Gianni Marsilli
La firma dell'accordo tra Ue e GB

Ha vinto Boris?

Per intestarsi in pieno la vittoria della Brexit, Boris Johnson dovrà fare l'ennesima giravolta: abbandonare la deriva trumpiana e stringere la mano a Biden. Sperando che i laburisti di casa non votino sì al patto con Bruxelles

Essendo un vero animale politico, Boris Johnson non può che tirar profitto dall’accordo concluso tra Unione europea e Regno Unito. Il contenuto dettagliato del “deal” è cosa che interessa nessuno, o quasi. Bisogna essere perversi, o addetti ai lavori, per appassionarsi alle millecinquecento pagine che illustrano le nuove quote e i nuovi dazi e in genere le nuove modalità commerciali che la Brexit si porta dietro. L’accordo si declinerà strada facendo, attraverso continue verifiche e interpretazioni. Il nocciolo politico è però che il voto del referendum del 2016 ha avuto un seguito lungo e accidentato, ma dall’esito coerente con la vittoria dei brexiters quasi quattro anni fa, e con l’ascesa di Boris Johnson a Downing street l’estate scorsa. Percorso netto, verrebbe da dire, piaccia o meno. E il biondo Boris, per quanto sempre bisognoso di un pettine e di un bravo barbiere, si prepara a passare all’incasso. Di consensi, naturalmente. Quanto ai vantaggi economici, saranno tutti da verificare sul campo.

Avevano detto che era semplicemente un nazionalista, non un vero tory. Che aveva un rapporto disinvolto con la verità fin da quando rifilava ciofeche da Bruxelles al suo giornale, il Daily Telegraph, denunciando i soprusi inesistenti che l’Unione perpetrava ai danni dei britannici. Che era il fratello minore dell’orrido Trump, il quale aveva promesso “cura particolare” nel rilanciare la “special relationship” che da sempre lega Londra e Washington. Che era anche razzista, perché quando reggeva il Foreign Office si seppe che Obama aveva rimosso il busto di Churchill dalla stanza ovale, e Johnson anziché optare per una spiegazione di semplice arredo, aveva preferito alludere ad una «ancestrale avversione di un presidente in parte kenyota verso l’impero britannico». Tutto vero, salvo che Boris è mutante, flessibile, adattabile. Ha vinto la sua battaglia campale, durata quasi cinque anni, ha preso i suoi compatrioti per stanchezza. Adesso ha le mani libere e un partito passabilmente ricompattato.

Sarà interessante vedere se Joe Biden, una volta insediato, andrà in visita ufficiale prima a Bruxelles oppure a Londra. Nella prima, probabilmente, visto che oltre che della Commissione europea è anche la sede del comando della Nato. Però con Biden pare destinata a tramontare la prospettiva che si era aperta con Trump alla Casa Bianca: un asse ancora più speciale, un Occidente anglosassone da non confondere con l’ambigua Europa continentale. Biden l’ha già detto: con l’Europa si lavorerà insieme. Ecco, c’è da giurare che il pragmatico Johnson si adatterà al nuovo corso, e tanti saluti al vecchio Trump e al trumpismo, che probabilmente era assai nauseabondo anche per lui. Insomma: Boris è nato a New York, è passato per Eton e Oxford, ha lavorato al Times, sa recitare l’Odissea in greco antico, parla un buon francese. L’altro invece no, ma proprio no.

Johnson in questi giorni spera ardentemente che Keir Starmer, il nuovo leader dei laburisti, in parlamento voti contro l’approvazione dell’accordo. Lo vorrebbero non pochi deputati del Labour, e anche all’interno dello Shadow Cabinet ci sarebbe gente pronta alle dimissioni. Gli editorialisti e gli analisti hanno messo in guardia Starmer: se voti contro, consenti a Johnson di intestarsi tutta ma proprio tutta la vittoria detta Brexit. Votare a favore significa invece avere a cuore la coesione nazionale piuttosto che la propria parte politica. Avere voce in capitolo presso un’opinione pubblica oramai assuefatta all’idea di star fuori dalla Ue. Recuperare un po’ di consenso presso i blue collars, brexiters in grande maggioranza. E fare in modo che la Brexit si trasformi in un partenariato, e non in autoisolamento. Pare che Starmer abbia deciso: voterà a favore dell’accordo, e sarà il primo vero dispiacere che infliggerà a Johnson. Tra Biden e Starmer, nei prossimi anni Boris avrà il suo bel daffare.

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