Nicola Fano
Gli "auguri" di Succedeoggi

L’anno che inizia

Il 2021 sarà un anno di svolta. Se in positivo o in negativo dipende da come affronteremo tre emergenze: quella dell'idiozia sociale, quella delle giovani generazioni precarie e quella della cultura che ha perso dignità. Per questo occorre che sia un "buon anno"

L’anno che inizia oggi sarà cruciale. Non solo perché dovrebbe essere quello del superamento dell’emergenza pandemica, ma perché – sempre auspicando una remissione del Covid grazie ai vaccini – si tratterà di un anno di svolta. In positivo o in negativo: il primo caso segnerà una rinascita dell’Italia, il secondo il suo naufragio definitivo. Nel marzo scorso molti si sono avventurati in una ottimistica previsione in virtù della quale saremmo usciti “migliori” dal Covid: oggi come oggi non sembra si possa più nemmeno sperarlo ma, certo, nell’anno che verrà, nel 2021, si capirà in modo definitivo il nostro destino da questo punto di vista.

Stando al nostro piccolo – nostro di noi italiani – il 2021 ci porrà tre problemi fondamentali. Il più immediato e urgente è la tenuta civica della nostra società. Questo cazzeggiare costante su vaccino sì e vaccino no (con i più popolari leader della destra che lasciano intendere di non volersi vaccinare per accarezzare il pelo marcio della pancia degli idioti) mina alla radice la credibilità degli italiani nel loro complesso. Diciamo che è il frutto di un buon trentennio di dominio dell’ignoranza: tv spazzatura, cinema di serie zeta contrabbandato per arte, pessima editoria e soprattutto il continuo gioco al ribasso della funzione dell’istruzione, della ricerca e della cultura ci hanno portato a questo. Qualunque scemenza ha regolare permesso di cittadinanza nel nostro Paese, mentre c’è chi storce la bocca di fronte ai basilari principi del merito, della competenza o della solidarietà. Come se essere misurati, intelligenti, colti e solidali fosse un difetto da nascondere giacché la supposta maggioranza non lo è. Ecco: se nel 2021 prevarrà quest’Italia becera, ignorante che oggi storce la bocca di fronte all’unico appiglio scientifico che potrebbe – forse – salvarci dal Covid, l’uscita dal tunnel non solo sarà rimandata, ma probabilmente finirà proprio per sparire dal nostro orizzonte (l’efficacia di un vaccino dipende dalla sua diffusione).

Museo del Novecento, Milano

Il secondo problema è anch’esso di carattere generale e riguarda il modo in cui la nostra società uscirà – se uscirà – dall’emergenza economica. A oggi, quel che si vede non è uno sguardo lungo sul destino complessivo del Paese, ma un tira-e-molla di sapore elettoralista nel quale ciascuno punta ad acchiappare più che può in termini di visibilità e denari. A spiegare l’impostazione sbagliata basta il fatto che un progetto che l’Europa ha chiamato NextGenerationEU qui è limitato a un Recovery Fund: la prospettiva generazionale è stata cancellata. E invece il piano di rilancio economico europeo dovrà servire soprattutto a rimettere al centro della società le nuove generazioni. Quelle – terribilmente precarie – che sono state distrutte dal Covid che ha negato loro anche la sola possibilità di vivere e sognare. Qui in Italia, per esempio, è tutto il dibattere di ristori e bonus per sostenere il commercio: come se i negozianti fossero le uniche vittime della crisi conseguente al Covid e non già la lobby che da decenni spolpa – grazie a una evasione fiscale colossale, generalizzata e endemica – le finanze pubbliche della comunità italiana. Nessuno si occupa di quei ventenni/trentenni che avevano lavori precari e privi di tutele (commessi nei negozi, camerieri, magari freelance della comunicazione o della cultura) che hanno trascorso il lockdown totalmente disoccupati nelle minuscole stanze che spesso dividono con coinquilini sconosciuti o, nel migliore dei casi, nelle stanze d’infanzia recuperate dalle residenze dei genitori. A loro non ha pensato nessuno perché nessuna rappresentanza loro hanno, a differenza delle lobby del commercio, della ristorazione o quant’altro. Viceversa, uno Stato degno di questo nome proprio di loro, prima di tutto, dovrebbe occuparsi: perché da loro dipende il nostro futuro. Non da noi che abbiamo accumulato debiti e privilegi lucrando sul loro futuro.

Il terzo problema, che per molti di noi è in realtà il più urgente, è capire se il mondo della cultura riuscirà a uscire dal vicolo cieco nel quale è stato cacciato da un paio di generazioni di governanti avidi, incolti, ignoranti. Il modo in cui l’Italia – e solo l’Italia – ha trattato le necessità culturali della comunità in questi dieci mesi è spaventoso. Musei, cinema e teatri sono stati trattati alla stregua delle palestre e dei centri estetici. Tutti abbiamo letto le ricostruzioni – mai smentite – in base alle quali alcuni ministri hanno chiesto la chiusura di cinema, teatri e musei per controbilanciare, appunto, quella delle palestre e dei centri estetici. Neanche il loquace ministro competente ha trovato argomenti per tenere aperti, per esempio, i musei che, quanto a rischi, certo non ne presentano più delle chiese. Semmai, costui si è limitato a impiantare l’ennesimo carrozzone con fondi pubblici che saranno gestiti da un’impresa privata presumibilmente amica.

Museo di Capodimonte, Napoli

Proprio a nessuno è venuto in mente che l’arte è una necessità dello spirito. Quando progettarono una società nuova, gli Illuministi crearono un museo pubblico (il Louvre, a Parigi) perché tutti potessero crescere con valori estetici definiti e svincolati dagli obblighi religiosi. Arte e fede sono due cose diverse ma analogamente indispensabili all’uomo. E invece, solo da noi, in Italia, l’arte e la cultura sono trattate alla stregua di una sovrastruttura inutile e improduttiva: «Chi vuole Verdi e Goldoni se li paghi!» sentenziò uno dei peggiori politici italiani, poi diventato guru della cosiddetta sinistra. Gli fece eco un altro nefasto figuro il quale spiegò che la cultura doveva autosostenersi producendo reddito. Come se secoli di storia e identità condivisa fossero prosciutti di Parma. Il 2021 potrebbe essere l’anno in cui finalmente questo equivoco viene spazzato via e superato. La cultura è un fine, non un mezzo. E basta a se stessa. Ragione per la quale è indispensabile che riconquisti quella dignità sociale che il Covid ha calpestato in modo definitivo.

Il mio personale auspicio è che l’anno che inizia oggi sia un anno di svolta positiva. Di certo, Succedeoggi, giunto ormai vicino ai suoi otto anni di vita, continuerà a battersi, come ha sempre fatto, perché l’attenzione su questi temi e sulle tre sfide che proprio ora esse ci impongono resti alta. Ognuno deve fare la propria parte: noi faremo la nostra come ci chiedono i nostri lettori, ogni anno più numerosi e fedeli. Insomma, buon anno!


Accanto al titolo, gli Uffizi di Firenze

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