Paolo Vanacore
A proposito de "Il sorcio"

I segreti di Carraro

La nuova edizione del romanzo di Andrea Carraro, a più di dieci anni di distanza dalla prima, ci rivela i segreti della sua scrittura e la capacità di rinnovare e approfondire il suo rapporto drammatico e fecondo con la realtà

La premessa, doverosa, è che ho amato e amo Il Sorcio, uno dei migliori di Andrea Carraro se non addirittura il migliore in assoluto. Personalmente, lo ritengo meritevole di una trasposizione cinematografica proprio come avvenne in passato per un altro romanzo di Carraro, Il branco (Theoria, 1994) da cui è stato tratto il celebre film di Marco Risi (e del resto il regista Francesco Cordio era andato vicinissimo alla realizzazione di un film dal Sorcio). Quando l’esistenza del protagonista mi è nuovamente esplosa tra le mani (grazie a una nuova edizione del romanzo pubblicata da Elliot) mi sono innamorato per la seconda volta di questo libro non solo per la storia di Nicolò, che oggi sento ancora più affine alla mia, per una serie di motivi che sarebbe inutile e deprimente raccontare in questo contesto, ma anche per il ritorno allo stile ineguagliabile del suo autore.

 Il sorcio, per chi non l’avesse ancora letto, è la storia dello scrittore Nicolò Conforti e della sua ordinaria vita da impiegato di banca dove tra l’altro è costretto a subire i torti e le angherie del collega Eraldo Martelli, detto appunto il sorcio, che non perde occasione per provocarlo, insultarlo, umiliarlo e vessarlo fino all’inevitabile crollo psicologico. In mezzo a tutto questo c’è il racconto della vita di un uomo piccolo e inetto che durante le sedute di psicoterapia, necessarie alla cura della sua depressione, ricorda con nostalgia una gioventù movimentata e tenace, racconta di un tiepido ménage familiare, la paternità, le scappatelle coniugali, insomma una calma e piatta vita piccolo-borghese nella quale sembra essere approdato suo malgrado, tutto quello che lui (non) è si alterna a ciò che vorrebbe essere (stato) in un continuo avvicendamento fra desiderio di riscatto e tendenza a soccombere.

Mi capita spesso di tornare su un libro già letto, prendo nota di alcuni estratti, sottolineo le parti che più mi hanno colpito per poi tornare a consultarle successivamente, lo faccio anche solo per il gusto di rivivere certe emozioni e tornare ad assaporare le atmosfere di un viaggio che ho particolarmente gradito. Ma con Il sorcio ho vissuto da scrittore un’esperienza del tutto originale e formativa: ho riletto dall’inizio alla fine la nuova edizione disponendo accanto a me sul tavolo della scrivania quella pubblicata da Gaffi nel 2008 in una posizione del tutto innaturale che mi ha impedito di sprofondare nella poltrona o distendermi sul lettone. Tutto questo al fine di evidenziare e mettere a confronto ogni singolo intervento dell’autore e soffermarmi su di esso per comprenderne i motivi e valutarne l’efficacia; è stato un lavoro faticoso ma estremamente significativo per chi, come me, vive il processo della scrittura come un tormento continuo del quale però non riesce a fare a meno. In pratica mi sono trovato a guardare dall’esterno gli strumenti del mestiere osservando i movimenti altrui come farebbe un apprendista, ed è stato utilissimo. Ho notato che oltre ad aver riscritto e/o ampliato alcune sequenze narrative e parte dei dialoghi, Carraro ha approfondito il complesso rapporto tra il protagonista e suo padre, anch’egli scrittore, ponendo l’accento su una certa rivalità o competizione culturale fra i due in un contesto di rapporti familiari sempre più miserabili e gretti. Ma l’intervento decisivo, a mio avviso, lo ha effettuato sul finale rendendo più potente un romanzo già perfetto di cui oggi a maggior ragione ritengo necessaria la lettura.

Ecco, sempre in tema di necessità della lettura, parafrasando un altro stupendo romanzo di Carraro, Sacrificio (Castelvecchi, 2017), ho avuto modo ancora una volta di constatare come la sua scrittura sia capace di entrare sottopelle quanto il ritorno alla siringa di un tossico trascinando il lettore dentro il male della storia che è anche il male profondo e interiore dell’uomo. Un inferno quotidiano superbamente rappresentato grazie a uno stile narrativo crudo ed essenziale: una scrittura asciutta, diretta, senza fronzoli, moderna e contemporanea, che compie il proprio dovere al pari di un reportage, di una cronaca, riuscendo al tempo stesso a coinvolgere, stupire ed emozionare il lettore attraverso una sorta di “lirismo della verità” in grado di aprire il cuore molto più di tante stucchevoli sequenze poetiche distribuite ad arte fra le pagine di certa banale e noiosa letteratura incomprensibilmente osannata dalla critica.

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