“Compassione e mistero” di Roberto Mussapi
Colloqui coi Maestri
«Scandaglio della letteratura altrui» e del proprio percorso poetico in 17 testi dedicati a Heaney, Luzi e Bonnefoy. Un pensiero poetante il loro condiviso dal poeta Mussapi, nella comune convinzione che la poesia è «storia di come l’uomo tenti di tornare alla nuda elementarità creaturale delle cose»
Quando i maestri di poesia si insinuano nel profondo e vengono, per così dire, interiorizzati, la loro lezione non è più qualcosa di altro da sé, ma entra a far parte dell’opera stessa di colui che ne assume il magistero. È il caso di Heaney, Luzi e Bonnefoy che sono per Roberto Mussapi molto più di semplici richiami letterari o meri oggetti di studio: il loro «pensiero poetante» percorre e nutre l’afflato epico mussapiano e si pone come lapis angularis da cui osservare i capisaldi e le tematizzazioni fondamentali della poesia. Compassione e mistero. Heaney, Luzi, Bonnefoy (a cura di Silvia Granata, Algra Editore, nella collana “L’arco di Ulisse” diretta da Emilio Zucchi, 96 pagine, 10 euro) è un collected di saggi, datati tra il 1985 e il 2010, che riavvolge la carriera di traduttore – Una porta sul buio, North eThe Spirit Level di Heaney erano state magnificamente tradotte da Mussapi – e di lettore: diciassette testi in cui, come sottolinea Granata nella bella introduzione, il poeta «parla dei suoi maestri, passando attraverso la sua formazione, raccontando la propria storia, rendendo note le fonti della sua ispirazione, frutto di un’esperienza concreta, di un percorso preciso, di un’applicazione costante, di disciplina, di intuizione e di volontà».
I saggi di Mussapi sono, dunque, scandaglio della letteratura altrui e, insieme, omogeneità e legatura del proprio percorso poetico in un vis-à-vis serratissimo: sono colloqui con autori d’indiscutibile altezza che sciorinano esperienze concettualmente similari (ma stilisticamente differenti), alle quali Mussapi sente di rispondere con la com-passione (συμπἀθεια), ossia la possibilità di relazionarsi nell’identico sentire. La poesia diviene così simpatia simbolica, se non tensione al santificarsi, al santificare lo spazio lirico (cosa che è molto evidente, ad esempio, nell’Heaney di Seeing Thing sda un lato, e nei Frammenti dall’esistenza di Maria dall’altro).
Esemplare è un passo come questo, relativo all’analisi della silloge North: «Segnata dallo scavare, dal viaggio infero, dalle visite di anime interroganti o indicanti strade comunque non definitivamente salvifiche – scrive Mussapi -, la poesia di Heaney mostra la natura dedalica del mondo e dell’esperienza vitale, senza concedersi alcun estetismo del labirinto, alcun compiaciuto smarrimento, ma, mentre ripropone l’archetipo dantesco dell’impresa, del viaggio, del duro travaglio, richiamando quindi il sotteso ma non criptico correlativo tecnico del poiéin, del rovello, dell’ossesso lavoro di bulino, sviluppa la metafora dello scavatore di torba come emblema dell’homo faber e quindi del poeta, immerso nella materia, nella melma secolare e originaria, ma anche proteso ai segreti del fondo, alla zona misteriosa celata nel buio materno della terra». Impossibile non ravvisare una rifrazione, un rifrangersi di motivi che tornano carsicamente nei lunghi pezzi “avventurosi” e scandagliatori tipici della scrittura di Mussapi.
Ma se la vanga heaniana coincide con il «lavoro del bulino», in Luzi campeggia l’«impresa» che «si configura già subito nelle sue linee fondamentali: la ricerca dell’amore significa l’ingresso nel buio della perdita, l’azzeramento di ogni luce o suono che distolga, la fedeltà al mondo esterno e all’invocazione del mondo interno». Il Luzi di Mussapi, legato a doppio filo da lancinanti presenze scespiriane, si immerge nel «limite e nel fuoco della metamorfosi», là dove «la vita e la morte ritornano al significato elementare della prima pronuncia, e misurano il tempo del verso». Anche in questo caso non si può fare a meno di notare l’estrema corrispondenza con le modulazioni precipue della propria poetica: gli elementi primordiali sono rievocati per scorgere l’infinito nel cuore delle cose, nel sommesso silenzio dei «fondamenti invisibili».
Arriviamo a Bonnefoy, con il quale Mussapi intratteneva un colloquio (via email, se non erro) pressoché quotidiano: «La presenza di Yves Bonnefoy nella poesia contemporanea non è solo una realtà di spicco, la manifestazione di una voce unica, analogamente a quanto accade per tutti i poeti di importanza reale. È anche la manifestazione di una voce che colma un vuoto o meglio ne amplifica la cavità, facendola risonanza. La crisi dell’uomo moderno si rivela crisi di identità della voce, cui solo la parola poetica può sopperire. Nel cuore della battaglia ma estraneo al suo strepito, vale a dire suo silenzio, Bonnefoy assume e capovolge un’età in crisi facendone propri gli elementi agonici, ma nello stesso tempo nutrendoli per una felice, continuamente riuscita, rigenerazione». Forse con il poeta francese si compie l’altro elemento della dittologia sinonimica presente nel titolo, il mistero. Che sia il mistero della trascendenza o la spiegazione del mysterium paschale, in esso si realizza pienamente anche la compassione, intesa come polarità assoluta del pensiero saggistico di Mussapi: mistero della compassione e compassione del mistero, il ritorno all’umile concretezza di un’umanità scevra della caduta originaria, la poesia intesa – concordemente da tutti questi autori – quale «storia di come l’uomo tenti di tornare alla nuda elementarità creaturale delle cose».