscela di vibranti e dentali tra cui fa capoccella una altrettanto ardita doppia velare sostenuta dalle nasali sonore e da una ordinata fila di I.

Direte, perché tutta ‘sta manfrina sui valori rotolanti occlusivi e di scivolamento messi lì a convivere nelle lettere che confezionano il titolo?

Il discorso può sembrare artificioso, macchinoso, però tira in ballo, dopotutto, una qualità che è stata – senza il minimo accigliamento – propria dei testi di Rino Gaetano, in assoluto il più scanzonato dei cantautori italiani (serio nel profondo) ad aver agito nella musica nel decennio Settanta fino all’alba del decennio Ottanta – epoca dominata da Lucio Dalla e Ron, da Venditti e De Gregori, Battisti e Mogol, e Ivan Graziani, ma anche da Mario Castelnuovo, Marco Ferradini, Amedeo Minghi, Goran Kuzminac, e poi Endrigo e Paoli, e su tutti lo splendore di Fabrizio De André.

Partirei intanto dalla vera notizia.

Questo libro, Raccontami di Rino, appena sbarcato in libreria, è un libro-intervista, anzi diciamolo meglio: è un libro-conversazione padre-figlia, anzi al contrario: figlia-padre, composto a quattro mani da Carolina e Pierluigi Germini.

È un libro interessante per il contenuto, anzi i contenuti, e anche proprio come idea/struttura-libro: oscilla tra diario di una conversazione, miracolosamente venuta fuori dai lunghi mesi di riposo forzoso cui siamo stati tutti costretti dalla pandemia, e ricostruzione di una vicenda, che è la biografia intrecciata tra il breve arco della carriera di Rino Gaetano e la costante presenza e azione artistica del testimone di tutto questo, Pierluigi Germini: musicista e promoter giovanissimo per la it Dischi Italia, costola della Ricordi creata da Vincenzo Micocci (patron di tanti grandi artisti della musica, i più popolari); poi turnista e discografico con Michele Mondella per la RCA italiana, poi BMG; e promoter anche in proprio di molti giovani talenti della musica e di veri fenomeni come la boyband I Ragazzi Italiani. Un protagonista del dietro le quinte della musica, anzi della sua vera sostanza, che ha avuto la buona sorte, e il merito personale, di accompagnare in amicizia molti grandi artisti, ed è stato baciato dalla circostanza di poter vivere in simbiosi con Rino Gaetano.

L’idea del libro è anche un omaggio alle circostanze fortunate, che, per esempio, nel caso di Carolina Germini, è l’avere un padre che è testimone e protagonista della musica, e col quale finalmente, per le circostanze viceversa un po’ meno fortunate del confinamento sanitario, ha avuto modo di condividere un amore comune, il patrimonio di musica e parole lasciato da Rino Gaetano.

Qui vale la pena di registrare un’altra circostanza, curiosa fino a un certo punto, cioè il fatto che Rino Gaetano, la sua figura e le sue canzoni, siano molto amati da ragazzi e ragazze oggi, non ancora trentenni come Carolina, e anche più giovani. Pure su questo padre e figlia qui ragionano insieme mentre vengono evocati i testi di Rino Gaetano ed emergono ricordi e situazioni: i retroscena della musica, della scrittura dei pezzi, dei concerti, delle registrazioni e realizzazioni dei dischi, delle apparizioni in TV nelle trasmissioni e nei festival, dei molti fortunati incroci tra artisti, delle serate in trattoria, di tutto un mondo musicale che, come l’ambiente letterario, immortala stuoli di musicisti e discografici colti a cena attorno a lunghi tavoli tra cibo chiacchere bevute scherzi.

È una evocazione anche corale, in cui si stagliano figure individuali gigantesche, e attiva perciò quel dispositivo, prettamente narrativo, anzi direi poetico, cioè analogico, grazie al quale per tangenza, per contiguità, emergono e trovano occasione di racconto le vicende di Mogol e Battisti, per esempio, o di Gigi Proietti. Il catalizzatore di tutto questo è, appunto, il prezioso attore-testimone, mentre la reporter che raccoglie i racconti e i ricordi, lungi dall’essere passiva e solo depositaria, ha il merito di entrare molto in profondità nella produzione di Rino Gaetano, di analizzarne i testi e saper cogliere la loro ricchezza, la loro originalità, la loro unicità che era unicità di sguardo, come emerge.

Vale la pena di soffermarsi su alcuni valori della produzione di Rino Gaetano puntualmente colti e sottoposti alla nostra attenzione da questo libro che, ricordo di passaggio, offre anche un repertorio fotografico molto interessante, tra copertine di dischi (su una sono appuntati un numero di telefono e un indirizzo per un appuntamento fatalmente mai avvenuto), immagini di concerti, palchi e set minuscoli, o sale di registrazione e uffici discografici – e poi molti bei ritratti di lui, di Rino Gaetano.

Dicevamo della materia, della sostanza della musica di Rino Gaetano.

Rino Gaetano cantautore. La canzone d’autore: bel tema, molto stimolante, cui intendo dedicarmi.

Intanto parto da Rino Gaetano. E torniamo alla definizione da cui siamo partiti, Intimista e Agguerrito, sintesi perfetta formulata, si diceva, proprio da Pierluigi Germini. Chi di noi non ha nel cuore canzoni come Gianna, Aida, Ma il cielo è sempre più blu, Nuntereggaepiù? Persino A mano a mano, canzone di Riccardo Cocciante, scritta con nota vena drammatica insieme a Marco Luberti, è molto più nota nella versione di Rino Gaetano, un riarrangiamento rock più serrato e graffiante quanto la sua voce. Ecco questo è un carattere netto nella produzione di Rino Gaetano. Graffiare. Non starci. Non accondiscendere a una visione pacificata e passiva ma mettere sempre tutto in discussione, lottare contro l’inerzia, i luoghi comuni, lo status quo, interrogare (come usa dire) la superficie per scavarla e tirarne fuori l’intrico di fondo o come si dice oggi “la complessità”. Sia chiaro, non stiamo parlando di saggi filosofici, stiamo parlando di canzoni, canzonette spesso o lasciate passare per tali, quasi liquidate dallo stesso autore come tali non per rinuncia alla loro forza prorompente ma per tutelarle, proteggerle e lasciarle navigare indisturbate e impertinenti nel mondo, farle arrivare alla gente e alla loro coscienza civile, in un periodo in cui i cantautori erano talmente impegnati che Bennato dovette richiamarli all’ordine e quasi un po’ sbugiardarli con la sua “Cantautore…” (BMG, 1976).

Dov’è la forza di Rino Gaetano?

Nella musica, un rock serrato nella misura ma scanzonato nel tono, e nelle parole.

Come erano accolti i suoi testi?

Non poche volte, e con rammarico, Rino Gaetano ha dovuto sorbirsi reazioni come: essere relegato tra i giocherelloni della musica (c’erano nei Settanta anche molte formazioni, tipo i Pandemonium, che erano dei gran giocherelloni), oppure essere costretto a partecipazioni come a un noto Sanremo in cui invece di Nuntereggaepiù, canzone tutta giocata su ambiguità e polisemia, lo ammisero con la canzone Gianna, in apparenza meno dirompente, in realtà pezzo anch’esso irriverente, che tuttavia fece la fortuna definitiva di Rino Gaetano, e definì una volta per tutte anche la sua riconoscibilità iconografica con pochi tratti: la tuba, l’ukulele, le mecap.

Sia chiaro, un artista così non è rivoluzionario solo per “il look” (Sanremo 78 segnò anche l’esordio di Anna Oxa con “Un’emozione da poco” e un look punk scambiato per pura moda) o solo per la linea melodica o gli arrangiamenti o la qualità dei testi o lo sguardo smagato su certi temi o la critica sociale o la velata protesta politica: un artista così compone piccoli miracoli che mescolano e sanno calibrare tutto questo, e trova un suo carattere dirompente e riconoscibile, un tratto indelebile che sa identificare nell’immediato il suo mondo artistico, in una parola la sua poetica, e vince i limiti del tempo, non muore mai, passa di generazione in generazione. Però, come acutamente sottolinea Carolina Germini, in un passaggio della sua conversazione con Pierluigi, suo padre, non si tratta necessariamente di un’eredità passata dalla generazione dei più grandi alle generazioni successive per via diretta, ma di un patrimonio dotato di una sua forza profonda, ormai liberato nel mondo,  un’energia disseminata che, come capita alle opere grandiose, semplici e spontanee, autentiche e incisive, ha intrapreso molto tempo fa la sua strada e continua a propagarsi per mille rivoli, e così correndo arriva innegabilmente a bersaglio, ai cuori generosi di generosi ragazzi e ragazze che lo ascoltano ancora oggi senza riserve, anzi identificandocisi.

Merito anche del messaggio beffardo, apparentemente nonsense, scanzonato e impegnato insieme, lo stile ideale per la critica del mondo di un giovane che viveva il proprio quartiere, Montesacro, e amava gli amici i suoi familiari la sua ragazza, uno che in origine aveva molto amato il teatro e al teatro avrebbe voluto dedicarsi, uno che proteggeva molto la propria vita privata e aveva una sua vita interiore anch’essa gelosamente protetta e tutta spesa nella canzone, uno che dava poca importanza alla fama anche se giustamente pretendeva che si desse giusto peso al valore artistico della sua musica, uno che nella musica era un totale autodidatta e credeva con tutta evidenza in una canzone che fosse anche teatro e sfiorasse l’assurdo e il grottesco con testi da far invidia a Beckett, del quale aveva impersonato Estragone in una versione di Aspettando Godot, per poi vestire i panni della Volpe nel Pinocchio messo in scena da Carmelo Bene – proprio il teatro era stato il suo primo amore.

Leggere il suo ritratto in questo libro, Raccontami di Rino, di Carolina e Pierluigi Germini, è tornare a innamorarsi di lui, tornare a riascoltarlo magari con maggior attenzione: Carolina Germini rileva qui le non scarse parentele compositive di Rino Gaetano con Georges Perec e con l’OuLiPo. Significa per finire lasciarlo intatto al suo destino di artista precoce, anticipatore, e presto uscito di scena, in modo tragico come è capitato a Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison: nel pieno della fulgida giovinezza. 

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